I cibi tipici del Carnevale in Campania sono un’altra cosa

Una storia tutta sua, zeppole "alternative" e pastiere di spaghetti: i cibi tipici del Carnevale, in Campania, sono un'altra cosa. Altra tradizione, altri fritti.

I cibi tipici del Carnevale in Campania sono un’altra cosa

I napoletani, ma i campani tutti in generale, sono ossessionati dal carnem levare: il Carnevale, l’ultima festività che precede il periodo di Quaresima, prevede una ricchezza di piatti ed abbondanze quasi fuori misura. Ogni zona della Campania ha i suoi cibi tipici legati al Carnevale, dunque non fate i campanilisti, cari amici campani, se le tradizioni gastronomiche del vostro paesello non sono tra quelle che citeremo. Sono davvero troppe!

Brevissima storia del Carnevale in Campania

Salteremo a pie’ pari tutte le tradizioni pressappoco “ciarnavalesche” del mondo magnogreco e dell’Impero Romano: tanti erano i riti, principalmente di stampo dionisiaco e di altre ritualità pagane per andare direttamente in epoca moderna, dove ritroviamo molte testimonianze di prima mano.

Avete mai sentito dire di una festa di addio al celibato concomitante col Martedì Grasso? Bene, a Napoli abbiamo un illustre esempio di ciò.

Largo di Palazzo, attuale Piazza del Plebiscito: 1737 circa. Carlo di Borbone, capostipite della dinastia omonima arrivato scapolo al trono, intersecò i festeggiamenti del Carnevale con quelli del suo “addio al celibato”. La città di Napoli, ben avvezza ai festeggiamenti, mise da parte le differenze di caste e si riversò in strada per danzare, fare baldoria, mangiare fuori misura. Si dice che Carlo stesso si prestò fieramente ai festeggiamenti, indossando sontuose vesti da indiano ed elargendo cibi, lastricando praticamente la piazza di provoloni, soppressate ed altre cibarie.

Da qui nacquero le “cuccagne“: prima della Quaresima, ce n’erano fino a cinque nella città partenopea e non c’era molto da ridere. Il palo della cuccagna o “palo di sapone” carnevalesco colpì anche il Marquis Donatien Alphonse-François De Sade, in viaggio a Napoli. Il Divin Marchese descrisse con parole di sommo stupore il popolino napoletano che si graffiava, picchiava fino a stramazzare sul suolo pur di afferrare le mercanzie messe a disposizione dalla dinastia borbonica. Il Carnevale, a Napoli, si tingeva di sangue: non era infrequente che ci scappasse il morto, pur di portare le vivande a casa.

Se queste erano le tradizioni cittadini, quelle “di provincia” erano più parche: tradizionalmente agresti, si soleva festeggiare con gli insaccati e le ultime parti del maiale macellato poco tempo prima. Per questo motivo, nella nostra lista di cibi e tradizioni del Carnevale in Campania; troverete anche preparazioni tipiche di un solo comune, fuori dal perimetro napoletano, magari anche di altre province.

Lasagna

lasagne

Bboni, state bboni: lo sappiamo fin troppo bene che le lasagne hanno origini e dibattute, ma è innegabile l’importanza che esse hanno avuto ed hanno sulle tavole napoletane e di tutta la Campania. Dopotutto, abbiamo avuto anche un Re Lasagna: parlo di Ferdinando II di Borbone, così soprannominato perché ghiotto di questa preparazione.

Le lagane, cioè sfoglie di pasta sia fresca che secca, erano diffuse sin dall’antichità: la fama dei napoletani come “maccheronari”, poi, ha contribuito alla diffusione. Di lasagne borboniche abbiamo traccia finanche nei primi trattati di cucina meridionale: in quelli della corte angioina datati tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, troviamo la ricetta De lasanis , una sorta di pasticcio di pasta antenata della nostra.

La lasagna napoletana solitamente non prevede l’utilizzo della pasta all’uovo; è composta da un ragù molto ricco al quale viene aggiunto abbondante formaggio, a volte uova, qualcuno osa anche con i salumi. La lasagna napoletana prevede anche l’inserimento, ad ogni strato, di una quantità variabile di polpettine (vedi sotto per le specifiche), che rendono la nostra “riggiola” di pasta ripiena molto golosa e calorica: l’ideale prima di iniziare la Quaresima.

Migliaccio dolce (ma anche salato)

migliaccio-napoletano-taglio

Il migliaccio, dal latino miliaccium, è un piatto radicato nella più profonda tradizione contadina campana: si narra che in origine gli ingredienti fossero il miglio (diffuso nella civiltà contadina) insieme al sangue di maiale. Attualmente – bandito il sangue di maiale – , usata è la semola rimacinata abbondante ricotta, zucchero, latte, uova, una quantità variabile di essenza di fiori d’arancio, cannella. Se vi ricorda l’interno di una sfogliatella napoletana, beh, non andate molto lontani dalla realtà.  Preparato e riposto in un tegame di rame, dopo una cottura in forno di circa sessanta minuti, il nostro migliaccio avrà una crosta morbida, umida e dal colore dorato.

Esiste anche la versione salata del migliaccio, che ugualmente viene preparata nel periodo di Carnevale: si tratta di uno sformato di farina fioretto, lavorato con strutto ed arricchito di formaggi e salumi vari.

