Al Jazeera nelle terre del Barolo: “Razzismo e condizioni disumane”

Tra le ombre della corte del Barolo continua a operare il caporalato: Al Jazeera racconta storie di sfruttamento, di violenza, di razzismo.

Al Jazeera nelle terre del Barolo: “Razzismo e condizioni disumane”

Tra le scintillanti dorsali della Langa, dove si erge la corte del Re dei vini, si muove l’ombra dello sfruttamento. A portarla sotto gli occhi di tutti è un articolo di Al Jazeera che racconta di Sajo, un ragazzo di 36 proveniente dal Gambia, e della sua storia di violenza e di razzismo tra i vigneti del Barolo, lavorando turni da dodici ore, fine settimana inclusi, per tre o quattro euro l’ora.

Sajo ha vissuto in un accampamento sulle rive fangose del Tanaro, senza servizi igienici, acqua corrente o elettricità, con salari così bassi – e pigri, tant’è che spesso e volentieri arrivavano in ritardo – che, quando lui e gli altri braccianti non potevano permettersi di acquistare l’acqua in bottiglia, utilizzavano quella salmastra del fiume per cucinare la pasta o per lavarsi.

Caporalato alla corte del Re dei vini: l’altra faccia del Barolo

matteo ascheri barolo barbaresco

Il contrasto con il contesto circostante, dove la retorica dell’eccellenza territoriale trabocca (legittimamente, beninteso: da questo angolo del Piemonte meridionale arrivano, a onore del vero, alcuni dei vini più pregiati al mondo) in ogni discorso, dove le cantine dei produttori si alzano come cattedrali tra i vigneti ben pettinati, è così netto da apparire grottesco, ma purtroppo non improbabile.

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Dallo scorso aprile, si legge tra le pagine di Al Jazeera, le autorità locali hanno portato alla luce più di trenta casi di caporalato nei vigneti delle Langhe – casi, è bene notarlo, riconosciuti anche dallo stesso Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di Tutela del Barolo e del Barbaresco. La storia di Sajo emerge da un mondo di connivenza – “Nessuno vuole parlarne” spiega Francesca Pinaffo, giornalista albese che si occupa di simili casi di sfruttamento, citata da Al Jazeera, “la viticoltura è un business troppo grande” – e offre una piccola crepa attraverso cui indagare più da vicino i meccanismi (e le mani) che lo muovono.

La giornata lavorativa era semplice e brutale. Sajo si presentava ogni mattina alla stazione dei treni, dove un caporale o uno dei suoi sottoposti lo caricava, assieme agli altri manovali, e lo portava su per le colline della Langa, dove erano sottoposti a un severo regime di sorveglianza e disciplina. “Non potevamo fare pause per andare in bagno o bere acqua” ha spiegato. Gli uomini del caporale gridavano di sbrigarsi, e “minacciavano di licenziarci se avessimo rallentato o avessimo parlato”.

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Una seconda testimonianza, proveniente da un altro lavoratore proveniente dal Gambia, conferma la storia di Sajo: “Ci insultavano. Alcuni anche con parole razziste”. E il salario, dicevamo, era spesso in ritardo e inferiore a quanto promesso. “Alcuni giorni non avevo abbastanza soldi per comprare del cibo per il giorno successivo. Quando ti pagavano in ritardo, non si poteva mangiare”.

Vale la pena notare che il tema è anche già stato presto in esame dallo stesso Consorzio di Tutela. Il convegno “Changes 2023: Etica e manodopera nella vigna”, promosso in prima persona dallo stesso Ascheri, è stato un susseguirsi di incontri anche pruriginosi portati avanti nella piena consapevolezza che esporre un neo di tale dimensioni avrebbe vanificato gli anni di comunicazione necessari a intavolare il mito del Barolo. Storie come quella riportata da Al Jazeera, però, ricordano che dietro al bouquet di viola appassita del Re dei vini si nasconde il sapore di una pastasciutta cucinata nell’acqua fangosa del Tanaro.