Fanno male, e ormai lo sanno pure i muri: al punto che per molti si tratta di una quelle conoscenze che si danno per scontate, più forti del buon senso che dell’evidenza scientifica. Parliamo dei cibi ultra processati. Cancro, depressione, diabete, invecchiamento precoce del corpo e della mente; morte prematura: gli italiani ne mangiano sempre di più.
Non lo diciamo – solo – noi, badate bene; ma un recentissimo studio dell’Istituto Superiore di Sanità pubblicato giusto nelle ultime ore. Si parla di numeri, e di numeri eloquenti: a oggi i nostri protagonisti rappesentano circa il 6% del totale del cibo consumato ma contribuiscono al 23% dell’apporto energetico giornaliero.
Come (e perché) è cambiata la dieta degli italiani?
Lo studio, coordinato da Laura Rossi, Direttrice del Reparto Alimentazione, Nutrizione e Salute dell’ISS, ha preso in esame l’evoluzione dei consumi alimentari degli italiani negli ultimi 15 anni; e indica – a tratti generali – un “lieve peggioramento dell’aderenza alle raccomandazioni”, con “eccesso di consumi di alimenti di origine animale, in particolare la carne rossa e i salumi, e uno scarso consumo di alimenti vegetali”. Meglio le donne e gli anziani, dice la dottoressa Rossi, ma non di molto.
Concentriamoci sugli alimenti ultra processati, o UPF per gli amici, riprendendo i numeri visti in precedenza e ampliandoli un poco. Spiega Rossi: “Nei 15 anni esaminati nel lavoro la loro percentuale di apporto energetico è quasi raddoppiata rispetto al 2005-2006 (consumo 5%; energia 12%)”. Tra i soliti sospetti ci sono bevande zuccherate, snack dolci come merendine o biscotti, e salati come le patatine fritte; e ancora caramelle e cioccolatini e carne e pesce trasformati e piatti già pronti. La verità, in soldini, che se pensate gli alimenti ultra processati non vi riguardino è perché non sapete quali sono.
Nel Regno Unito la metà delle calorie assunte dai bambini arriva da UPF, e il rapporto sale a due terzi delle calorie per gli adolescenti. Si può puntare il dito contro la (presunta) mancanza di educazione alimentare, ma stratificando i bacini di utenza emerge chiaramente un tasso di consumo più alto tra coloro che provengono da contesti sociali ed economici più svantaggiati. Insomma, intavolare la discussione sui binari dell’educazione alimentare è un’idea, ma rischia di mancare per miopia un punto più tragico: a volte questi cibi sono gli unici che stanno in tasca.