Cibo sintetico: Unilever esplora il latte “senza mucche”

Anche Unilever scommette sul cibo sintetico: pare che il colosso abbia avviato gli studi per ottenere un latte "senza mucche".

Cibo sintetico: Unilever esplora il latte “senza mucche”

La torbida bilpanarità del cibo sintetico – da un lato la speranza che possa rappresentare una risposta valida e concreta alle sfide del cambiamento climatico, riducendo i consumi di carne e andando a “sostituire” (o perlomeno a ridurre fortemente) le attività di allevamento intensivo; e dall’altro il terribile ma legittimo sospetto che dietro la scusa per l’innovazione ci siano interessi e obiettivi tutt’altro che amichevoli. Dalle nostre parti tira un’aria che potremmo inequivocabilmente descrivere come ostile – pensiamo ai numerosi interventi del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, o alla firma di Giorgia Meloni alla petizione di opposizione -, ma nel resto del mondo la sperimentazione sta prendendo sempre più piede: è questo il caso anche di Unilever, che pare stia esplorando l’idea di produrre un latte “senza mucche”.

Latticini da laboratorio

Carne coltivata in laboratorio

Un gioco di parole volutamente provocativo che, se declinato in termini più prettamente coldirettiani, dovremmo sostituire con “latte Frankestein” o altre raffinatezze – ma sforziamoci di rimanere imparziali: stando a quanto rivelato da un portavoce della stessa Unilever l’intenzione del colosso del settore alimentare sarebbe, per l’appunto, quella di utilizzare latticini coltivati in provetta nel contesto del proprio portafoglio di gelati. Ma attenzione: è importante notare che, secondo quanto lasciato trapelare dal sopracitato portavoce, il team di ricerca e sviluppo avrebbe appena iniziato a studiare la tecnologia di fermentazione di precisione e gli eventuali utilizzi nella produzione di prodotti lattiero-caseari non di origine animale.

“Siamo nelle fasi iniziali della collaborazione con le start-up in questo settore” ha commentato il portavoce. “Al momento, non siamo in grado di confermare a quali marchi o mercati verrà applicata questa tecnologia”. A onore del vero, tuttavia, l’aria di una mossa in questa direzione aveva cominciato a tirare già a settembre in occasione della presentazione del Piano d’azione per la transizione climatica: “Dovremmo parlare delle mucche” aveva commentato oy Horne, responsabile dell’azione per il clima del gruppo che si occupa di gelati. “Producono latte e panna, che sono ottimi da usare come materie prime per i gelati, ma hanno un’elevata impronta di carbonio”.

In altre parole – il problema c’è, è innegabile, ed è cosa buona e giusta rendersene conto e tentare una soluzione. “Stiamo affrontando una conversazione approfondita nei nostri marchi” aveva aggiunto Horne “su dove dobbiamo usare gli ingredienti lattiero-caseari e su come possiamo migliorare l’impronta di carbonio di questi ingredienti”. Ecco, per l’appunto – i segnali di una eventuale sperimentazione c’erano già. Ma dimenticando per un attimo il contesto multinazionale di Unilever – è bene mettere da parte l’indignazione e capire che la reazione a un movimento che per sua natura è controverso, come quello della cosiddetta carne da laboratorio, è assolutamente comprensibile. Altrettanto importate, tuttavia, è non fidarsi delle proverbiali reazioni di pancia: sapevate, ad esempio. che la carne coltivata non è così vicina come sembra, e che i suoi problemi sono ancora soprattutto tecnici?