Aprire un ristorante in casa: cronaca di una cena in calzini con 7 sconosciuti

Aprire un ristorante in casa: cronaca di una cena in calzini con 7 sconosciuti

Quando ho prenotato la mia prima cena sulla più famosa piattaforma di “social eating” (quella nuova usanza di andare a mangiare a casa di sconosciuti che si improvvisano cuochi tra le mura domestiche) ero scettica. Chissà quale accozzaglia umana avrò la sfortuna di incrociare, pensavo, con la mia solita propensione al buonumore e alla positività.

Ma la curiosità è una brutta bestia. A volte è più forte di te e ti spinge in situazioni nelle quali poi ti vorresti auto-maledire.

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Invece, devo dirlo da subito: al di là di tutte le aspettative di sbadigli a profusione, gente noiosa, mappazzoni OGM e visioni di informi paste pasticciate al forno, la mia prima volta è stata un successone, e stavolta senza ironia.

Partiamo dall’inizio. Ho scelto, dopo accurato e lungo vaglio, una cena “democristiana”: non troppo famigliare (con figli adolescenti e gatti seduti a tavola), ma neanche troppo rischiosa, che fidarsi del genere umano è bello, ma poi Pippa Bacca ci insegna che non tutti sono esseri portatori di pace.

Ho scelto, quindi, in primis di prenotare accompagnata dalla spalla di Daniele, mio cugino e mio fedele compagno di mangiate. Così, per sentirmi sicura, perché il mondo è un posto bello, ma un uomo in alcuni momenti fa sempre comodo.

E’ la mia prima volta, mi piacerebbe mangiare bene, ma è più di tutto una questione sociologica, un esperimento che potrebbe anche finire in tragedia, e non intendo per gli spaghetti scotti. Ad invitare come cuoche a casa loro erano Serena e Annalisa, con questa proposta da 18 euro:

Cena Gnammo

La parola d’ordine concordata tra me e il mio accompagnatore, eventualmente, per sfuggire dalla serata era “ma non dobbiamo fare benzina?” A quel punto sarebbe stato chiaro che era arrivato il momento di andarsene. Non avevamo trascurato nulla.

Anche sulla faccenda piuttosto imbarazzante di cenare senza scarpe, non avevamo trascurato nessun dettaglio.

Social eating, calzini

Io ho scelto un mélange grigio con punta viola, Daniele un imbarazzante calzino a pois verdi (regalo di Natale di un’amica che ci vuole male). Prima di uscire di casa, in preda a 10 minuti di follia pre-cena, mi sono sbarazzata degli orecchini che mi ero messa: non si può girare scalza per casa di sconosciuti con degli orecchini.

Gnammo, un sito decisamente migliorabile sotto diversi aspetti tecnico-pratici di navigazione, ha fatto la sua parte con una pioggia di mail per ricordarmi l’evento, per ragguagliarmi sul pagamento, per inviarmi l’indirizzo, ecc. In una delle ultime mail si legge:

Si cena rigorosamente in calzini. Ricorda che in Italia la puntualità è apprezzata, ma è comunque sicuramente meglio arrivare un pelo in ritardo, che due minuti prima.

“Un pelo”: qui si parla giovane, non so se esserne confortata o disdire tutto. Nei giorni precedenti alla cena capisco subito il meccanismo social e voyeurista: su Gnammo puoi vedere in tempo reale se si iscrivono altri commensali alla tua stessa cena, quindi inevitabilmente scatta la ricerca incrociata sul web per verificare:

1. La faccia degli altri,
2. La loro eventuale sanità mentale,
3. Varie ed eventuali: farsi logorare dal dubbio quando ti imbatti in quello che ha come foto profilo un manga giapponese.

Arriviamo con i canonici 10 minuti di ritardo consigliati da Gnammo, le padrone di casa ci accolgono col sorriso e sembrano simpatiche. Si consuma subito il rito di levarsi le scarpe “per essere più a proprio agio” (primo pregiudizio che cade: le ragazze non sono tipologia umana da pattine e cera sul pavimento, come avevo pensato, ma piuttosto da “siamo tutti amici senza scarpe”). Prendo atto.

In casa è già arrivato il primo ospite: si chiama Valentino e continua a fare avanti e indietro dalla cucina. Si scopre in fretta che le padrone di casa, alla loro prima esperienza, hanno richiesto la presenza confortante di un amico già ben conosciuto. Hanno tutta la mia stima, lo avrei fatto anche io, soprattutto con un amico come Valentino che ha una gentilezza innata. D’altra parte Pippa Bacca ha fatto scuola, l’ho già detto, no?

