Peste suina africana: è la fine dell’allevamento semibrado in Italia, si chiede Slow Food?

Slod Food si chiede se, a causa dell'epidemia di peste suina africana, sia la fine dell'allevamento di maiali semibrado in Italia?

Peste suina africana: è la fine dell’allevamento semibrado in Italia, si chiede Slow Food?

Giustamente Slow Food si interroga se, a causa dell’epidemia di peste suina africana che sta imperversando in Piemonte e Liguria, sia giunta la fine dell’allevamento semibrado di maiali in Italia.

Al 10 aprile 2022, in Italia sono stati registrati 92 casi: 57 in Piemonte e 35 in Liguria. Per tale motivo è stata attivata una zona infetta, detta “zona di restrizione II”, suddivisa fra le province di Alessandria, Genova e Savona: in quest’area ci sono tutti i comuni dove sono stati trovati i cinghiali positivi al virus. Attorno a questa, poi, è stata predisposta la zona buffer, larga dieci chilometri.

cinghiali

Al momento tutti i casi positivi hanno riguardato cinghiali selvatici: nessun maiale, per ora, è stato contagiato. Il problema, però, è che la filiera del settore ha subito parecchie ripercussioni. Per esempio, nella zona infetta è stata ordinata la macellazione di tutti i maiali allevati allo stato brado e semibrado, inclusi quelli degli allevamenti per autoconsumo (con tanto di appelli delle persone che, in questa zona, avevano in casa maiali da compagnia). E si parla di migliaia di maiali sani.

Nella zona infetta, poi, è anche obbligatoria la programmazione della macellazione dei maiali presenti negli allevamenti industriali. In aggiunta, indipendentemente dalla tipologia di allevamento, per 6 mesi saranno vietati riproduzione e ripopolamento. Altri divieti riguardano la vendita e il trasporto fuori dalla zona infetta dei prodotti ottenuti macellando i maiali della zona infetta. Infine in tutta Italia è diventato obbligatorio recintare gli allevamenti semibradi.

Il problema è che queste misure mettono a rischio l’allevamento allo stato brado (i maiali vivono liberamente e si procurano quasi tutto il cibo da soli, pascolando) e semibrado (i maiali vivono liberi, ma l’allevatore integra la loro alimentazione soprattutto d’inverno), requisiti fondamentali per l’allevamento di alcune razze autoctone.

Angelo Ferrari, direttore sanitario dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, da poco nominato Commissario straordinario per l’emergenza peste suina africana, è perfettamente conscio delle conseguenze che l’epidemia sta avendo sull’allevamento brado e semibrado, ma al momento queste tipologie di allevamenti sono molto a rischio.

Molto probabilmente ci vorranno anni prima che nella zona rischio si possa riprendere ad allevare i maiali con queste due tipologie di metodiche. Prima bisogna eliminare la malattia evitando che si diffonda nel resto d’Italia, poi, fra anni, si potrà pensare di tornare ad allevare i maiali senza recinzioni. Questo perché o la malattia viene eradicata o viene mantenuta endemica. Tuttavia, se diventasse endemica, ci si potrebbe scordare dell’allevamento brado e semibrado.

Per questo motivo Ferrari si augura che venga costruita una recinzione che eviti che i cinghiali malati possano uscire dall’area infetta.