Perché facciamo le code per il cibo che vediamo sui social?

In tutto il mondo ci si mette in coda per patatine, panini, cibi normali diventati virali: ma perché?

Perché facciamo le code per il cibo che vediamo sui social?

Paese che vai, coda gastronomica che trovi. Anche in Italia ormai abbiamo sdoganato questo fenomeno, che fino a pochi anni fa guardavamo con malcelato disprezzo sui social, finché non ci siamo ritrovati ad aspettare un’ora in fila per un cornetto quadrato, documentando rigorosamente il tutto con un bel carosello di foto, una storia o magari un reel se siamo più evoluti.

Prima era una cosa accettabile per le occasioni speciali: uno street food stellato per cui i gastrofighetti fanno pellegrinaggi da mezzo mondo, l’inaugurazione di un fast food che diventa aggregatore di una comunità (vedi Jollibee per i residenti Filippini di Milano), o di qualche fenomeno social alla “con mollica o senza”.

Poi senza che ce ne accorgessimo, la coda è diventata strumento di marketing, come per Gino Sorbillo che la favorisce evitando di prendere prenotazioni, fino al recente fenomeno milanese di La Rue, ristorante monoprodotto di sole entrecote a mo’ di bistrot parigino che per le file si è attrezzato con tanto di cordone rosso all’ingresso. Una tendenza che non accenna a diminuire -anzi- tanto da spingere la BBC ad un approfondimento, chiedendo lumi a psicologi e analisti del consumo.

Paura di perdere l’occasione o FOMO

fabelfriet coda

Esperti hanno analizzato come la paura di perdere l’occasione (“fear of missing out”, o FOMO), la riprova sociale e la cultura della performance abbiano trasformato spuntini ordinari in esperienze globali per cui è obbligatorio fare la coda. Ad Amsterdam, ad esempio, i turisti formano lunghe code sul ponte per tenere in mano coni di patatine fritte da 5,50 € sullo sfondo delle case a capanna per i post di TikTok o Instagram, una scena moderna che si svolge quotidianamente.

FabelFriet è diventato il luogo per eccellenza dove prendere le patatine nella città, e dal 2023 la sua posizione originale attira code costanti, mentre negozi vicini come Chun (panini coreani) e Van Stapele Koekmakerij (biscotti) sono diventati anch’essi pellegrinaggi virali.

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Ovviamente questo fenomeno è già esteso a livello globale, e i viaggiatori sono disposti ad aspettare un’ora o più per interpretazioni trendy di alimenti tutto sommato abbastanza basilari. A New York, L’Industrie attira code di ore per una fetta di pizza, mentre il nostro illustre Antico Vinaio si è dimostrato all’altezza della sua fama nel Regno Unito e negli Stati Uniti, con avventori in fila per le sue schiacciate. Tuttavia, gli psicologi sostengono che queste file non riguardano affatto il cibo; rivelano piuttosto come i social media, lo status e la performance stiano rimodellando i viaggi moderni.

La coda non segnala solo popolarità, ma innesca anche potenti segnali psicologici. La FOMO è la spiegazione più forte per cui le persone aspettano cibo di cui hanno solo sentito parlare, come spiega Rachel S.a Herz, professoressa aggiunta assistente di psichiatria e comportamento umano: “Per le esperienze positive, quando le persone vedono altre persone in fila per qualcosa, rende quel qualcosa per cui le persone si stanno mettendo in coda più desiderabile e suscita la FOMO”.

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Cathrine Jansson-Boyd, professoressa di psicologia del consumo, descrive questo meccanismo come “prova sociale di convalida“. Se si continua a vedere persone in coda più e più volte, la ripetizione può far sentire il comportamento normale o addirittura atteso. Jansson-Boyd aggiunge: “Sei un po’ spaventato di perdere l’occasione”. Poiché siamo creature sociali, la pressione a fare ciò che fanno gli altri è aumentata: “Ci cambia perché siamo molto sociali e vogliamo che tutti vedano cosa stiamo facendo e vogliamo fare ciò che fanno gli altri”.

La FOMO, tuttavia, non spiega da sola perché le persone si filmano mentre aspettano o perché il cibo diventa uno sfondo piuttosto che il punto focale. I social media hanno il potere di trasformare uno spuntino ordinario in un pellegrinaggio imperdibile.

Sara Dolnicar, professoressa presso la UQ Business School, spiega che “I social offrono ai turisti un palcoscenico su cui mettere in scena la loro vacanza”. Celebrità e influencer amplificano questo ciclo, raccogliendo capitale sociale per identificare il prossimo luogo popolare e rimanere rilevanti. Il ricercatore Stefan Gössling sottolinea che questa tendenza a imitare è la causa principale dei modelli di viaggio ripetitivi su microscala: “Questa tendenza è essenzialmente la causa alla radice dei modelli di viaggio ripetitivi e del comportamento ripetitivo su microscala, dove le persone vanno alla stessa panetteria, alla stessa ciambelleria, alla stessa hamburgeria”.

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Quando le destinazioni sono dettate dagli algoritmi, la scoperta non avviene attraverso l’esplorazione casuale. Dolnicar osserva che aspettare in coda potrebbe essere più facile che impegnarsi per scoprire gemme fuori dai sentieri battuti: “Forse aspettare in coda, allora, è più facile per le persone [che impegnarsi] e scoprire tesori fuori dai sentieri battuti”.

Questo fenomeno ha un costo. Gli algoritmi danno priorità a ciò che è già popolare, spingendo gli stessi luoghi a milioni di persone simultaneamente, e quando orde di viaggiatori finiscono nello stesso negozio di patatine, i residenti devono affrontare le conseguenze negative di spazzatura, rumore e cattiva gestione.

Dolnicar avverte: “Rendere un hotspot turistico ancora più popolare tende a non portare molti benefici”. C’è un rischio sostanziale di reazione negativa della comunità, poiché la qualità della vita dei residenti può risentirne. Anche quando i viaggiatori sanno che le code sono alimentate dall’hype, continuano a unirsi, con Gössling che afferma che vedere gli altri in fila “ti dà la sicurezza di stare facendo la cosa giusta”. Per molti, l’attesa è diventata significativa quanto il pasto.