“No grazie, sono vegetariano: prendo la tartare di tonno”. Avete mai assistito a una scena simile? Non ci crederete, ma accade e anche abbastanza spesso.
Non è tanto una questione di bipolarismo mal curato, quanto piuttosto lo specchio dei tempi di un individualismo gastronomico dove non ci sono più regole. [related_posts]
O almeno, le regole ci sarebbero anche, ma nel tentativo di auto-affermazione ognuno di noi usa anche il cibo per mostrare al mondo chi è.
Se i normo-mangianti stanno assottigliando le loro fila e a breve verranno considerati specie in estinzione, pullula una schiera sempre più folta di alternativi dell’alimentazione, e per ognuno di loro vale una regola diversa: la loro.
I camerieri dei ristoranti sono la categoria più svantaggiata da questo nuovo approccio al cibo: lo sgomento si legge nei loro occhi, e in molti ormai hanno rinunciato a capire le logiche perverse e incontrollabili che portano i vegani integralisti a sfidare la sorte entrando in una Steak House, per dirne solo una.
Ad esempio c’è il vegetariano anomalo che mangia pesce senza remore, forse per questioni etiche di dimensioni del cervello bovino rispetto a quello del cefalo, o magari la sua potrebbe essere una scelta non tanto animalista, ma salutare in versione Professor Veronesi.
Poi c’è il vegetariano che si concede una volta la settimana il prosciutto cotto, perché nelle sue logiche si autogiustifica con meccanismi sconosciuti al resto del mondo (presenti inclusi).
Ci sono quelli in transito, da onnivori a vegetariani: quasi peggio di quelli che cercano di smettere di fumare. Potete riconoscerli perché in pubblico si negano l’agognata fetta di salame, ostentando facce dolenti e sottolineando la loro decisione sofferta. Nel frattempo, però, osservano il bistecche nel tuo piatto con un odio palpabile.
Sono anche gli stessi che dichiarano sui social network di essere al “quarto giorno senza carne”, e poi tutti sappiamo come andrà a finire alla prima grigliata tra amici.
Abbiamo quelli che si professano vegani e poi nella tisana di tiglio ci aggiungono il miele, quelli che inorridiscono al solo pensiero del glutine, ma più per moda che per vera intolleranza.
Ci sono i vegani che mangiano solo le uova del loro pollaio in campagna, ma non sono andata a fondo alla questione.
Conosco persino quelli che mangiano solo bio, e l’unico strappo alla regola è la lasagna della mamma di domenica, convinti che così non moriranno mai.
Una volta ho incontrato una fruttariana di quelle vere, al limite dell’umano, che lavora in cucina in un ristorante, un ristorante “normale”: l’etica vale, forse, solo nel tempo libero.
Dimmi cosa mangi (o non mangi) e ti dirò chi sei.
Sempre più disorientati dall’ingordo mondo moderno, tutti noi cerchiamo una via personale per far capire chi siamo agli altri, e non bastano più le scarpe che portiamo, il cellulare che abbiamo o gli altri simboli di appartenenza.
E’ il cibo il nuovo status symbol: se vai da McDonald’s sei così, se ti fai la pizza in casa sei cosà, se mangi solo ortaggi a foglia sei colà.
E’ un mondo difficile…
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