Da Lucio a Rimini, recensione: il ristorante (finalmente) stellato che dovete provare

Finalmente la Guida Michelin ha premiato la vera innovazione gastronomica del momento, assegnando la stella a Da Lucio di Rimini. Ristorante che non potevamo che recensire, essendoci stati più e più volte: ecco perché la cucina di Jacopo Ticchi merita, e quanto costa andarci.

Da Lucio a Rimini, recensione: il ristorante (finalmente) stellato che dovete provare

 Jacopo Ticchi è la prova vivente che la cosa peggiore che può capitare a un genio è essere compreso. Il patron di Da Lucio si è fatto notare da giovanissimo per essere “quello della frollatura del pesce”, ed in questo si è subito dimostrato estremamente influente, arrivando addirittura a modificare l’offerta e la struttura stessa di una certa ristorazione italiana, imponendo di aggiungere all’arredamento le ormai ubique celle di frollatura.

Ma se per gli emuli è un punto di arrivo, per Ticchi resta uno strumento per esprimere una visione ben più ampia e profonda, fatta di una cucina controintuitiva e complessa, ma che è riuscita ad arrivare a un pubblico sufficientemente ampio da alimentare ambizioni direttamente proporzionali: un successo senza ombra di dubbio, ma che ha fatto perdere di vista l’acume dei concetti fondanti della sua opera.

All’indomani di una stella Michelin (che giusto un anno fa caldeggiavamo, ormai quasi disillusi) ha tutto il sapore di un riconoscimento della guida rossa a una generazione di talenti che sta riscrivendo le regole della cucina italiana, e certi che tutto ciò abbia fatto parte del processo decisionale degli ispettori gommati, proviamo a sviscerare il fenomeno Ticchi: c’è molto di cui discutere.

La frollatura come la intende Ticchi

lycui crudo dettaglio

Una delle firme di Jacopo Ticchi è la consapevolezza, inverosimile per la sua età, del ruolo dell’umami nel piatto, vera firma autoriale di una cucina intellettuale ed evoluta. Una volta compreso che il glutammato, soprattutto se proveniente da tecniche proprie della cultura a cui si appartiene -nel caso di noi italiani da lunghe cotture, pomodoro, fondi- può dare vita a piatti sempre piacevoli, lavorare sulla sua assenza o su altre origini -come salse e paste amminiche- significa operare su un approccio diverso, quasi semiotico.

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Ed è qui che la cucina di Lucio esprime il suo principale corto circuito: usata la frollatura per liberare la proteina dalla nota iodata che è stata sinonimo di cucina di pesce gourmet per molti anni anni, si crea da solo l’opportunità per ricostituire bocconi millimetrici. È la struttura ormai tipica dei suoi crudi: un abbinamento di ingredienti così come di tempi.

Il tempo come ingrediente secondo Jacopo Ticchi

lucio plateau carpaccio

L’utilizzo del tempo come ingrediente è d’altronde già insito nel nome: Lucio, un nome che suona vecchio ma che è invece pieno di futuro, quanto può esserlo il nome di un figlio, il suo. “Il pesce di Mosca ha un sapore intollerabile per un abitante della costa, ma il pesce della costa è insipido per il moscovita”, così Giovanni Rebora riassumeva come, ai tempi dei trasporti a cavallo, le giornate di viaggio influissero sul sapore del pescato ma, visto che solo gli aristocratici potessero permetterselo, era il loro gusto ad essere quello più desiderato.

La freschezza non è quindi sempre stata un valore assoluto, e ora che abbiamo la tecnica e la tecnologia per gestire il tempo e non subirlo, Ticchi cambia questo paradigma.

Smontare e ricostruire, Da Lucio

lucio riso

Questo suo separare e ricomporre non funziona solo con la frollatura, a dimostrare ulteriormente come la cucina dello chef riminese vada ben oltre: anzi, a ben vedere è un po’ una sua fissazione. Durante il menu del fermo pesca, quando il tempo (di nuovo) in cui si salvaguarda la fauna ittica dell’Adriatico impone ispirazioni di terra, il “Riso alla pescatora” si cuoce all’orientale, affrancandosi dalla mantecatura, permettendo al ragù di rigaglie di volatili e ai frutti di mare crudi di esprimere ogni singolo spigolo ematico, ferroso, salmastro e tutte le loro interazioni.

