Ma l’avete già detto come si mangia al Fuorisalone?

Ma l’avete già detto come si mangia al Fuorisalone?

L’avete già detto che il Salone del Mobile sta diventando il Salone del Gusto? Vi siete anche già lamentati per il fatto che il Salone del Mobile coincidesse con il Vinitaly rendendovi impossibile partecipare a entrambi? Avete anche detto che il Fuorisalone non vi piace. Dunque, parlando di cose serie, oggi potremmo dire la nostra su: cosa si mangia a Milano in occasione del Fuorisalone. Di giorno e di notte. 

Mai visti così tanti food truck in giro per la strada, come durante il Fuorisalone a Milano.

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Apecar che distribuiscono ogni cosa distribuibile: arancini, caffè, panini, biscotti; furgoncini con piadina, hamburger, tramezzini gourmet (il mondo del design ha scoperto l’aggettivo “gourmet “ e ora lo installa come suffisso dietro a ogni parola gastronomica). Quanto invece ai prefissi, largo uso di: organic e hand made. Ho provato un po’ di tenerezza, lo ammetto.

Soprattutto ho pensato davanti a certe torte al cioccolato impresentabili: avrei potuto farlo anche io. Pensiero che mi ha trafitto il cervello più di una volta, anche a proposito di certi oggetti di design/arte protagonisti di certe “imperdibili” esibizioni.

Se di giorno i designer mangiano per strada, la sera è tutto un finger food. In una settimana ho ingollato innumerevoli esemplari di cibo mignon dalle forme più disparate ma dalle dimensioni microbiche. Talmente piccoli e istantanei da rendere impossibile capirne il contenuto.

Specie poi se il cameriere di turno rasenta l’ermetismo: alla domanda “cos’è?”, risponde “pesce”. Non può/non sa essere più preciso. Lo capisco: impossibile memorizzare gli indistinguibili ingredienti di decine di micro tartine tutte simili ma tutte diabolicamente diverse.

Siamo poi tutti in attesa che i designer si decidano a inventare per davvero l’unico oggetto indispensabile per il Fuorisalone: un aggeggio che renda possibile a noi giornalisti dalle due mani sinistre riuscire a mangiare un boccone + bere qualcosa + poter stringere la mano della persona di cui non ci ricordiamo il nome ma ci chiama “cara” + prendere un appunto sull’Iphone per l’intervista che dovremmo scrivere nella successiva mezzora prima di cambiare party, catering, mano da stringere.

Mi chiedo: ma come facevamo quando non avevano inventato il finger food? Era l’era dei piattini di plastica, delle forchettine, delle mini porzioni nel bicchierino. Tempi andati, fortunatamente. Si stava peggio quando si stava meglio.

E se i catering esperti di finger food oramai hanno capito come dev’esser fatto (piccolo, da prendere con due dita, che non comporti l’uso di entrambe le mani, che non unga troppo le dita, senza stecchini, senza cartine, compatto, freddo o tiepido e ovviamente gustoso) e non ci lasciano troppi colpi di scena, le vere sorprese arrivano dal fronte bevande.

Bollicine a profusione, cocktail annacquati o rigorosamente in versione light, i nuovi “tonici” speziati e analcolici, e anche qualche schifezza come il prosecco colorato di giallo, azzurro, rosa e verde.

Si salvi chi vuole.

P.S. Anche da Carlo Cracco (ciao mi chiamo Cracco e come vedete nella foto posso tutto. Tipo cucinare capesante sulle patatine in busta, mettere scarpe da ginnastiche sponsorizzate e, visto che poi mi minchionate, fare un piatto che vi manda a quel paese con la scusa del panino omaggio al dito medio di Maurizio Cattelan (altrimenti detto L.O.V.E., il dito, non Cattelan).

[crediti | Link: Dissapore, Il giornale, immagine: Caterina Zanzi]