50 Best Restaurants 2019: polemiche da pop corn prima di conoscere i vincitori

Le polemiche e i pronostici sulla World's 50 Best Restaurants 2019, in vista della premiazione di Singapore il prossimo 25 giugno. Pop-corn alla mano, vi riassumiamo le maggiori critiche poste alla classifica dei migliori 50 ristoranti del mondo.

50 Best Restaurants 2019: polemiche da pop corn prima di conoscere i vincitori

Ci siamo quasi, è il momento di preparare i pop corn e godersi le polemiche: il prossimo 25 giugno, a Singapore, verranno proclamati i vincitori, i migliori cinquanta chef del mondo, quelli della 50 Best Restaurants 2019. Che poi, in realtà, non saranno proprio i migliori cinquanta del mondo. Diciamo i migliori cinquanta ai netto dei migliori.

Gli spodestati della Hall of Fame

Già, perché, per dare un po’ di brio a una classifica le cui prime posizioni rischiavano di essere appannaggio di un pugno di nomi (negli ultimi tre anni, fu due volte numero uno il nostro Massimo Bottura, spodestato solo nel 2017 da Daniel Humm dell’Eleven Madison Park), il comitato direttivo della 50 Best ha deciso  di cambiare le regole del gioco, togliendo dalla classifica proprio i migliori. In pratica, chi ha già vinto la competizione negli anni passati entra in una sorta di Hall of Fame e chi s’è visto s’è visto.

Un meccanismo che non ha mancato di suscitare critiche quando è stato annunciato, e che torna a farlo adesso, a una manciata di giorni dalla premiazione. Salgono i livelli di adrenalina, impazzano i toto nomi e noi, sfregandoci le mani, ci godiamo le polemiche che circondano la classifica che tutti i gourmet del mondo attendono. Chi sarà il numero uno del mondo?

Noi Italiani portiamo a casa già un ottimo risultato, di cui non dovremmo dimenticarci: quello dei fratelli Giancarlo e Riccardo Camanini, che con il loro Lido 84 (recensito qui per voi) e la loro cacio e pepe in vescica di maiale) hanno vinto il premio 2019 “One to Watch” e sono entrati nella top 100 (anzi, top 120, in omaggio ai 120 anni di S.Pellegrino, acqua sponsor della manifestazione), al numero 78. Dovrebbe bastare questo a renderci contenti, se non fossimo un popolo di gastropolemici e non stessimo passando le giornate a mangiarci le mani per Niko Romito, che con il suo Reale esce dalla 50 Best, posizionandosi proprio al gradino numero 51 (l’anno scorso era al 36esimo posto, per dire).

I big in gara

Ma torniamo alle polemiche internazionali, le più succose di tutte, come racconta anche il Time in un articolo su tutto ciò che di controverso c’è in questa edizione della 50 Best .
Ad esempio c’è la questione dei “big” in gara. Ci è chiaro che i ristoranti che hanno già vinto sono esclusi dalla Top 50. Ma cosa dire di quelli che hanno vinto, e poi hanno chiuso e riaperto sotto un altro nome? È il caso del Noma 2.0 di René Redzepi (miglior ristorante al mondo dal 2010 al 2012, e poi ancora nel 2014) che, a seconda di come la 50 Best valuterà questa situazione, potrebbe essere il nome iper favorito per questa edizione del concorso. Come se Laura Pausini gareggiasse a Sanremo.

Non a caso Redzepi (che pare non sarà presente alla cerimonia di Singapore, per motivi legati alla sua nuova apertura) è uno dei pochi grandi a essersi espresso contro le nuove regole del gioco. “Se uno chef riesce a creare un ristorante che definisce le linee guida del periodo per più di un anno, non dovrebbe essere inserito nella classifica?”, si chiede Redzepi.

Potrebbe sembrare materia esclusiva da gastrofanatici, ma non bisogna dimenticare che si parla di business, e di un premio che può cambiare in maniera davvero importante le sorti di un ristorante: “Nell’arco di 24 ore dalla cerimonia abbiamo ricevuto due milioni di richieste di prenotazione, e stiamo ancora subendo l’impatto positivo della premiazione”, ha affermato al Time lo chef catalano Joan Roca, che con il suo El Celler de Can Roca è arrivato al primo posto nel 2013 e nel 2015.

I giudici della 50 best non pagano il conto

Quando ci si mettono di mezzo i soldi, tanti soldi, la polemiche fioriscono come funghi. Per esempio, fa notare il Time, c’è il fatto che – a differenza di quanto afferma di fare Michelin per le sue guide – i giudici della 50 Best (un migliaio di chef, scrittori e gourmet) non sono tenuti a pagare per i pasti che consumano nei ristoranti, e ciò ha portato (come accade un po’ ovunque e a tutti i livelli, per la verità) a un fioccare di inviti, spesso guidati anche dagli enti turistici più lungimiranti, che coprono le spese necessarie a portare i giurati ai tavoli dei loro ristoranti più rinomati.

Il premio di consolazione alle donne

C’è poi l’annoso problema della parità di genere. Non un problema limitato alla 50 Best, per la verità, ma diffuso in tutto il mondo dell’enogastronomia. Solo cinque dei ristoranti in classifica nel 2018 sono guidati da donne, tanto che per riequilibrare la bilancia la 50 Best ha istituito il premio per la migliore chef del mondo (andato quest’anno a Daniela Soto-Innes). Cosa che, peraltro, non ha fatto che alimentare nuove polemiche da parte di chi considera una bassezza il dover creare un premio di genere, tanto per titolare una volta ogni tanto una fanciulla.

E poi la geo – politica: possibile che solo sedici tra i migliori ristoranti del 2018 siano al di fuori di Europa e Stati Uniti? Nessun premio di consolazione per i Paesi in via di sviluppo? (questa è una provocazione: NON FATELO).

C’è inoltre – ancora – la questione del ritiro dalla classifica dei Best dei Best. Sostiene il Time che, nonostante gli chef esclusi dimostrino di averla presa molto bene (“Penso che sia il momento per gli altri di essere lì, soprattutto per le nuove generazioni”, ha dichiarato Massimo Bottura all’indomani della decisione), in realtà le motivazioni alla base potrebbero andare al di là del semplice turnover nella classifica. In effetti, meglio essere considerato per sempre un fuori classifica che rischiare di subire l’impatto negativo di un declassamento (ci dirà qualcosa su questo, magari, Niko Romito). A confermarlo ci sarebbe anche Daniel Humm, che ha sostenuto: “ci sono stati alcuni cuochi in passato che hanno iniziato a sentirsi incazzati e maltrattati, e hanno iniziato a non presentarsi [alla cerimonia], e questo ha danneggiato tutto, perché lo spirito di 50 Best è quello di comunità”. E anche Ferran Adrià, che con il suo ElBulli è stato al top del mondo gastronomico per cinque volte (prima di chiudere nel 2011) ha affermato: “Una volta che cadi, non scompari solo dalla lista, ma dal piccolo mondo [dell’industria].”

Il futuro di tutto questo, afferma il Time, potrebbe essere una sostanziale modifica dei meccanismi della 50 Best, per andare incontro alle polemiche (che, di tanto in tanto, sembrano in effetti giustificate). Magari un giorno non ci sarà più la classifica, ma una sorta di data base globale (il cui progetto esiste già, il 50 Best Discovery), che raccolga molti più ristoranti di quanti ne possano stare in una Top 50.

Rimaniamo in attesa di sapere chi è il numero uno al mondo, sperando di non finire prima i pop corn.

[Fonte: Time]