La Parma per veri gastronomi in 8 ristoranti da provare per tutte le tasche

Officina Alimentare Dedicata è nel pieno centro di Parma, a due passi dal Tabarro dove di solito ci si ritrova prima o dopo (o entrambe) di cenare in questo piccolo e curato ristorante che riesce con disarmante semplicità nel suo intento di raccontare un’emilianità tanto moderna quanto popolare. Grandi materie prime conosciute per nome e cognome, ricchezza e generosità di porzioni e gusti sia nelle proposte, impeccabili, della tradizione più stretta, che in quelle più contemporanee, sempre golosissime. Intelligente la selezione dei vini, con un occhio di riguardo alle bolle emiliane e francesi, di ispirazione naturale ma versatile e trasversale.

Sommelier, enologi, vignaioli, semplici appassionati: prima o poi chiunque orbiti intorno al mondo del vino si ritrova a gravitare verso il Tabarro, storica enoteca del centro di Parma. Tra le sue botti, accompagnati dal colto oste Diego Sorba, si è formata una generazione di enotecari, e se esiste una via parmigiana riconoscibile in locali di questo tipo, molto lo si deve proprio al Tabarro. Il recente cambio della guardia al timone è stato gestito all’insegna della coerenza, e ha portato giusto una garbata brezza sudamericana come il ceviche o qualche occasionale, clamoroso formaggio peruviano: ragioni di cuore, quindi sempre bene accette. La cantina è una miniera di chicche, il prosciutto si taglia rigorosamente al coltello e la sensazione è sempre quella di essere al centro del mondo enologico.

Al di là della Parma, nel popolare e vivace quartiere di Oltretorrente, officiano due osti friulani, incontratisi nel Ducato e qui rimasti, per la fortuna degli appassionati di vino locali. La cantina è il regno di Michel, a cui affidarsi rigorosamente “senza fare nomi”. Qui da Oltrevino si bevono vini e non etichette, basta chiedere di cosa si ha voglia, e avere un po’ di spirito di esplorazione: la fiducia verrà sempre ripagata. “Pippi” in cucina si affida a materie scelte con la stessa etica delle bottiglie, e propone piatti di bontà sproporzionata rispetto alle dimensioni della minuscola cucina, incluso in immancabile e irresistibile frico.

Il Virgilio dell’insegna è Buratti Zanchi, a Parma conosciuto come “l’oste resistente”: definizione che, nel quartiere che nel 1922 è stato teatro delle barricate antifasciste, è una forte dichiarazione d’intenti. Con un passato agricolo e come operaio in un prosciuttificio, esprime la sua “resistenza” attraverso la cultura del cibo e del vino, senza nessuna concessione a trend, mode, o ad alcun prodotto che non si identifichi al 100% nella sua etica, una coerenza che emerge chiara nel menù. Selezioni di salumi e formaggi ragionate ed identitarie, paste tenaci (non perdetevi gli gnocchi in qualsiasi accompagnamento), e le carni, soprattutto pecora e cavallo, servite con grande semplicità.

È un variegato gruppo di talenti quello che, a due letterali passi dal Duomo di Parma, ha creato questo piccolo bistrot, dove tutto sembra pensato per lasciarsi alle spalle limiti e confini di qualsiasi tipo, siano essi gastronomici, ristorativi o figurativi. In cucina i due cuochi di lunga esperienza londinese da Giorgio Locatelli esprimono grande tecnica e non disdegnano proteine di lusso, creando composizioni di grande concretezza e gusto, in un menù che sovverte con intelligenza anche la classica suddivisione tra antipasti, primi e secondi, e con piatti disponibili anche in mezze porzioni. Accoglienza local e respiro internazionale, per un locale che sta sempre più acquisendo una sua identità tanto globale quanto inconfondibilmente parmigiana.

Fin da quando era una “semplice” (le virgolette sono d’obbligo) bottega di panini cucinati, il potenziale era già esplosivo, perché in mezzo al pane trovavano posto alcune delle preparazioni più golose e di carattere di Parma, da un commovente cavallo crudo -“commozione” era appunto il nome del panino- alle carni brasate, fino a quel “cotechino tutto l’anno” diventato orgoglioso motto del locale. “Tra l’uss e l’asa” in dialetto locale significa “tra l’uscio e l’anta”, una situazione di indecisione che è quanto di più lontano dallo spirito di Laura e Lorenzo, osti intransigenti e dalle idee chiarissime, la cui emozione nei confronti di prodotti e vini è contagiosa. Dopo qualche ritocchino strutturale la bottega si è evoluta a tutti gli effetti in ristorante, con servizio al tavolo, calici di vetro e fighettismi sempre banditi, con una cucina sempre più di carattere e un amore sempre più dichiarato per il quinto quarto. I coperti sono pochissimi e la prenotazione è obbligatoria.

Federico Capocasa ed Eugenio Restivo sono gli chef, maitre, sommelier, camerieri, runner, lavapiatti di questo localino da meno di venti coperti nel pieno centro di Parma, e non è un’esagerazione. I due soci sono gli unici membri della brigata, in una formula ispirata all’amichevole intimità tra commensali e cuochi che si vive nelle izakaya giapponesi: anche qui tutte le preparazioni sono a vista, e ci si accomoda al bancone o ai pochi tavoli che lo circondano. L’ispirazione nipponica si ferma però lì, perché la cucina ha salde radici nei prodotti del territorio come carne di cavallo e lumache, interpretati con tanto rigore tecnico quanta ironia, in composizioni intense ed eleganti e senza forzature.

Siamo al terzo capitolo gastronomico di Inkiostro, dopo gli inizi con Franco Madama e la sperimentazione estrema di Terry Giacomello, la famiglia Poli mantiene saldamente il timone di quella che da subito si è imposta come una roccaforte dell’avanguardia gastronomica, scelta alquanto difficile in una città così fieramente identitaria come Parma. Ora in cucina troviamo Salvatore Morello, calabrese di nascita e formatosi alla corte di Joachim Wissler (da molti salutato come il miglior cuoco di Germania), il suo nuovo corso si basa su una filosofia culinaria meno spericolata ma certamente più immediata, e fondata su tecniche classiche interpretate con mano virtuosistica. I piatti sono sontuosi, eleganti, ricchi di dettagli e contrappunti, impreziositi da vegetali esotici ma coltivati in prossimità, di chiara ispirazione internazionale.