Gli undici piatti del 2010

I piatti dell’anno sono quelli che usciti dal ristorante volevamo già rimangiare, roba che definisce un preciso momento storico. In genere ce ne sono 5-6 all’anno, nel 2010 ne abbiamo trovati 11. Questo non significa non vedere i meriti degli altri, a proposito: fateci sapere quali sono i vostri preferiti. E per una volta, dimentichiamo che costano come una manovra economica!

11 – Zuppa ghiacciata di acqua di granchio, pesci, crostacei, gelato di riccio, Mauro Uliassi, Uliassi di Senigallia (AN).

Una zuppa da 11, forse 12 cucchiaiate devastanti come uno tsunami. “È salato” hai detto una volta, mentre sputavi tutto il mare che l’onda ti aveva fatto ingoiare. È salato, hai pensato per tutti questi anni. Nel mare di Uliassi c’è un capolavoro piccolo, immenso. E come ogni capolavoro anche questo cambia il mondo in maniera infinitesima, minima e silenziosa. Cinquecento anni fa Michelangelo svelò ai cardinali le volte affrescate della Cappella Sistina e dopo il mondo non fu più lo stesso. Uliassi nel 2010, più modestamente, ci dimostra che il mare è dolce. La sua “spremuta ghiacciata di granchio con gelato di ricci di mare, molluschi e crostacei” io l’ho assaggiata e ora il “mio” mare non è più lo stesso [Dissapore, immagine: Smewtwo]

10 – Tagliata di melanzana arrosto glassata con agrodolce di pomodoro, NiKo Romito, Reale di Rivisondoli (AQ).

Tecnicamente perfetta. La cottura al forno la restituisce con una consistenza notevole, la glassatura alla liquerizia è golosa e in giusta quantità, il pomodoro a fianco è veramente pomodoro, pure le due gocce di composta di pesca aiutano, poi il tocco finale con l’olio di basilico iniettato all’interno per dare elegante untuosità. Spettacolo [Il Mangione, immagine: Orson]

9 – Cappelletti di carne in brodo, ostrica e castagne, Carlo Cracco, Cracco di Milano.

«Tutto è nato dall’ostrica, o meglio da una zuppa d’ostriche realizzata qualche anno fa partendo da un’antica ricetta della haute cuisine francese. Abbiamo sostituito molti degli ingredienti originari: il brodo, i ravioli piccolissimi che anziché coprire il sapore dell’ostrica ne prolungano il piacere, la grue che lascia un leggero sapore dolce-salato dando al piatto una tonalità sapida con profumi dolci. È un piatto molto completo, che dà sensazioni forti e unisce passato e modernità» [Gambero Rosso, immagine: Claudio Sacco]

8 -Ravioli di broccoli, acciughe e tartufo nero, Paolo Lopriore, Il Canto di Siena.

Senza lunghi preamboli, il migliore piatto di pasta che io abbia mangiato da anni, forse il migliore di sempre. Per la tecnica (i migliori ravioli possibili), per la misura nel mettere insieme i diversi toni (ancora l’amaro, il salato, il terroso), per l’evocazione di un classico, da cui si distacca sideralmente, omaggiandolo [Passione Gourmet, immagine: Orson]

7 – Un macaroun di Massimo Bottura, Osteria Francescana di Modena.

Non Ladurée a Milano, non Jean Paul Hévin a Parigi, nemmeno Stéphan Betmon per Cristalli di Zucchero a Roma. Il miglior macaron ever parla tricolore, e non è neanche figlio dell’ortodossia pasticcera. Resta però di una fighezza superiore che trascende ogni sciovinismo e le epoche storiche [Massimo Bernardi, immagine Roberto Bentivegna]

6 -Fusione a freddo, Davide Scabin, Combal.Zero di Rivoli (TO).

A freddo. Come un colpo alle spalle, il gesto del cameriere scardina la tua percezione di cena tranquilla. Freddo. Sei alla fine della sequenza Combal.Zero (Rivoli, Torino) e il piatto poggiato con stile ricorda una tranquilla macedonia borghese. La presenza dei frutti di bosco consiglia un aggiustamento di categoria: alto-borghese. Tutta qui la magia di Scabin? Mentre annoiato sollevi il cucchiaio arriva la mossa “épater le bourgeois”. Fredda. Come l’acqua minerale che il ragazzino versa dalla bottiglia nel tuo piatto mentre strozzi un urlo: “cosa fa, è impazzito?” Gelo. Il cameriere se ne va silenzioso. Tu, sbalordito, guardi l’acqua sciogliere il succo di lime gelato che intrappola lamponi, more e piccole meringhe, l’alchimia inizia. Fresco. Il cucchiaio nervoso di piacere scopre varianti misteriose, la temperatura fa il resto mentre i morsi arrivano dritti alle tempie. Tiepido. Nello sbigottimento non lo hai notato. In una macedonia è un corpo estraneo: tondo, grande quanto un tuorlo d’uovo. Difatti è un tuorlo, ma la consistenza è coque. Il cucchiaio cattura svelto l’intruso e lo porge alla bocca. Reset. Il tuorlo è ripieno di crema, il tuo cervello di byte. Fine del viaggio, HD flatline. Fusione a Freddo è un virus programmato dall’hacker Davide Scabin. Sotto le spoglie di un’innocua macedonia si cela un piatto che annulla dati e cancella parametri. E che tu, senza difese, hai caricato in memoria. Per sempre [Dissapore, immagine: Claudio Sacco]

5- Riso in Bianco di Pier Giorgio Parini, Il povero diavolo di Torriana (RN).