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Questa sua ricerca lo ha spinto ai casi estremi in cui manipola la materia prima nell’invisibile, portandola a tavola tanto rivoluzionata quasi immacolata, quasi non toccata. Un paradosso che si è espresso al massimo in quella enciclopedia della masticazione che era il “Plateau Royal di carne”, e in uno dei suoi primi, fulminanti assaggi: la “Vacca galiziana frollata 60 giorni e panna tiepida”. qui la tenerezza dopo la frollatura viene rimodulata in tenacità tagliando al contrario di come si farebbe per un carpaccio, ossia perfettamente lungo la fibra, creando un morso inaspettato.

Certo, quando vuole essere “semplicemente” goloso Jacopo dimostra di avere il repertorio di un vero gaudente: terrine, citazioni anni 80, salse post-ironiche, brace, tartufi, ostriche, dando la sensazione che ogni suo menu degustazione sia un banchetto pantagruelico. Ecco, anche qui c’è da discutere.

Il degustazione è morto, viva il degustazione

lucio crudi

Finora mi pare che il mio pensiero sia stato sufficientemente chiaro: Ticchi è un cuoco fulminante, intransigente, dotato di palato affilato e pensiero profondo, ed è evidente che la sua cucina sia molto più controintuitiva di come appare. Un tratto che, purtroppo, difficilmente viene premiato dal grande pubblico. Eppure i numeri sembrano dare ragione a Da Lucio. Come si riesce quindi trasmettere concetti gastronomici così complessi riuscendo a conquistare un pubblico trasversale? Per me, ci riesce attraverso suo lavoro sul menu degustazione.

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Il modo in cui Ticchi lo interpreta è una masterclass da cui qualunque ristoratore dovrebbe trarre lezioni. Pur con ogni elemento dosato al millimetro, il suo allestimento della tavola “da condividere” mette a proprio agio chiunque, sfuggendo allo stereotipo dell’infinita e sfiancante teoria di assaggini, ma vive l’esperienza della più classica mangiata di pesce romagnola.

In quest’ottica anche il Plateau Royal, con la sua alzatina traboccante di ghiaccio che accolgono conchiglie da cui succhiare con voluttà anatra cruda, tartare di pecora e mazzancolle, cozze e lardo di Mora Romagnola, è l’idea illuminante su come reinterpretare e portare il tema a un altro livello.

Pensare oltre la stella Michelin

lucio pentola

E quando c’è da alzare le ambizioni è il momento in cui Ticchi svela forse il suo vero talento, ovvero la capacità di guardare più in là. Prendiamo per esempio il servizio dei dolci: la pasticceria, va detto, non è mai stata il piatto forte dell’offerta di Da Lucio, ma se la sono sempre cavata “buttandola in caciara”, allestendo un secondo banchetto mettendo in mezzo al tavolo un lievitato da ricoprire di crema, o riportando in auge il carrello dei dolci.

Con un nuovo e più ambizioso ristorante, come si poteva alzare ulteriormente il tiro? Con un carrello più grande? No, con un’intera pasticceria allestita all’interno del locale, in cui si viene accompagnati per scegliere tra monoporzioni, sfogliati, sorbetti, gelati e quant’altro: meglio non pensare a come potrà superarsi anche in questo.

I prezzi di Da Lucio e quello che c’è da sapere prima di andarci

lucio sala cover

Posto che non vi giudichiamo se sceglierete di andare Da Lucio e non optare per il degustazione (non è vero, non avete imparato nulla?), oltre al percorso a 145 euro, l’esperienza alla carta è estremamente personalizzabile, potendo scegliere anche tra vari tagli di pesce frollato -o carni, nel periodo di fermo pesca- dal carrello presentato all’inizio del pasto,  poi cotti alla brace o nel forno a legna. Oltre a questo, si può optare per un percorso di 7 calici in abbinamento a 90 euro, pescati da una carta articolata e dalla forte trazione naturale, dove non mancano anche cocktail o opzioni senza alcool.

La nuova, affascinante struttura che accoglie il ristorante, letteralmente in mezzo al mare e a due passi dal “faro giallo” della città, si trova nella darsena di Rimini: al momento della prenotazione riceverete un codice per accedere, in caso decidiate di raggiungerla in auto, lasciandola nei posti riservati.