Avete riconosciuto Gli Sbafatori nel libro di Camilla Baresani?

Avete riconosciuto Gli Sbafatori nel libro di Camilla Baresani?

Non che un libro ci sveli l’arcano, facendoci notare che siamo un popolo di scrocconi indefessi. Se “Gli Sbafatori”, il nuovo libro di Camilla Baresani uscito di recente per Mondadori, è un manifesto al contrario di una razza in forte espansione e in cerca di santi patroni tra i foodblogger, il dato di fatto è una marchettizzazione quotidiana del critico gastronomico o presunto tale. Ma questa non è una recensione, e non vi parlerò (lo hanno già fatto in molti) della trama che è poi una storia d’amore e di scalata sociale dentro lo sbrilluccicante mondo del food tra la giovane blogger e il critico gastronomico matusa dei “vecchi” media. No, questa l’abbiamo già sentita.

Ora è meglio se ci concentriamo sul tema portante: la scrocconeria diventata professione a tempo pieno, ma con ritenuta d’acconto.

Sì, perché gli sbafatori della Baresani (che nessun food-qualcosa si senta escluso) sono quelli che cercano di sopravvivere avvolti dalla sacra aura di Parmigiano 36 mesi, quelli che sbarcano il lunario con dei buoni pasti di lusso come ricompensa. Fanno finta di essere più ricchi degli altri a suon di cene offerte, scrocco selvaggio all’aperitivo, partecipazioni a viaggi stampa all inclusive, amicizie patinate con lo chef che conta.

Mi dicono che lavorare nel campo enogastronomico oggi sia un po’ uno status symbol: tutti sono irrimediabilmente attratti da inviti ad inaugurazioni che si pagano a suon di tweet, se va bene, o con condivisioni di improponibili immagini da smartphone.

Chi non ce l’ha (l’invito alla prima del ristorante X) lo vorrebbe, chi ce l’ha non ne mai abbastanza: ed ecco, allora, che il Web si riempie di disgraziati casi umani che fanno dello scrocco uno stile di vita, che mangiano solo se il pranzo è offerto, che recensiscono prodotti solo perché sono arrivati a domicilio pacchi regalo scintillanti e che si infilano alle inaugurazioni anche se il PR ha dimenticato di invitarli.

Il mondo del food, che i puristi d’altri tempi si ostinano a disambiguare chiamandolo “settore enogastronomico”, pare diventato un circo con le peggiori specie di animali da sbafo.

Mettiamo il caso dei tanti siti, blog, chef-zine della Rete: siete sicuri che sia tutto oro quello che luccica? Ci mettereste la mano sul fuoco che quei fusilli stanno così bene con il Philadelphia? Non è che sponsor e regalie di varia forma stanno contaminando la libertà di tastiera? Non sarà mica che gli sbafatori dotati di penna e forchetta sono soldatini al soldo degli sponsor (che siano ristoranti o una marca X di formaggino)?

Gli sbafatori

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E quindi la domanda da un milione di dollari è la seguente: di chi vi fidate, quando leggete una recensione?

Dell’entusiasta che parla bene di tutto perché è stato invitato a tutto l’invitabile (sottospecie i giornalisti che non pagano), o di quello che stronca tutto perché gioca di sponda all’essere controcorrente?

Esiste persino una terza via: quei giornalisti che accettano l’invito, ma sanno dire anche la verità. Attendo vostre.