Bio non fa sempre i miracoli

Il bello dei blog, come diciamo spesso su Dissapore, è nei commenti. A un lettore capita di citare l’articolo di una rivista scentifica prestigiosa (Science) dal titolo altisonante (“Soil Fertility and Biodiversity in Organic Farming“) che riassume ventuno anni di studi (21!) su quattro metodi di coltivazione: biologico, biodinamico, convenzionale con letame e convenzionale solo con fertilizzanti di sintesi. I risultati dimostrano chiaramente che con il metodo biologoco le rese sono più basse rispetto all’agricoltura convenzionale: nel caso del grano sono circa il 90% mentre con le patate scendono al 58-66%. Però con il metodo biologoco l’energia necessaria a produrre lo stesso prodotto, nelle stesse quantità, è minore di una percentuale che oscilla tra il 20 e il 56%. Infine, e a me questo sembra il risultato più interessante, la ricchezza della fauna nei campi bio è superiore: le specie di insetti e la presenza di un suolo con più microorganismi permette alla materia organica di decomporsi meglio con evidenti benefici per la fertilizzazione del terreno.

Quest’anno, un nuovo studio apparso su un’altrettanto prestigiosa rivista (Nature) ha dimostrato che l’agricoltura bio non solo aumenta le specie di insetti presenti nei campi, ma queste sono anche numericamente più equilibrate tra predatori e insetti infestanti, il cui comportamento si può finalmente controllare meglio.

In poche parole, parlando di biodiversità dei terreni coltivati, l’agricoltura convenzionale è meno efficiente di quella biologica.

Ciò non toglie che il problema delle rese resta, un calo del 20% significa dover coltivare il 25% di terreno in più per ottenere la stessa quantità di prodotto. L’uomo coltiva circa un terzo delle terre emerse, aumentare i terreni coltivati vuol dire anche sottrarre spazio agli altri ecosistemi (boschi, foreste pluviali, etc) senza contare che in certe colture, come le patate, il calo delle rese è perfino superiore.

L’agricoltura bio merita sicuramente più attenzione, specie per le coltivazioni che non hanno nella resa il fattore più importante (penso alla vite). In questi casi è un alternativa praticabile e auspicabile ma proporla come toccasana per tutti le coltivazioni è sbagliato.

Il mondo non si sfama con le guerre di religione tra entusiasti del bio e dell’autarchia alimentare vs. fautori della rivoluzione verde, ma dando risposte diverse a problemi diversi. Di sicuro, insegnare ai senegalesi come coltivare un orto può contribuire al loro sostentamento, ma temo che la zucca e l’ortica non basteranno a salvare l’Africa. Dalla fame.

[Fonti: Science Mag, Nature, Repubblica, immagine: Genitron Sviluppo]