A spreco zero: 6 incredibili formaggi di recupero

A spreco zero: 6 incredibili formaggi di recupero

In cucina, il recupero è un’arte. Un’idea preziosa, da maneggiare con cura. Affidata a mani sapienti diventa esempio di eccellenza e gourmandise raffinata, in caso contrario è disastro da affidare presto all’oblio. Di natali contadini – la povertà e la saggezza popolare imponevano di ridurre al minimo gli sprechi – il recupero ha saputo elevarsi al rango di cibo chic, coinvolgendo il lavoro e l’ingegno di chef stellati.

In fatto di recupero, anche il mondo dei formaggi vanta degli illustri esponenti, nati dalla necessità di riciclare forme esteticamente non commercializzabili o al limite della conservazione.

Prima di portarli in tavola, vi consigliamo di citare l’opera di un erudito romagnolo di inizio secolo, “L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa”, testo nel quale Olindo Guerrini, direttore della biblioteca universitaria di Bologna, magnificava il riciclo come fonte d’ispirazione per una nuova era gastronomica: vedrete che il letterato scioglierà ogni perplessità dei commensali e potrete quindi procedere all’assaggio.

Formadi Frant
Dalla Carnia, zona a nord del Friuli in provincia di Udine, ecco un formaggio per gli stomaci forti. Prodotto per recuperare e conservare forme di latteria con difetti o alterazioni, il Formadi Frant è parte della storia contadina della regione (Slow Food ne ha fatto un Presidio).

forma di frant

I vari “latteria”, di stagionatura variabile tra i 40 e 90-100 giorni e superiore ai 7 mesi, vengono sminuzzati in fettine, cubetti e scaglie e mescolati tra loro. Alla miscela così ottenuta vengono aggiunti sale, pepe e latte (a volte anche panna), impastando a mano.

Il prodotto viene quindi avvolto in tele e messo in fascere di legno o acciaio per circa 40 giorni di stagionatura. All’assaggio, il sapore marcato e il contrasto tra dolce e piccante causano dapprima stordimento, poi dipendenza.

Formài del cit (o dal cit)
Non muovetevi dal Friuli: in val Tramontina si produce il Formài del cit (che in dialetto indica sia il vaso di pietra usato per conservare l’impasto, sia il bidone del latte).

Formai dal cit

Il protagonista è ancora il formaggio “latteria”, o meglio i suoi avanzi (ma si prepara anche con il Montasio) di stagionatura variabile dai 2 ai 12 mesi: utilizzando un tritacarne (o in passato, una grattugia), i formaggi vengono sbriciolati, quindi si aggiunge latte (ma anche panna), impastando accuratamente il composto con le mani.

Lasciato riposare a temperatura ambiente per 6-7 ore, si passa di nuovo al tritacarne. Dal sapore intenso, richiede un consumo rapido. Assaggiatelo su fette di pane o di polenta: vi conquisterete la stima dei friulani cosa che, credetemi, non è per nulla semplice.

Mortrett (o Murtret)
Siamo in Piemonte, nell’Alto Eporediese (provincia di Torino). Terra di tome, il Piemonte: e infatti il Mortrett è un formaggio di recupero di parti di tome stagionate (o cagliata sgocciolata derivante dalla preparazione della toma) mal riuscite o invendute. Dopo aver tolto la crosta, la pasta viene tagliata a dadini di 1 cm: mescolati con ricotta ottenuta dal siero della toma, ad essi viene aggiunto sale, peperoncino ed eventualmente pepe.

Murtret

L’impasto viene messo in un sacchetto di tela, quindi pressato con pietre o pesi. Al termine di 40 giorni di pressatura, il formaggio viene stagionato (da 60 giorni a 6 mesi o 1 anno). La crosta è assente nelle forme giovani, presente e di colore giallo via via più carico in quelle stagionate. La pasta e dura e compatta, leggermente asciutta nelle produzioni giovani, secca in quelle essiccate e/o affumicate. Ha sapore deciso e sentori di spezie.

Anche qui l’abbinamento richiama la montagna e le tradizioni contadine: polenta, patate lesse, e nella versione da grattugia, su pasta o riso.

Salagnun (o Salignun o Salgnun)
Tipico del Vercellese e della Valsesia, deve il suo nome al sale, che è la caratteristica principale del suo sapore. Scarti e forme che non potevano essere stagionate o conservate venivano sminuzzate e addizionate di spezie (sale, pepe, cannella, chiodi di garofano, noce moscata): l’impasto era mescolato e messo a riposare in un contenitore di legno con coperchio, il “salòo”.

Da tempo si ottiene però partendo da una sola tipologia di formaggio prodotto appositamente: la toma di partenza viene sbriciolata e lavorata con sale, pepe e semi di cumino. L’impasto viene poi ricomposto all’interno del salòo. La maturazione va da un minimo di 10 giorni ad un massimo di circa 90: il risultato è un formaggio senza crosta né occhiatura, con pasta che da morbida sia fa man mano granulosa, di colore avorio sino a paglierino scuro.

Preparatevi ad un sapore intenso. In altre zone del Piemonte si produce lavorando solo la ricotta residua, aggiungendo sale, pepe e erbe di montagna. Quest’ultima variante, in Val D’Aosta, prende il nome di Salignoùn.

Zincarlin
Quella degli Zincarlini è una famiglia numerosa e strana. Una specie di “Little Miss Sunshine” casearia, dove ognuno sta per i fatti suoi, ma in fondo guarda agli altri con profondo affetto e accorre in caso di emergenza. Dall’Ossola al Comasco e fino al Ticino, l’origine è la stessa: recuperare formaggi e ricotte da latte caprino e vaccino.

formaggio zincarlin

Ci sono però alcune differenze, anche se la fase di lavorazione è la medesima: i formaggi (sia a pasta dura che molle) sono mescolati con latte o panna, e lavorati con spezie (normalmente pepe) e erbe (di solito aglio, prezzemolo); in qualche caso anche olio o alcolici. Nell’Ossola e nel Comasco è preparato a partire dalla maschèrpa (ricotta grassa), nel Ticino da una cagliata di latte vaccino. Lo Zincarlin de Varées (la pecora nera della famiglia) si ottiene da formaggi di latte caprino.

Se fresco è senza crosta con pasta bianca; stagionato ha crosta sottile e grigia. La forma in genere è ovale, o a tazzina rovesciata. Al palato ha intensità media. Se volete assaggiare tutti i tipi, prendetevi qualche settimana.

Piddiato
Anche se oggi la lavorazione è cambiata, il piddiato (cioè impastato), prodotto nella provincia di Trapani è nato come recupero dei pecorini andati a male che venivano reimpastati e quindi messi in commercio.

Oggi la lavorazione prevede che la cagliata, rotta e messa ad asciugare, venga tagliata a fette il giorno successivo, e fatta filare immergendola in un mastello di legno. Viene quindi posta di nuovo nelle fiscelle, quindi fatta stagionare da un minimo di 20 giorni fino ad 1 anno.

“Allora, siete ancora convinti che sia la polpetta la regina del riciclo?”

[Crediti | Link Dissapore, Fondazione slow food, immagini: Ticinotopten, Snipview, Formaggi.it]