Alla spicciolata arrivano anche Matteo, poi Francesca e Benedetta. Ci siamo: 8 sconosciuti in calzini compiono il rito delle presentazioni con brindisi. (Io, per non sbagliare, anche se ho versato la mia quota ho portato una bottiglia di vino. Credo che il Galateo del social eating si scriverà col tempo, ma il vino non è mai abbastanza, comunque.) Ci si siede rigorosamente rimescolandosi.

Nell’ordine, in tavola vengono serviti:

una torta salata alle melanzane fredda, con un vezzo ornamentale di alloro al centro. Buona. Sì, siamo a casa di gente, non al ristorante: il sapore è quello delle torte salate di casa. Nessuna stella o segnalazione su TripAdvisor: buona la prima.

Cena social eatingCena social eating

Segue, con apprezzatissimo porzionamento direttamente dalla pentola sulla tavola, la gramigna con salsiccia e panna.

Annalisa specifica che non ha trovato quella gialla e verde a Milano e si è accontentata di quella solo gialla. Insomma, la pasta non è fatta in casa, ma nemmeno ci speravo in realtà: io punto tutto sul sugo, un classicone bolognese che non mangio da una vita.

E, udite udite, è decisamente il piatto forte della serata. Sapida, grassa, corposa e vera: niente da dire. Anzi, c’è solo la scarpetta da fare, tanto nessuno si formalizza: siamo in calzini, ve lo ricordate?

Cena social eatingCena social eatingCena social eating

Poi c’è il secondo: zucchine ripiene in umido con patate al forno e pane casereccio.

La presentazione “magmatica” non è delle migliori, diciamo che il voto del food design non raggiungerebbe la sufficienza, ma le mie due nuove amiche sono così carine che la cosa diventa trascurabile. Le zucchine sono molto saporite (ammazzate oh!), ma si compensano col pane di farina integrale sciapo, volutamente insipido per far risaltare al meglio il secondo e la farina integrale.

Nel complesso funzionano. Ricordatevi che non siamo al ristorante, e che l’esperimento è social eating, nessuno si sta candidando per la guida Michelin.

Cena social eating

Sono piena: sarà che c’è sempre qualcuno che mi rabbocca il vino (piacevolmente trascurabile), ma inizio ad avere caldo.

Sarà la temperatura, sarà il rosato iniziale, ma riesco a intavolare un discorso sui massimi sistemi e sulla paura della morte con la mia vicina. (Se qualcuno se lo sta chiedendo, altre tematiche in voga durante la serata sono state: MasterChef, viaggi, massoneria, social network, altri).

Riguardo al momento dessert, lo confesso, non sono mai stata una fan accanita dei dolci, e spesso per me è un momento interlocutorio e passeggero della cena. Qui è stata servita una torta di riso (ma anche degli altri dolcetti a forma di macaron ma che non erano macaron che non ho assaggiato e non mi ricordo cosa fossero).

Cena social eating

Caffè rigorosamente da moca, amari e ammazzacaffè in abbondanza.

COSE IMPARATE:
1. A parte due ragazze, per gli altri 6 commensali era “la prima volta”: fenomeno in espansione e che, quasi sempre, vede la partecipazione accompagnati. Insomma, presentarsi da soli a un cena tra sconosciuti sembra più faticoso, ma è abbastanza semplice da comprendere. Onore all’invitato Matteo che è venuto e se ne è andato rigorosamente da solo.

2. A chiacchierare con persone che non fanno propriamente parte del mio quotidiano, sono venuta a conoscenza dell’esistenza dello yoga della risata, e anche del fatto che esistano noleggi auto a lunga durata che sembrano cose convenienti. Questo per dire che, una volta tanto, mettere fuori il naso dal guscio, insegna anche qualcosa.

3. Il cibo è il legante iniziale, ovvio, ma se la compagnia è degna si trasforma in semplice accessorio. A meno che voi non siate il commensale che si distingue per assomigliare al bidone dell’umido, che trangugia senza connessione, senza senso e senza misura, pensando al conto pagato.

4. C’è sempre al tavolo con te qualcuno di cui non capisci bene l’occupazione, è irrimediabile. Oggi spiegare agli altri la propria professione è a tratti una cosa impossibile, peggio che scalare l’Everest.

5. Resta tra le righe, sottile eppur presente, il fatto che per qualcuno il social eating possa essere un modo anche per trovare l’amore. Mi sembra che non ci sia niente di male in questo. In questo modo si capisce subito se si hanno gli stessi gusti.