“La carne coltivata arriverà presto, ma solo con l’aiuto dei Governi”: intervista a Carlotte Lucas

Carlotte Lucas, Manager di Good Food Institute Europe, risponde a tutte le domande che ci stiamo facendo sulla carne coltivata che, dice, arriverà in tempi brevi, ma con il sostegno delle istituzioni.

“La carne coltivata arriverà presto, ma solo con l’aiuto dei Governi”: intervista a Carlotte Lucas

La carne coltivata potrebbe arrivare in commercio entro il 2030. Ma solo se ci sarà un grande sforzo in termini di investimento, e non solo da parte dei privati come sta già avvenendo, ma da parte dei governi che dovrebbero finanziare la ricerca open access: così la produzione di bistecche in laboratorio – prodotta senza sofferenza per gli animali, e sostenibile dal punto di vista ambientale – potrà essere alla portata di tutti.

È questo in sintesi il pensiero di Carlotte Lucas, Corporate Engagement Manager di Good Food Institute Europe: GFI è un’associazione non profit che promuove le alternative alla carne, sia quelle a base vegetale sia quelle lab-grown. Abbiamo intervistato Lucas nell’ambito di una serie di articoli che stiamo dedicando all’argomento: certo se il futuro è nelle mani dei governi, dal nostro non c’è da aspettarsi granché, data la netta opposizione espressa più volte nei confronti della carne sintetica. Ma sono percorsi di lungo periodo.

È chiaro che attorno al futuro del cibo e in particolare della carne si sta combattendo una battaglia che vede posizioni molto diverse in campo. Ci sono quelli per i quali le cose stanno bene così, e anzi bisogna aumentare gli allevamenti convenzionali per fare fronte alla popolazione che cresce, e chiede sempre più proteine. Ci sono quelli che sognano un mondo di piccoli allevamenti artigianali e rispettosi dell’ambiente come del benessere animale (almeno fino alla macellazione). Ci sono quelli che dicono che dovremmo diventare tutti vegetariani. E ci sono quelli che studiano soluzioni più o meno alternative, più o meno avveniristiche: ma anche qui il ventaglio è molto ampio. La “carne” plant-based, cioè le imitazioni vegetali dell’hamburger, è già una realtà a scaffale del super. La carne coltivata a partire dal cellule di animali veri (e vivi) è tutt’altra cosa, ed è più indietro, anche se è un settore in grosso fermento. Ci sono poi quelli che sostengono come sia meglio cercare alternative miste, come ad esempio l’ibrido.

Come dicevamo, non è una battaglia (solo) teorica e ideologica, perché si tratta di attirare l’attenzione di investitori pubblici e privati – le cui risorse sono limitate – su un certo tipo di progetti piuttosto che su altri. Si tratterebbe quindi di capire quali metodi funzionano meglio dal punto di vista dei costi e del rapporto con i benefici, dove per benefici si intendono aspetti come la diminuzione dell’impatto ambientale, tipicamente difficili da misurare soprattutto in proiezione futura. Qualche giorno fa abbiamo sentito Mario Ubiali della start-up Thimus, voce critica sulla fattibilità della cultured meat in purezza. Ora guardiamo cosa ha da dire il Good Food Institute, che invece quel settore lo spinge con convinzione, e a cui ci siamo rivolti anche per una panoramica generale sulla questione. 

Quante sono le start-up che lavorano alla carne coltivata?

Carlotte Lucas, Corporate Engagement Manager di Good Food Institute EuropeCarlotte Lucas, Corporate Engagement Manager di Good Food Institute Europe ©Barbara Evripidou/FirstAvenuePhotography.com

Attualmente ci sono più di 100 aziende in tutto il mondo che lavorano per lo sviluppo della carne coltivata, e tra queste più di 30 sono in Europa. La maggior parte sono start-up ancora alle prime fasi di sviluppo dei loro prodotti, ma due aziende sono state già esaminate dalle autorità di regolamentazione. GOOD Meat è stata la prima azienda al mondo a vendere il suo pollo coltivato a Singapore nel dicembre 2020, mentre UPSIDE Foods ha ricevuto recentemente il via libera dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti. 

 

E quanti soldi raccolgono?

L’intero settore della carne coltivata in Europa ha raccolto 111 milioni di euro nel 2021, mentre il mercato complessivo della carne nella sola Europa occidentale valeva 267 miliardi di euro nello stesso anno.

 

Ce ne sono in Italia? La prima di cui si è avuta notizia è BrunoCell, nata in Trentino da una collaborazione tra accademici e un investitore privato del settore alimentare. Ne sono nate altre di recente?

Per il momento siamo a conoscenza solo di Bruno Cell in Italia.

Quanti metodi esistono?

 

bioreattore carne coltivata solarisBioreattore, courtesy Solaris Biotech

Si sentono vari termini: “in vitro”, in laboratorio, fermentazione di precisione, bioreattori… E si fa un po’ di confusione anche perché a volte queste parole sembrano essere usate come sinonimi, altre volte in opposizione.

