Altro che casse automatiche: a New York i cassieri lavorano da remoto

Un ristorante di New York sta impiegando dei cassieri che lavorano in remoto, dalle Filippine: diamoci un'occhiata.

Altro che casse automatiche: a New York i cassieri lavorano da remoto

Potremmo definire, pur prendendoci una certa libertà nel farlo, le casse automatiche come la più immediata conseguenza della marea dell’automatizzazione nel contesto della grande distribuzione organizzata. Il passo successivo è stato l’individuazione dello stesso operatore di cassa come figura obsoleta – passo, è bene notarlo, purtroppo sempre brutale – e la sua successiva eliminazione, risultante nei cosiddetti supermercati senza casse“.

La loro diffusione ha cominciato a muovere i primi, timidi passi anche nel nostro caro e vecchio Stivale; ma è bene notare che altrove – come nel Regno Unito, per fare un esempio – alcune catene, tentata la strada dell’automatizzazione, hanno deciso di tornare ai più tradizionali punti vendita con cassieri in carne e ossa. Ecco, in quel di New York si è trovata una soluzione che potrebbe soddisfare entrambe le parti: cassieri che lavorano da remoto.

Badate bene: la mancia è comunque obbligatoria

cassieri remoto

Niente supermercati, questa volta: a fare da “pioniere” è il Sansan Chicken, ristorante che lavora primariamente in asporto e specializzato in pollo fritto e ramen, dove i cassieri sono fondamentalmente impegnati in lunghe chiamate di Zoom. Vero, il cosiddetto smart working ha mostrato tutta la sua flessibile efficienza durante i lunghi anni della pandemia, ma è stato impiegato principalmente – laddove è effettivamente stato impiegato, o in tempi più recenti è poi rimasto – in settori ben lontani dal customer service, che per motivi prettamente logistici e/o tematici poteva sembrare pressoché incompatibile con il lavoro da remoto.

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La trovata, al di là di quanto possa apparire bizzarra o, perché no, persino un poco alienante (tanto per il cliente quanto per li stessi cassieri, a dire il vero), porta con sé un fitto corollario di conseguenze. Vale la pena notare che i nostri protagonisti si connettono infatti dalle Filippine, e occorre dunque prendere in considerazione la variabile del fuso orario e anche e soprattutto della evidente differenza di salario.

È infatti bene considerare che, numeri alla mano, il salario minimo di New York City è di sedici dollari l’ora, mentre nelle Filippine la paga oraria oscilla intorno ai tre dollari e settantacinque centesimi. La domanda non può che sorgere spontanea: i nostri cassieri in remoto recepiscono uno stipendio da cittadini americani o filippini?

Abbiamo trovato la (non) risposta più soddisfacente in un breve pezzo del New York Post, dove l’autore intervista una certa Pie – cassiera da remoto che vive a Subic, nelle Filippine – chiedendole quanto viene pagata. La nostra protagonista si è rifiutata di svelare i dettagli, ma ha detto che spesso e volentieri i clienti lasciano mance generose in dollari: a voi le conclusioni.

L’idea, in ogni caso, sta ricevendo reazioni di natura mista: c’è chi la apprezza e chi pensa che, mediando l’interazione umana attraverso uno schermo, si perda un qualcosa di prezioso. “C’è un elemento di connessione che viene meno” ha spiegato una cliente. ““Inoltre, non so se questo significhi togliere il lavoro a qualcuno. Penso che sia importante supportare le nostre comunità e avere persone locali in contatto con la loro clientela”.