Carne coltivata, anche Slow Food si schiera contro

Slow Food, pur denunciando gli orrori degli allevamenti intensivi, ha deciso di schierarsi contro la carne coltivata.

Carne coltivata, anche Slow Food si schiera contro

Anche Slow Food si schiera sotto il vessillo del “No” alla carne coltivata, andando a ingrossare le fila già notoriamente formate dagli schieramenti coldirettiani e dai paladini della sovranità alimentare, capeggiati dal nostro ministro Francesco Lollobrigida; e lo fa pubblicando un documento dai toni sorprendentemente (ingenuamente?) moderati. La strada intrapresa – ve la facciamo breve, ma promettiamo che più avanti andremo più nei dettagli – è quella di una generica denuncia agli allevamenti intensivi e alla produzione di carne, citando (giustamente) l’ingente impatto ambientale di tali pratiche in un appello legittimo ma che, alla resa dei conti, rischia di finire nella già imponente (e pertanto anonima) amalgama di critiche ai sistemi di questo tipo.

Qual è la posizione ufficiale di Slow Food sulla carne coltivata?

allevamenti

In altre parole Slow Food riconosce le numerose problematiche degli allevamenti intensivi e dell’eccessivo consumo di carne, ma l’impressione è che il documento finisca per sfaldarsi in una denuncia faccia e generica impostata sulla proposta di “ridurre il consumo di carne e puntare su un allevamento sostenibile”, rimettendo così “insieme e in equilibrio allevamento e agricoltura, animali e terra, mettere al centro la fertilità del suolo, il rispetto per gli animali, la tutela della biodiversità dei pascoli” e via dicendo.

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Permetteteci il lusso di mettere i puntini sulle i: quanto professato da Slow Food non è ovviamente sbagliato, ma rischia di cozzare brutalmente contro una realtà che ha dimostrato a più riprese di non avere spazio (o interesse) per utopie. Quello di Slow Food è un invito all’onestà, ad affrontare con coscienza dei propri errori l’attuale modello produttivo per poi modificarlo radicalmente.

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Vien da sé che in questa ottica lo spazio di manovra per la carne coltivata si riduce fino quasi a esaurirsi. In altre parole la carne coltivata, secondo Slow Food, non serve: “Il problema di un’eccessiva produzione di carne non si risolve passando dagli allevamenti intensivi ai laboratori” si legge a tal proposito nel documento in questione, che boccia la cosiddetta “soluzione tecnologica” sulla base di quattro punti:

  • “Il cibo è cultura, non è un semplice carburante per fare funzionare l’organismo”. In questo senso, la carne coltivata andrebbe a frammentare, e nei casi più estremi eliminare, il “legame tra il cibo e il luogo in cui viene prodotto” – una posizione già nota al nostro Lollobrigida e che, tuttavia, non può fare a meno di farci tornare alla mente i numerosi comunicati di stampo coldirettiano in cui i capi da allevamento vengono fatti intendere come mero mezzo di produzione. Dov’è il legame tra uomo e cibo, in quel caso?
  • “Per funzionare, i bioreattori dove si moltiplicano le cellule staminali richiedono grandi quantitativi di energia”. A questo proposito vi ricordiamo che studi recenti hanno ribadito che la produzione di carne coltivata potrebbe avere un impatto ambientale maggiore di quella tradizionale; ma anche che tali proiezioni sono intrinsecamente incerte a causa della mancanza effettiva di dati.
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  • “Molti aspetti della produzione di carne coltivata non sono noti, perché le aziende si nascondono dietro al segreto industriale”. I report di OMS e FAO, tuttavia, indicano che la maggior parte dei rischi sanitari identificati erano già noti in quanto già presenti ad altre produzioni alimentari.
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  • “I principali soggetti coinvolti nello sviluppo della carne coltivata sono gli stessi che dominano la filiera della carne, dalla coltivazione della soia utilizzata come mangime fino alla commercializzazione e distribuzione, e puntano semplicemente a un nuovo grande business”.

In definitiva l’invito di Slow Food è quello di “ricercare una soluzione di più ampio respiro, che metta in discussione le abitudini di consumo (anche se ogni tentativo di invitare a ridurre i tentativi di carne consumata è un suicidio politico, ndr), invece di cercare la risposta soltanto nella tecnologia, nei brevetti industriali e nei laboratori”.