Vince Andrea ma Junior Masterchef continua a farmi paura

Vince Andrea ma Junior Masterchef continua a farmi paura

Andrea, tredicenne romano, è il miglior cuoco bambino d’Italia”. Così titola l’Espresso food&wine sul vincitore di Junior Masterchef, ennesimo programma televisivo in cui i bambini fanno cosa da adulti (cantare, ballare, stavolta cucinare). O se preferite variante di Masterchef per ometti in età pre-Topexan, la cui seconda edizione, sempre con Alessandro Borghese, la mamma di Joe, Lidia Bastianich e l’inarrestabile Bruno Barbieri, si è appena conclusa con la vittoria di Andrea sull’avversario Nicolò.

Miglior cuoco bambino”.

Perché questa espressione mi fa un po’ paura?

Forse perché me lo immagino in cucina mentre si allena a sfilettare branzini e chiudere cappelletti e non nella sua cameretta a giocare con la Playstation?

Sì, può essere. Leggo il menu che ha permesso ad Andrea di superare Nicolò e la possibilità si rafforza:

— Chitarrino ai ricci e caffè
— Trancetto di cernia al topinambur croccante con riduzione di birra, insalatina di spinaci, melograno e pinoli
— Tortino di pesca e zenzero con semifreddo all’amaretto

Rimugino. Che educazione ha avuto questo piccolo chef? Chi gli ha insegnato tutto quello che sa di cucina? Che rapporto ha con i suoi coetanei? Condivide con loro l’interesse per il trancetto di cernia al topinambur croccante con riduzione di birra? 

Badate, non vi voglio per forza dalla mia parte, se parlassi di bambini tra gli 8 e i 13 anni coinvolti in un talent show culinario famoso per livelli di pressione che riducono a una maschera di lacrime anche persone adulte, potrei vincere facile. [related_posts]

Invece i tempi cambiano e nell’era in cui più che canale catodico la tivù è un canale digerente che alle proteine mescola carboidrati e grassi saturi, bisogna fare i conti con i bambini gourmet. E pure con noi stessi.

Non ho figli, ma se ne avessi dovrei chiedermelo: meglio un figlio come Andrea o un bambino che non è sempre gentile con gli altri, che non applaude i successi dei compagni, che non si duole delle défaillance altrui come fanno questi giovani chef, ma che se proprio deve dice cose tipo “ti faccio un c**lo così”.

Che giudizio mi darei come genitore se a tavola la sola preoccupazione di mio figlio fosse la manchevole doratura dell’arrosto? E non giocasse mai a fare il calciatore ma solo e sempre il cuoco?  

[Crediti | Link: L’Espresso food&Wine, Dissapore]