Imparare dai propri errori. Il caso Passetto

Il cartello attaccato all'ingresso del ristorante Il Passetto di Roma

Robe che inevitabilmente mi costringo a fare quando vedo un film irripetibile: immaginare cosa succede ai protagonisti dopo la parola fine. Stessa cosa per le notizie che mi colpiscono. Tipo, a Milano i furbetti del barettino colpiscono ancora? Oppure, i clienti del Fat Duck di Londra continuano a chiedere frutti di mare? Chissà se a Roma avrà riaperto Il Passetto, e soprattutto, con che faccia? Era il 19 giugno dell’anno scorso, un venerdì, quando due giapponesi usciti dal ristorante di via Zanardelli, a pochi passi da Piazza Navona, si precipitarono nel vicino commissariato Trevi Campo Marzio. Dai controlli degli agenti risultò che i prezzi pagati dai giapponesi non corrispondevano a quelli indicati nel menù. Seguì il giudizio severo del sindaco Alemanno, dei media nipponici, dei quotidiani di ogni parte del mondo, per non parlare dei fudblogz. I blitz della Municipale in bar, ristoranti e locali, l’invito del ministro del Turismo Brambilla a tornare in Italia a spese del Governo. «No, grazie – rispose Yasuyuki Yamada, 35 anni – se veniamo, sarà a spese nostre».

E oggi? Altri giapponesi sono tornati e turisti di ogniddove, segno che davvero non c’è limite alla provvidenza.

Oggi Franco Fioravanti, il discusso titolare del Passetto, ha attaccato all’ingresso il menù completo chiesto e pagato dai due turisti prima di correre a denunciarlo.

C’è scritto: «X tutti i curiosi. Questo è ciò che mangiarono i due giapponesi nel giugno 2009. Due porzioni di pane (2 euro e 50 a testa); due porzioni di funghi porcini (18 euro l’una); due porzioni di scampi alla griglia (30 euro l’una); due porzioni di ostriche, di cui sei al gratin (46 euro), due porzioni di tonnarelli all’aragosta (2 kg per 104,00); due porzioni di spigola al forno con patate (1,5 kg per 55,00), due composte di frutta (12 euro ciascuna), un gelato misto (7 euro). E poi 2 birre (6 euro l’una), una bottiglia di Chardonnay Rossj Bass Gaya (79 euro), una di Sauvignon (17 euro), una di acqua (3 euro). Totale: 579,50 euro».

Anche se poi il conto, con la mancia di 115,50 (calcolata tra il 15 e il 20 per cento del totale e prelevata senza autorizzazione), è arrivato a 695 euro.

Non riesco a decidermi. A voi cosa sembra? La mossa della disperazione? Il frutto modesto di un trust di cervelli del marketing? Una soluzione originale per dire “qui, non abbiamo niente da nascondere”. O l’orgogliosa e un po’ bullesca reazione al polverone che ha rischiato di seppellire il locale?