Come per qualsiasi altro alimento, la carne coltivata può essere prodotta su diverse scale, ma si applicano gli stessi principi generali. Il processo è paragonabile alla coltivazione di piante da talea in una serra, la quale fornisce calore, terreno fertile, acqua e sostanze nutritive. Consiste nel prelevare un piccolo campione di cellule da un animale, tramite una procedura innocua, e coltivarle in quello che è conosciuto come un fermentatore simile a quelli utilizzati per la produzione di birra. Si tratta di un ambiente sterile che favorisce lo stesso processo che avviene all’interno dell’animale, garantendo il calore e i nutrienti di base (acqua, proteine, carboidrati, grassi, vitamine e minerali). I fermentatori possono avere dimensioni diverse fra loro e le aziende e i ricercatori stanno sperimentando diversi approcci in questo contesto per rendere il processo il più efficiente e sostenibile possibile. Il risultato è una grande quantità di carne, identica a quella convenzionale, ma prodotta in modo più sostenibile. 

 

Per le società più avanzate, e quindi non in media ma diciamo per i capofila del settore, quelli messi meglio, quanto costa oggi produrre un kg di carne?

Poiché è ancora nelle prime fasi di sviluppo e la produzione deve ancora raggiungere la scala commerciale, la carne coltivata è costosa da produrre. Uno studio della società di ricerca indipendente CE Delft ha rilevato che la carne coltivata potrebbe potenzialmente costare 5,73 euro al kg entro il 2030, ma ciò sarà possibile solo con investimenti significativi da parte dei governi nella ricerca in modalità “open access”.

Semplicemente non abbiamo abbastanza terra o acqua per soddisfare la crescente domanda di carne utilizzando i metodi attuali; quindi, i governi dovrebbero investire nella riduzione dei costi della carne coltivata per fornire alle persone la carne che desiderano in modo sostenibile.

Quanto tempo ci vuole per “coltivare la carne”?

Carne coltivata in laboratorio

Coltivare la carne richiede meno tempo rispetto all’allevamento degli animali. Infatti, la carne coltivata utilizza meno risorse, come mangime e acqua, e il processo richiede dalle due alle otto settimane.

 

Quando sarà il momento della produzione di massa, quali saranno i consumi energetici? Ho visto studi diversi che arrivano a risultati opposti…

La carne coltivata non viene ancora prodotta su scala e pertanto le analisi attuali sono in grado solo di stimare gli impatti ambientali piuttosto che misurarli con precisione, variando a seconda di quanta parte dell’energia proviene da fonti rinnovabili. Quanto più ecologico sarà il nostro approvvigionamento energetico, tanto più sostenibile sarà la produzione di carne coltivata.

Un recente studio, basato sui dati delle aziende che si occupano di carne coltivata, ha rilevato che, se prodotta con energia rinnovabile, la carne coltivata potrebbe ridurre l’impatto ambientale del 92%, diminuire l’inquinamento dell’aria fino al 93%, utilizzare fino al 95% in meno di terreno e il 78% in meno di acqua. 

Questi dati si confrontano con uno scenario ambizioso da raggiungere per l’allevamento convenzionale nel 2030, in cui gli allevatori si impegnano a ridurre le emissioni di gas serra della loro carne del 15% (manzo), del 26% (maiale) e del 53% (pollo). Rispetto agli impatti ambientali medi attuali, i benefici della carne coltivata sono maggiori. Inoltre, se utilizzassimo i terreni liberati per l’allevamento rigenerativo o per piantare alberi, l’impatto positivo sul clima potrebbe essere ancora maggiore.

 

È vero che nella carne in laboratorio ci sono additivi come nella plant based, e in particolare la leghemoglobina?

La Leghemoglobina, o eme, è un elemento che proviene dalle radici delle piante di soia e può conferire alle soluzioni a base vegetale un sapore più simile a quello della carne. È probabile che le aziende utilizzino ingredienti vegetali per aggiungere struttura alla carne coltivata, ma poiché essa è uguale alla carne che mangiamo oggi, non sarà necessario aggiungere ingredienti come la Leghemoglobina per migliorarne il sapore. Come affermato di recente da molti giornalisti che hanno provato la carne coltivata alla COP27, ha lo stesso sapore del pollo.

 

Tra quanto tempo la Cultured meat sarà una realtà commerciale sostenibile? Intendo solo da punto di vista tecnico e dei costi, senza affrontare il problema delle autorizzazioni governative, della risposta dei consumatori eccetera.

Con il giusto sostegno e gli investimenti nella ricerca ad accesso libero, i governi possono accelerare i progressi verso la produzione di carne coltivata su scala commerciale, così come hanno permesso di ridurre drasticamente i costi delle energie rinnovabili. Secondo lo studio di CE Delft, questo potrebbe rendere la carne coltivata maggiormente accessibile entro il 2030. Senza questo sostegno, invece, il raggiungimento di questo obiettivo richiederà molto più tempo.

 

C’è il pericolo che la clean meat finisca nelle mani di poche multinazionali, le solite?

La carne coltivata può essere prodotta da aziende di ogni forma e dimensione, in base alle esigenze e ai gusti delle diverse culture. Per consentire la creazione di un ecosistema diversificato di aziende in cui i produttori indipendenti possano prosperare, è necessario che i governi finanzino la ricerca ad accesso aperto. Rendere trasparenti i risultati della ricerca in questo modo, anziché lasciarne lo sviluppo a singole aziende private, renderà la carne coltivata più accessibile a tutti.