Sestogusto a Torino: il fine dining della pizza

Recensione di Sestogusto a Torino, la pizzeria di Massimiliano Prete. Il menu, il locale, le pizze da provare, le nostre opinioni.

Sestogusto a Torino: il fine dining della pizza

Sestogusto non è una pizzeria: è un ristorante di fine dining a base di lievitati. Anzi, meglio ancora: è un laboratorio permanente di lievitati che accompagnano prodotti gourmet. Sestogusto è Massimiliano Prete che sbarca a Torino. Dopo Gusto Divino a Saluzzo  e Gusto Madre ad Alba, a fine 2017 Prete apre nel capoluogo piemontese, e dopo qualche mese si stacca dal socio e cambia nome: ma mantiene i riconoscimenti e le posizioni di spicco in tutte le classifiche.

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Massimiliano Prete è una delle colonne portanti del movimento delle pizzerie contemporanee, e Sestogusto ne rappresenta uno degli ultimi gradi di evoluzione. Come Renato Bosco – che infatti si autodefinisce “pizzaricercatore” – e come vari altri, Prete è alla continua ricerca di soluzioni innovative per gli impasti, sia dal punto di vista delle materie prime sia dal punto di vista del risultato. Questa ricerca si pone come un’opera aperta, un work in progress. In che senso? Ci arriviamo. Intanto diciamo che il nome deriva da quello che secondo una ricerca sarebbe stato scoperto come gusto ulteriore rispetto ai cinque codificati – dolce amaro acido salato umami: la percezione del nostro palato per i carboidrati.

Il format è quello della pizza gourmet o a degustazione che dir si voglia, con relativa divisione in due turni, 19.30 e 21.30. L’ambiente è quello della centralissima via Mazzini, in una delle zone più signorili della capitale sabauda – la ricchezza qui non è cosa fresca e rampante, ma antica e placida – nove negozi su dieci hanno a che fare con il food&drink, è una specie di galleria gastronomica. Ma strana, perché le botteghe e i locali “diurni” sono quelli che ti aspetteresti: la macelleria storica con i tagli di fassona più pregiati, la gastronomia pugliese etno-chic, la saletta da tè che sembra una profumeria. Invece ristoranti e locali da sera hanno un taglio più da intrattenimento di massa, con centinaia di coperti, e nomi come SpaccaNapoli e Tokyo.

Sestogusto TorinoSestogusto Torino

Sestogusto si presenta diverso, con il logo dell’Università di scienze gastronomiche  – la cosiddetta università di Slow Food – in bella vista all’esterno, e un sottotitolo che è tutto un programma: “L’impasto oltre la pizza”. All’interno lo stile è minimale ma non freddo: in alto sono state mantenute le volte a mattone, a terra parquet chiaro, tavoli e sedie di legno modello come una volta, lampadari e pannelli alle pareti moderni. Quattro ambienti comunicanti separati solo da grandi arcate e mobilio, una cinquantina abbondante i posti. Sui tavoli i coperti sono le classiche tovagliette di carta (ormai stanno passando di moda anche quelle…) dove però Massimiliano Prete continua a raccontarsi, esordendo con “Sono un lievitista”.

Il menu di Sestogusto

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Solo pizze, o meglio solo lievitati, tanti impasti diversi. Troppi? Ci torniamo, ma comunque di meno rispetto a quelli che si potevano trovare (e che noi avevamo trovato in una prima visita) prima della pandemia. Un’altra cosa che è stata messa a punto – vuoi per l’obbligata decrescita imposta dalle contingenze degli ultimi anni, vuoi perché sta diventando trasversale la consapevolezza della superiorità dei menu brevi, o meno lunghi – è l’affinamento dell’offerta: per ogni tipologia ora si trovano poche varianti nel topping, ed è anche giusto, perché non ogni impasto sta bene con ogni condimento. Ecco il senso del work in progress, del laboratorio sperimentale in cui il cliente è un po’ beneficiario un po’ cavia.

Un menu lungo sette pagine: quindi ci si arma di pazienza – e rassegnazione, perché già si sa che non è possibile provare tutto – e si inizia a compitare. La Classica (7 gusti), che è tale solo come forma, perché fatta con lievito madre e farina tipo 1. Pizz’otto (4): la tipica gourmet da condivisione, alta e soffice (si autodefinisce “nuvola di grano”), tagliata a spicchi e con topping fuori cottura. Croccante (3): lievitazione mista (birra+madre), lunga fermentazione, alta idratazione, grano evolutivo (i cavalli di battaglia della pizzeria contemporanea ci sono tutti). FaCroc (3), che attenzione è cosa diversa dalla Croccante, ed è addirittura marchio registrato: interpretazione della classica focaccia romana, tagliata per lungo e imbottita. La pala (3): mezzo metro di pizza, ognuna con 2 topping diversi, minimo per due persone e ideale per condivisione, con tanto di endorsement dello chef tristellato Enrico Crippa (“una nuvola d’aria”).  Le Speciali (3): cambiano spesso, è la zona più sperimentale del menu, dove addirittura può trovare spazio una fetta di panettone riciclata in modo gourmet. Tesori d’inverno (5): è invece l’angolo del riccone, per così dire, dato che al pan brioche sono abbinati gli ingredienti più da luogo comune deluxe (astice, caviale, foie gras).  Per la cronaca, anzi per la storia, l’impasto che non c’è più è Fermento: una tonda a fermentazione spontanea, cioè senza lieviti aggiunti, che effettivamente era poco riuscita.

