Home restaurant: incoraggiarli o chiuderli?

Gli home restaurant, o se preferite il social eating, cioè la possibilità di trasformare casa propria in un ristorante, è un'attività da incoraggiare o da contrastare?

Home restaurant: incoraggiarli o chiuderli?

Le donne italiane, anche se lavorano, possono finalmente monetizzare esperienza, abilità e vis culinaria grazie a Gnammo, scrive il Guardian.

Gnammo, che conta ormai 150mila utenti con 9mila eventi in mille città italiane, è l’Air B&B del cibo, uno dei siti che aiuta a trasformare casa propria in un ristorante pop up dove ospitare perfetti sconosciuti –a pagamento s’intende– che scelgono un appartamento privato per una serata conviviale alternativa alle solite cene (sì, anche in calzini).

Claudia Proietti, 59 anni (su Gnammo è Cilaria), di giorno fa l’assicuratrice ma quando rientra nella sua casa romana cucina per chi acquista le sue cene. Adesso ne sta preparando una ispirata al Carnevale per 16 ospiti che spenderanno 25 € a testa.

Per i frequentatori di Gnammo Benedetta Oggero è Miss Bee, una delle cuoche domestiche più contese di Torino. Organizza cene tematiche spesso sold-out e conferma che i ricavi, al netto delle spese per gli ingredienti, contribuiscono a migliorare il suo menage quotidiano. “Mi aiutano a pagare le bollette o a comprare qualcosa“.

Del resto in Italia il matriarcato in cucina è cosa nota: persino Massimo Bottura –precisa il Guardian– affonda le proprie radici di chef rivoluzionario nelle giornate passate a spiare le donne di famiglia intente a cucinare.

Anche se poi, fuori dalla cucina di casa, sono poche le donne che brillano. Re incontrastato delle cucine professionali rimane l’uomo, e uomini sono anche i componenti delle brigate di cucina, specie giovani uomini immigrati.

Ma mentre Gnammo rilancia con il “Social Restaurant“, stessa formula solo che stavolta le cene si svolgeranno nei ristoranti con tanto di tavolo dedicato e menu studiato ad hoc, la Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, descrive gli “gnammers” (così si chiamano i membri della community) come “evasori fiscali che distorcono il mercato della ristorazione e mettono a rischio la salute, mancando i controlli sugli alimenti preparati“.

La Fipe ha chiesto a gran voce al Ministero dello Sviluppo Economico di riempire il vuoto legislativo che tanti mal di pancia procura ai ristoratori “tradizionali”, strapazzati da un’infinità di tasse e contributi.

Posizioni in apparenza inconciliabili che non chiariscono l’amletico dubbio di questa situazione:

cosa rappresentano Gnammo e le altre comunità dedicate al social eating, opportunità concrete per monetizzare il vigore culinario delle donne italiane, come scrive il Guardian, o strumenti per evadere il fisco e diffondere virus?

[Crediti | link: Guardian, Dissapore, The Foodmakers, Ansa]