Si prepara il burro al profumo di cipresso in questo modo: prima è necessario grattare le pigne molto finemente servendosi della grattugia della noce moscata, poi vanno stese su un tagliere e ricoperte con il burro a temperatura ambiente, lasciando riposare. Trascorsi due giorni bisogna filtrare il burro per togliere la pigna, schiacciarlo e conservarlo normalmente. L’acqua per cuocere il riso viene prima insaporita con le foglie di cipresso lasciandole in infusione a 50° per circa tre ore. Dopo di ché è molto semplice: tostare il riso senza aggiungere grasso in una pentola, bagnare con l’acqua di cipresso filtrata e portare a cottura. Una volta cotto, togliere dal fuoco e mantecare con il burro di cipresso, il parmigiano e le gocce di limone. L’unica accortezza è quella di servire il riso su una punta di fondo bruno: tutte le cose a base d’acqua e senza grassi in bocca hanno un sapore immediato che però non ha profondità, tende a scivolare via. Il fondo bruno, pur se in dosi irrisorie, serve a dare un po’ di grasso e di acidità che permette alle papille gustative di fissare il sapore più a lungo [Il Fatto Quotidiano]

4 – Una patata in attesa di diventare tartufo, Massimo Bottura, Osteria Francescana di Modena.

Tra 10 anni, un critico molto competente scriverà un libro su come i cuochi italiani abbiano progressivamente rivoluzionato i dolci come li conosciamo — troppo melensi per i palati aristocratici dei gourmet — usando ingredienti insoliti, uno per tutti: il tartufo. E per dimostrare la sua teoria, citerà come vertice assoluto quest’altra creatura di Massimo Bottura. Allora mi lamenterò per il furto dell’idea, e forse gli farò causa [Massimo Bernardi, immagine: La Francescana]

3 – L’uovo di seppia, Pino Cuttaia, La Madia di Licata (AG).

Con la seppia… ho fatto l’uovo! Ora il problema era realizzare questa suggestione: dare alla seppia la forma dell’uovo. Ho preso un uovo di gallina. La seppia dopo aver incontrato il maiale, incontra la gallina. Fare entrare una seppia in un uovo non è operazione facile. Ho praticato un piccolo foro nel guscio attraverso cui ho svuotato l’uovo. Ho riempito il guscio dell’uovo con la pasta di seppia, la stessa che ho usato per fare gli gnocchi. Ho lasciato una cavità che poi ho provveduto a riempire con la farcia, ottenuta dalla salsiccia di seppia. Ho sigillato l’uovo con la seppia. E l’ho sottoposto ad una cottura delicata, 60° per 20 minuti. A questo punto ho una sorta di uovo sodo, a tutti gli effetti, che viene sgusciato e portato a tavola. La forma è originale ma è possibile ritrovare nell’uovo le consistenze, i colori, i sapori ed i profumi di un piatto della tradizione che, attraverso una forma insolita, scopre un’eleganza nuova [Andrea Graziano, immagine: Norbert]

2 – Sandwich croccante di triglia con pesche e pomodori verdi, Mauro Uliassi, Uliassi di Senigallia (AN).

Tutti conosciamo triglie pesche e pomodori. Eppure Uliassi vende un sapore eccezionale, una riflessione sul gusto che ti si stampa in mente. Provare gioia, divertirsi, stupire scoprendo che 1 + 1 + 1 a volte fa 10, ed è lo chef, questo chef, a fare la differenza. Incredulo, torni al pc e scopri che per la guida ai ristoranti dell’Espresso è nientemeno che il piatto dell’anno. Non so se mi spiego [Dissapore, immagine: Alessandro Morichetti]

1 – Un anguilla che risale il Po di Massimo Bottura.

C’era una volta un’anguilla vanesia. Non si accontentava di nuotare nelle sue acque, ma voleva conoscere il mondo. Allora iniziò a risalire il Po, e attraversò molti paesi diversi, dove conobbe cose mai viste. Per prima cosa incontrò il mais giallo, e se lo caricò in spalla. Poi attraversò un frutteto di mele campanine, e ne fece scorta. Poi, arrivata alla valle del Secchia, trovò le cipolle profumate, e se le portò via. Purtroppo però l’anguilla era assai vanesia, e perdeva molto tempo a mirarsi e rimirarsi: così bruciò la cipolla. Ecco dunque l’anguilla laccata con cipolla bruciata, crema di polenta e concentrazione di mele campanine [Dissapore, immagine: Stefano Caffarri]