Per i topping, guardate le foto (o il menu online): il leitmotiv è comunque l’estrema raffinatezza degli abbinamenti, la qualità degli ingredienti che vanno dal minimo del ricercato al massimo del lusso spatusso. Vogliamo fare i puntigliosi? Osserviamo il notevole livello dei prezzi, da ristorante di fine dining, ma più che un difetto è un’ovvia conseguenza dell’offerta. E la scarsità nella proposta vegetariana: se si escludono quattro pizze nella pagina delle classiche, per il resto a botte di scampi e pata negra, caviale e foie gras, per chi non mangia animali c’è poco altro, anzi niente. (E questa invece una cosa tanto contemporanea non è.)

C’è anche la carta delle acque frizzanti, perché ovviamente ognuna ha le sue caratteristiche. Le bibite sono bio o MoleCola. C’è una pagina di birre artigianali locali, e ci sono 3  birre alla spina: una Baladin, una semplice bionda alla spina, una artigianale a rotazione ogni mese – striminzito ma intelligente. Pazzesca la proposta vini: ci sono i classici e i naturali, le grandi bottiglie e le bollicine, ma soprattutto sono divisi per caratteristiche (soffici, croccanti…) un po’ come si fa con gli impasti.

Le pizze di Sestogusto

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Il viaggio attraverso gli impasti di Prete è un’esperienza divertente, e sorprendente. Rispetto solo a qualche anno fa – epoca di una visita che, lo avrete capito, non mi aveva entusiasmato – ho trovato una messa a punto degli impasti e delle cotture lodevolissima: una vera differenza tra un modello di pizza e l’altro, un senso degli accostamenti squisito che gioca tra semplicità e complessità.

FaCroc è scrocchiarella e profumata, sembra quasi sfogliata dentro e la nota tostata della crosta accelera la salivazione. Nella versione con baccalà mantecato e nocciole il tutto viene esaltato: il pesce è delicato ma di personalità, le nocciole ci stanno incredibilmente bene, da una parte contrastando il baccalà, dall’altra doppiando consistenza e tostatura dell’impasto.

La Croccante è, beh, croccantissima ma in modo diverso dalla precedente, più tendente al crispy che al crunchy – per una volta l’anglicismo è giustificato perché noi due parole per indicare questa sottile differenza non ce l’abbiamo, “friabile” non rende. Leggerissima e gustosa, con farina di mais e semi di girasole nell’impasto, la Gambero Rosso si presenta anche bellissima: ed è buonissima, con quattro ingredienti grasso/umami – gambero di Mazara del vallo, burrata, guacamole, lardo di pata negra in verità giusto accennato – che però non si coprono ma si spalleggiano a vicenda.

Sestogusto TorinoSestogusto Torino

La Pizz’Otto è interessante: non una nuvola, direi più un cuscino, alto e super soffice. Qui la classica accoppiata acciuga/burrata viene sparigliata da un pomodoro non in pezzi ma in salsa, bella tiepida: non gli daresti due lire e invece funge alla grande. Alla fine, quella che convince di meno è proprio la Classica: sia per l’impasto che non è niente di che, sia per la presentazione che non è top come le altre – però il sapore è molto buono, anche se al posto del Porro di Cervere che dà il titolo alla pizza, arriva con un’altrettanto dolce cipollina bianca.

Interessanti sono anche i dessert, tutti fatti in casa, sorbetti compresi. Anche se il Budino al cioccolato bianco ha tanti ingredienti, forse troppi, in una presentazione che invece di esaltarli li confonde.

Infine: la digestione è ottima, se c’è qualche intoppo non sarà dovuto agli impasti ma alla sapidità (e all’abbondanza) dei topping. Il prezzo è quello che ci si aspetta, tra i 30 e i 40 euro a testa, ma mangiando a sazietà, e come in un ristorante.

Sestogusto Torino

Opinione

pizzerie

Sestogusto è la pizzeria gourmet di un lievitista, più che di uno chef prestato alla pizza: gli impasti sono tutti o quasi ben riusciti, tutti o quasi creativi, soprattutto sono tutti diversi tra loro, ben caratterizzati, e quindi “necessari”. Se proprio vogliamo fare un appunto: innovazione per innovazione, perché non andare fino in fondo e trovare il coraggio di togliere senz’altro dal menu la pizza classica, tra tutte la meno particolare e anche la meno riuscita? Ma sono pignolerie, siamo indubbiamente di fronte alla migliore pizzeria di fine dining a Torino, che potrebbe diventare la migliore d’Italia.

PRO

  • Servizio efficiente e veloce; personale di sala gentile, disponibile e simpatico, e soprattutto numeroso: cosa che va a lode del management.

CONTRO

  • I condimenti delle pizze sono di alto livello, ma la creatività si manifesta più nella scelta e negli abbinamenti: c'è poca "cucina".
VOTO DISSAPORE: 8.5 / 10
Voto utenti
Sestogusto
Sestogusto
Sestogusto Torino, Via Giuseppe Mazzini, 31, A, 10123 Torino, TO, Italia