Identità Golose 2012: quelle discussioni tra amici e colleghi che sembrano tele-risse

Questa del 2012 è l’edizione di Identità Golose che le prossime edizioni dirò che edizione discussa quell’edizione. L’edizione dei due punti di vista con risvolti da kit del piccolo sociologo. Da una parte l’edizione “che ha superato ogni aspettativa”, dall’altra l’edizione “passerella di sponsor che si diserta volentieri”. Se gli scrittori italiani hanno il polso dell’attualità, capace che l’argomento “cuochi che discettano sul podio per giornalisti deferenti che dovrebbero essere i loro giudici”, finisce nel prossimo libro di Fabio Volo.

Peraltro, nella blacklist degli ostentatori di disprezzo ci sono anche i fanatici del food (un tempo noti come foodblogger) meritevoli di sdegno in quanto: 1) “veicoli inconsapevoli del business”, 2) “corrieri di un mercato che li manipola”, 3) “zoccolo duro di una omologazione acritica”, 4) “comode groupies di un meccanismo che monetizza la fedeltà”, 5) marmellata da fanzine, e da ultimo, tempestatori di souvenir fotografici nella bacheca degli altrui Facebook.

In mezzo noi, cronisti e lettori di buona o malagastronomia, che tra (A) ammiratori benevolenti e (B) esternatori contrariati e magari un po’ rosiconi (incluso qualche lettore di Dissapore) fatichiamo a raccapezzarci.

Eccovi il riassunto del day-after, vedete se ci capite qualcosa e, anche per aiutarci a interpretare le prossime puntate, partecipate al gioco delle opinioni.

(Addetti ai lavori sì). La migliore edizione di sempre di Identità Golose, la tre giorni milanese quest’anno ha davvero superato ogni aspettativa. [Marco Bolasco/Slow Food]
(Addetti ai lavori no). Identità Golose, passerella di sponsor e di chef, è una manifestazione che si diserta proprio volentieri. [Valerio Visintin/Corriere delle Sera]

(Foodblogger sì). Il convegno ha preso una nuova forma che si conferma l’incrocio obbligatorio del settore, il palcoscenico più rappresentativo della ristorazione italiana. [Elisia Menduni/La Gazzetta Gastronomica]
(Foodblogger nì). Gli stand laccati, le vetrine, i televisori, le hostess, le luci: non siamo più in cucina, ma in un reality. [Mariachiara Montera/The chef is on the table]

(Commentatori di Dissapore sì). Iniziativa in pochi anni cresciuta tantissimo, anche all’estero. Non è superficiale, non è una pagliacciata televisiva come tante altre nel recente passato. [Pier]
(Commentatori di Dissapore no). La solita compagnia di giro che cerca di sopravvivere. Chi scrive, chi fotografa, chi spinge: alfin bisogna pur vivere di qualcosa? [Luca]

[Crediti | Instagram di Lorenza Fumelli e OllaPolla]