La politica ne è convinta da un po’: McDonald’s è il veicolo giusto per arrivare al cuore (e allo stomaco) dei giovani italiani. E per fargli conoscere i nostri prodotti, miele compreso. Non è la prima volta che il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida esterna il suo progetto di avvicinare le fasce più giovani di consumatori ai prodotti italiani passando attraverso i fast food americani, che negli anni hanno inserito nei loro menu formaggi, frutta e verdure locali per sembrare un po’ meno esterofili. E d’altra parte non c’è dubbio che per i produttori italiani i numeri di McDonald’s siano interessanti, e permettano vendite importanti. Quindi sì, potrebbe anche essere un’operazione win-win.
Lo è, sostiene Lollobrigida, anche per il miele italiano, che presto verrà inserito tra gli ingredienti di McDonald’s. Un’eccellenza del nostro Paese, non c’è dubbio, e anche una filiera che necessita di aiuto, perché spesso lasciata più in disparte di altre, e composta da tante piccole e piccolissime realtà – spesso virtuose, che preservano e tutelano la biodiversità – che difficilmente entreranno nella filiera di McDonald’s, ma questa è un’altra storia.
Nei McDonald’s italiani arriva il miele nostrano

La storia di oggi è invece l’arrivo del miele italiano nei McDonald’s del Paese, come annunciato da Lollobrigida, grande fan della potenza economica delle catene di fast food, frequentate – ammette lui – anche dalle sue figlie. Che certo, con un papà fissato con il Made in Italy come lui potrebbero essere indirizzate altrove, magari verso le trattorie familiari di cui l’Italia è piena, ma si sa come sono fatti i ragazzi, e d’altra parte non siamo certo noi ad avercela con le insegne straniere.
“McDonald’s quest’anno inserirà il miele italiano all’interno della ristorazione”, annuncia Lollobrigida, “il che significa migliaia e migliaia di bustine all’interno di un luogo nel quale, al di là della vendita, c’è la conoscenza di questo alimento da parte dei giovani”. Tralasciando la questione delle bustine, su cui poco immaginiamo si possa fare (ma gli imballaggi monouso non appartenevano al passato?) andiamo al sodo della questione.
E cioè che i giovani, frequentando McDonald’s, riscopriranno il miele, con cui – ammette Lollobrigida – le nuove generazioni “non hanno una grande dimestichezza”: “i ragazzi e i bambini in particolare, non lo vedono come alimento privilegiato rispetto allo zucchero bianco”. Vero, signor Ministro.
“Sono ben lieto che si sia chiusa un’operazione di qualificazione ulteriore dell’alimentazione che spesso i giovani hanno modo di conoscere all’interno dei fast-food – ha precisato il ministro – io non sono frequentatore di fast-food ma le figlie sì e spero che persista questo nostro modello alimentare che li ha fatti diventare qualitativamente più accessibili”.
E sì, c’è da dire che più i buoni prodotti italiani (anche se ancora non sappiamo chi fornirà il miele a McDonald’s, e ovviamente italiano non significa necessariamente buono) entrano nei fast food meglio è per tutti. Per le aziende produttrici e per i consumatori, soprattutto quando giovani. Ma siamo in qualche modo convinti che il ministro Lollobrigida, che ama le api tanto da installare anni fa un non fortunatissimo apiario urbano sul tetto del suo Ministero, potrebbe fare un discorso inverso.
Il ragionamento all’incontrario da fare sui giovani

Ma davvero per educare i giovani a un’alimentazione più sana, local e consapevole il metodo giusto è passare dai fast food? Qualcosa, in questo ragionamento, continua a non tornarci. Che i fast food siano un luogo di ritrovo giovanile è vero, ed è anche facilmente comprensibile. Costano poco, consentono ampie tavolate, cibo e servizio senza impegno. Sono a misura di teen ager, sono pensati per questo.
Ma l’educazione alimentare si fa altrove. Si fa a casa, nelle scuole (come propone Slow Food) e nei progetti a questo dedicati. Che non devono solo guardare ai luoghi dove i giovani vanno, ma devono soprattutto pensare ai luoghi dove vorrebbero che andassero in futuro. Ed è vero che i fast food sono un mezzo facile per raggiungerli, e sono un’importante fonte di guadagno per i produttori italiani, così come è vero che più ci si inserisce per migliorarne l’offerta (migliorare, non per forza italianizzare) più si agisce nell’interesse del consumatore. Ma siamo davvero certi che siano il luogo migliore per la divulgazione dell’educazione alimentare delle nuove generazioni?