Polpette

Polpette napoletane

Le polpette di Carnevale sono immancabili sulle tavole di buona parte dei campani. Carne trita con un’alta componente di grassi, uova, a volte salumi, pane raffermo, tantissimo formaggio, prezzemolo: questa è la versione “ricca”, pronte per essere tuffate in padelle di olio bollente. Una versione più “povera” è fatta da una percentuale molto più alta di pane raffermo a discapito di quella di carne trita, meno formaggio. Più spugnosa rispetto alla sorella ricca, ma ugualmente golosa. Queste polpette possono essere semplicemente fritte e mangiate modalità finger food, oppure ancora immerse nel ragù napoletano ed essere mangiate dopo la lasagna, o ancora diventare polpette di dimensioni ridotte per la lasagna.

‘nnoja

'nnoja

Carnuluvaro mio chino re ‘nnoglie, oj maccaruni e rimani foglie.”. Facilmente tradotto: Carnuluvaro (personaggio di fantasia, uno straccione dedito ai vizi) pieno di noglie, oggi pasta e domani foglie. Ancor più tradotto: oggi si mangia grasso, domani ci saranno solo le foglie. Così si dice in quella parte di Campania chiamata Cilento.  Sì, ma che cos’è la ‘nnoja? La noglia era considerata la salsiccia dei poveri, ottenuta da parti di stomaco del maiale ed altri tagli meno nobili, aromatizzati per “stordirne” il sapore forte con finocchio selvatico, peperoncino e tavolta vino, poi insaccati in budello. Questa salsiccia è diffusa in Cilento così come in Irpinia, non soltanto a Carnevale: ad esempio, proprio in Irpinia, la noglia è usata per insaporire la minestra maritata di Natale. Essendo il Carnevale l’ultimo periodo utile per festeggiare l’uccisione del maiale prima della Quaresima, ne vediamo un grande consumo proprio in occasione di questa festività.

Scartellate

Cartellate

Ci troviamo qui a Baselice, comune del Sannio. L’alto Sannio è crocevia di diversi confini, tra i quali quello col vicino Molise e l’immediata Puglia: più che normale quindi che le tradizioni si fondano e sia pressoché impossibile stabilire dove sia l’origine di questa o quella cosa. Un esempio indicativo è quello delle scartellate, le “cartellate” pugliesi, che qui sono iconiche di Baselice. Si tratta nella fattispecie di striscioline di pasta dolce lievitata, successivamente cosparse di miele oppure zucchero.

Pastiere

Pastiera "capellini d'angelo" (con la pasta)

Al maschile a questo giro, troviamo IL pastiere, protagonista delle tavole in Irpinia e che può essere sia dolce, sia salato: a dimostrazione di quanto storicamente ci viene tramandato, cioè che la pasta veniva incondizionatamente condita sia con ingredienti dolci, che con ingredienti salati. Una cosa molto diversa dalla pastiera napoletana, fatta di ricotta, grano, semolino, canditi, fiori d’arancio e pettola di pastafrolla, anche se ci sono alcune cose in comune.

Il pastiere dolce è una specie di torta di spaghetti arricchita di zucchero, ricotta, uova, canditi ed eventualmente uva locale. La versione salata, invece, prevede che il pastiere sia condito con salsiccia fresca, formaggi vari e pepe. Viene preparato a Carnevale ma, passato il periodo di Quaresima, spesso viene riproposto anche per la Pasqua. Se una simile variante sul vi confonde, vi consigliamo un’approfondita lettura sul tema pastiere.

Vermicelli pertosani

Una ricetta davvero singolare quella dei vermicelli pertosani, tipici del comune di Pertosa (Salerno), famoso per le sue suggestive grotte carsiche; questa preparazione è così sentita che solitamente si tiene anche una sagra, la cui serata culmina proprio il Martedì Grasso. Andando più nel dettaglio, parliamo di pasta lunga tirata a mano, condita con tagli secondari del maiale come piede, orecchie, cotica a cui vanno aggiunti poi uova e formaggio (solitamente di pecora o similari). La presenza dell’uovo – qui ben cotto, tanto da formare una sorta di “frittatina” e altri ritagli di maiale potrebbe ricordare vagamente ben altra ricetta… lascio a voi le interpretazioni.

Scarpella di Castelvenere

Scarpella di CastelvenereFoto di Azienda Vinicola del Sannio

Parliamo qui di un particolare tipo di primo piatto, diffuso nel comune di Castelvenere, altra cittadina del Sannio. Questo piatto è tradizionalmente associato al Carnevale, ma viene anche abbinato al santo patrono locale, San Barbato, che cade il 19 febbraio. Potrebbe sembrare l’ennesima frittata di maccheroni, ma così non è: ci troviamo di fronte ad un esempio di lasagna bianca: il timballo viene unito a salumi, formaggio primo sale ed uova.

Zeppole dolci di Carnevale

Zeppole dolci di Carnevale

Come abbiamo già ampiamente detto nel nostro trattato sulla zeppola, la venerata tsippola può essere sia dolce che salata, proposta in diverse varianti, con crema o senza, cambiando di volta in volta foggia, nome e festività. In questo caso la zeppola è la graffa (dall’austroungarico krapfen, bomba fritta ripiena solitamente di crema), impastata insieme a patate e cannella, fritta in abbondante olio e cosparsa poi di granelli di zucchero. Sì, certo: obietterete che ormai la si trova tutto l’anno e che non è diffusa soltanto a Napoli… ma a Carnevale si frigge: volete forse perdervi un’occasione in più?