Perché Airbnb si butta sul food: è l’inizio della fine o semplice chefwashing?

Cosa ci sta dicendo Airbnb con nuove esperienze "stellate" che sta pubblicizzando? Sicuramente, che non è l'alternativa economica agli alberghi.

Perché Airbnb si butta sul food: è l’inizio della fine o semplice chefwashing?

Dunque una delle notizie della settimana è che Airbnb si butta nel mercato del food: d’ora in poi chi affitta una stanza o una casa (ma anche chi sta a casa sua) potrà richiedere un catering, la consegna di un pasto pronto, un’esperienza livello chef. L’annuncio è stato dato da Brian Chesky, co-fondatore e Ceo di Airbnb, nella “Summer release 2025” (giah), ed è di quelli da far tremare le vene ai polsi.

Infatti i giornali titolano cose come “Airbnb fa concorrenza agli hotel anche su food&beverage”, e quindi uno si chiede: è l’inizio della fine? È partita una nuova rivoluzione che metterà sottosopra il mondo della gastronomia e il modo stesso di intendere il cibo, proprio come da vent’anni a questa parte le piattaforme di affitti brevi come Airbnb hanno stravolto il mondo dell’ospitalità, e il modo stesso di intendere il viaggio e il turismo (e da ultimo cambiato il volto delle città, non sempre in meglio, diciamo).

Che la foodification, cioè la trasformazione di qualsiasi cosa in un’esperienza gastronomica, sia l’ultimo stadio della turistificazione, è un dato di fatto. E che Airbnb non sia una mera piattaforma d’intermediazione ma un colosso globale, altrettanto: in 17 anni, due miliardi di persone ospitate; sono i numeri dati dallo stesso Ceo. Però, però: a ben guardare cosa c’è dietro questo ingresso qualcosa non fila, e forse per una volta gli apocalittici come me potrebbero avere torto.

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Innanzitutto, siamo proprio sicuri sia ‘sta grande news? In realtà su Airbnb i servizi aggiuntivi esistono da tempo, e così pure la categoria “esperienze”, che è stata lanciata 10 anni fa. Certo, la novità sta nell’aumento delle possibilità, oltre che nella collocazione in maggior evidenza sull’app, per l’occasione riorganizzata. Da oggi infatti l’offerta Airbnb si divide in tre categorie di pari dignità: alloggi, servizi, esperienze. 

Ma la domanda principale che uno si pone è: che cos’è in sostanza questa offerta? A che scopo mira, qual è il bisogno che pretende di soddisfare, la fetta di mercato che vuole occupare? Ricordiamoci che il bed&breakfast nasce come alternativa economica all’albergo: non ho abbastanza soldi per andare in hotel, prendo una casa e risparmio, stando pure più comodo. Mutatis mutandis, Airbnb vuole ora diventare l’alternativa economica al ristorante? Meh. In primis l’alternativa cheap al mangiare fuori c’è già: sono le piattaforme di food delivery. Ainrbnb vuole fare concorrenza diretta a Glovo e Just Eat? Non penso che in California siano così sciocchi.

Quindi, è logico che si buttino sul segmento premium: anche se qui qualche certezza inizia a vacillare. I servizi infatti sono di genere vario, tra i non gastronomici si annoverano trattamenti benessere e fitness, massaggi (massaggi), l’immancabile servizio fotografico, unghie trucco e parrucco. Lato che ci interessa: chef (pasti personalizzati), pasti pronti (non si capisce bene la differenza con il precedente), catering (che tra l’altro, come si armonizza con il sacrosanto divieto di fare feste spesso imposto dall’host?).

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Scendendo poi nel dettaglio, viene il sospetto che sia un premium più di forma che di sostanza: i tanto promessi chef sono Martina, Giulia, Valentina, che offrono assaggi di prodotti locali o addirittura lezioni di pasta fatta in casa. Il che potrebbe sollazzare, almeno in Italia, i tanti turisti altospendenti alla ricerca di esperienze immersive, come si dice oggigiorno, che a questo punto troverebbero in Airbnb un’alternativa più interessante dell’albergo, al di là dei costi. Entrando nello specifico delle proposte gastronomiche della piattaforma, però, ci si allontana dalla promessa pubblicizzata. Per la cronaca, nello spot televisivo si parla di cene “stellate”, con una curiosa appropriazione lessicale.

Eh certo che all’estero è tutto un altro andare, tipo a Tokyo c’è una lezione di ramen con Saburo Ishigōka, chef nientepopodimenoche di un ristorante Bib Gourmand (ce ne stanno migliaia in tutto il mondo, 291 solo in Giappone). Ah no aspetta, in Toscana c’è una cena a 260 euro, sarà una roba stellare, infatti è firmata da Giacomo Petri, professione private chef. Insomma, l’impressione è che Airbnb stia facendo un po’ chefwashing, proponendo menu stellari come i paninetti gourmet di Trenitalia, che in effetti sono tutta un’altra cosa rispetto a quelli di prima.

E a proposito di treni, mi viene da pensare che queste offerte Airbnb ricordano un po’ i servizi aggiuntivi dei siti dove si comprano i biglietti del treno o dell’aereo, presentati come grandi opportunità e di solito skippati alla velocità della luce. Dite un po’, quando è stata l’ultima volta che avete affittato un’auto o prenotato il biglietto di un museo dal sito di Italotreno? Esatto.

Che poi, da ultimo, la questione dei servizi aggiuntivi e delle esperienze a domicilio potrebbe essere posta anche in questi termini: chi viaggia lo fa per scoprire mondi nuovi o per starsene a casa servito e riverito? Certo il servizio integrato si muove nell’ottica di una maggiore comodità, ma soprattutto di una maggiore programmazione, che lascia minore spazio all’improvvisazione e alla scoperta: in questo senso, ciò che l’abbandono dei viaggi organizzati (chi va in bnb certo non lo fa tramite tour operator) ha fatto uscire dalla porta, potrebbe rientrare dalla finestra. E questa, più che una rivoluzione, sarebbe una restaurazione.