Il più recente Censimento generale dell’Agricoltura, giunto di fatto alla sua settima edizione, restituisce una fotografia decisamente complessa della filiera agricola nazionale: se infatti è interessante apprendere che il numero delle aziende agricole è in discesa, ma che quelle rimanenti sono più grandi; che i terreni di proprietà sono sempre meno; che nonostante l’innovazione sia sulla bocca di tutti l’implementarla nella filiera risulti difficile come non mai; che la digitalizzazione sia (ancora) in ritardo e che sovente i capi azienda mostrino una inadeguata formazione professionale; ciò che più spicca è il taglio del 20% delle aziende guidate dai giovani (under 35) negli ultimi dieci anni.
Insomma, nonostante l’agricoltura italiana si stia spostando verso un modello gestionale più moderno rispetto al passato, secondo l’Istat i giovani del settore non riescono a decollare: dal 2010 al 2020 la percentuale di aziende agricole con capo azienda giovane è scesa dall’11,5% al 9,3%. Ciononostante, secondo quanto si può evincere dai dati, le loro aziende si caratterizzano per fattori identificativi decisamente forti: sono più grandi della media, con terreni in affitto e non di proprietà, con almeno un’attività connessa, propense alla pratica biologica e verso la commercializzazione, estremamente digitalizzate (le aziende informatizzate dei giovani sono il 33,6% contro il 14,0% dei non giovani) e innovative (il 24,4% dei giovani ha realizzato innovazioni contro il 9,7% dei non giovani).
In altre parole sono più digitalizzate, multifunzionali e competitive, ma sono poche – una “mancanza” a cui, non a caso, diverse regioni (dall’Umbria alla Campania) hanno tentato di ovviare introducendo premi, bandi e altre forme di sostegno economico. La lettura dell’Istat, in questo caso, è che si tratti di “una tendenza che segnerà l’imprenditoria agricola italiana futura caratterizzando l’evoluzione degli imprenditori e, in generale, della forza lavoro agricola”.