Sushi e pesce poco cotto: aumenta il rischio di batteri resistenti agli antibiotici

Una ricerca pubblicata su Aquatic Mammals ha dimostrato che sushi e pesce poco cotto aumentano i rischi di contrarre batteri resistenti agli antibiotici.

Sushi e pesce poco cotto: aumenta il rischio di batteri resistenti agli antibiotici

Mangiare sushi e pesce poco cotto aumenta il rischio di contrarre batteri resistenti agli antibiotici. A dirlo è una ricerca pubblicata su Aquatic Mammals: lo studio, che ha interessato i delfini, ha rivelato la presenza di una serie di batteri resistenti agli antibiotici, presenti nell’ambiente marino e pericolosi per l’uomo. Il problema non sono i mammiferi marini, visto che vengono mangiati in pochissime parti del mondo. Il fatto è che vengono considerati un ottimo indicatore per la salubrità e sicurezza della vita marina (i pesci), i quali sì che poi finiscono col diventare cibo per noi.

Lo studio, condotto dalla Florida Atlantic University, ha esaminato i delfini dal 2003 al 2015, lungo la costa atlantica degli Stati Uniti. Hanno così scoperto che fra il 2009 e il 2015 la resistenza agli antibiotici comuni in alcuni ceppi di Escherichia coli è più che raddoppiata. Nel frattempo, poi, anche la resistenza a farmaci per trattare il Vibrio alginolyticus (provoca gravi intossicazioni da frutti di mare), è aumentata in maniera significativa.

Gli scienziati hanno anche trovato tracce della presenza di Acinetobacter baumannii, responsabile di gravi infezioni acquisite negli ospedali. Lo studio ha così prospettato che chi mangia sushi, pesce crudo o poco cotto, potrebbe contrarre batteri per i quali non esistono medicine efficaci.

La resistenza antimicrobica si verifica quando il DNA dei batteri muta o quando diversi tipi di batteri acquisiscono DNA l’uno dall’altro, diventando così capaci di resistere agli antibiotici. A portare a ciò ci ha pensato l’uso indiscriminato di antibiotici in umana e nel settore della salute animale, unito al fatto che nessuna nuova classe di farmaci è stata sviluppata negli ultimi decenni.

Secondo Adam Schaefer, a capo del team di ricercatori del nuovo studio, è probabile che i batteri isolati nei delfini siano originati da una fonte in cui vengono regolarmente usati antibiotici, i quali entrano nell’ambiente marino tramite attività umane o scarichi da fonti terrestri. L’88% dei batteri e agenti patogeni isolati nei delfini era resistente ad almeno un antibiotico. La resistenza più comune, presente nel 91,6% dei campioni, era quella all’eritromicina.

Il dr. Peter McCarthy, co-autore dello studio, ha poi spiegato che oltre alle infezioni nosocomiali, sono aumentati a livello mondiale le segnalazioni di ceppi resistenti legati alla piscicoltura. E pare che sempre più ceppi di tubercolosi stiano diventando resistenti agli antibiotici.

[Crediti | Telegraph]