Denominazione d’origine inventata: la cucina italiana è una bufala?

In "Denominazione d'origine inventata" di Alberto Grandi, libro pubblicato da Mondadori, lo studioso smonta il modello della cucina italiana basato sui prodotti tipici, dall'olio al parmigiano, il cui storytelling sarebbe stato inventato dal marketing

Denominazione d’origine inventata: la cucina italiana è una bufala?

Vi spiego subito perché questo post si chiama così. Denominazione d’origine inventata (Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani, 180 pag. 18 €), appena uscito per Mondadori, è un libro di Alberto Grandi, docente di Storia delle imprese a Parma.

E perché, vi chiederete, “la cucina italiana è una bufala?” È la tesi di Grandi, provocatoria e quasi indisponente per noialtri italiani, pieni d’orgoglio per il modello vincente della nostra cucina, basato su mille prodotti tipici, piccoli e grandi, ma comunque autentici.

Invece no.

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Sedetevi e respirate profondamente prima di continuare. Grandi ha spiegato a Il Giorno che sarebbero state abili operazioni di marketing a cucire addosso ai prodotti che rappresentano il nostro Dna gastronomico il loro mito. Oggi diremmo, il loro storytelling.

Ma quale reputazione secolare, quale biodiversità italiana, quali artigiani, argomenta Grandi, e non contento prende le parti delle grandi aziende, perché a suo modo di vedere è stata l’industria a fare grande la gastronomia italiana.

Parmigiano

Prendi il Parmigiano, per esempio. “Ha mille anni di storia, ma quello citato da Boccaccio non assomiglia affatto al prodotto attuale. Era molto più piccolo. A Parma per di più non era nemmeno di grande qualità”.

Prosciutto

E il prosciutto? “Le qualità protette sono ben 10. I modenesi dicono che è stato inventato dai celti, i parmigiani dai romani e via andando. In realtà dal Friuli alla Sicilia, come in Europa, si è sempre lavorata la coscia di maiale, salata e messa a stagionare.

Comunque nei Baedeker di inizio ‘900 si parla di prosciutto toscano e non di quello di Parma, la cui fama risale alla seconda metà del secolo. Il Consorzio è nato nel 1963, due anni dopo quello di San Daniele, ma ha il primato del mercato con il 40%”.

Pasta

“Fatta con grano canadese, quello che tiene la cottura, e fino al ’45 consumata perlopiù a Napoli, dove veniva prodotta. Il Senatore Cappelli è frutto di incroci di molte varietà di grani diversi, in particolare una che viene dalla Tunisia. La pasta italiana è stata a lungo più africana che italiana, e anche oggi buona parte dei grani viene dall’estero”.

Pizza

“È sempre esistito in tutte le civiltà mediterranee un disco di pasta con qualcosa sopra e nomi diversi. Ne sentire comune la pizza sarebbe italiana perché siamo immigrati in America. Se i 15 milioni di italiani andati in America fossero stati greci, io dico che ora la tradizione della pizza sarebbe stata greca, non italica”.

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Panettone

“Non è mai esistito davvero, è un’invenzione ben elucubrata del 1919 di Angelo Motta, oggi ripresa dagli artigiani pasticceri. Altro che ‘pan de Toni’. Nel 1937 Alemagna inaugura la sua linea industriale in un’ex filanda. La produzione artigianale è cominciata negli anni ’80, con il declino della grande industria”.

Lardo di Colonnata

“Non esisteva, almeno non fino agli anni ’80. Era lardo come se ne fa dappertutto. Le denominazione è datata 2003, l’interesse per il grasso di suino fatto maturare nelle conche di marmo comincia negli anni ’90. Non esistono riferimenti espliciti al prodotto così come lo conosciamo noi nei documenti storici”.

Cioccolato di Modica

“Nasce a inizio anni ’90 da una invenzione del pasticciere Franco Ruta: non separare il burro di cacao dai semi e lavorare a bassa temperatura per lasciare i granuli di zucchero intatti. Il Consorzio di Tutela invece è del 2003”.

Olio d’oliva

“È sempre stato un prodotto industriale. Poi è arrivata la denominazione. E oggi in Italia ci sono 52 DOP e 10 nuove candidature”.

Pomodori di Pachino

“Un ibrido brevettato nel 1989 in Israele. In mancanza di semi che che garantiscano le stesse caratteristiche con continuità i coltivatori comprano ogi anno nuove piantine nei vivai”.

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Insomma, leggendo Denominazione di origine inventata si arriva alla conclusione che la cucina italiana come ci è stata raccontata è nata negli anni Settanta, costruita ad hoc da un industria al passo con i tempi, consapevole che le leggende avrebbero fatto la sua fortuna.

I piatti a cui siamo affezionati sarebbero stati messi assieme alla bell’e meglio dal buon Pellegrino Artusi, “senza fare troppo caso alla loro autenticità”. Del resto, non sarebbe stato possibile fare diversamente, perché, rilancia Alberto Grandi: “Fino al secondo Dopoguerra eravamo un paese di morti di fame”.

Poi è arrivato il marketing sui prodotti tipici con il suo storytelling ben riuscito. Ma sono le industrie a tirare la volata, ribadisce il professore oggi su Repubblica (non online):

“Pensiamo al distretto di Perugia, che si è scoperto una vocazione cioccolatiera quando la Perugina è andata in crisi. Il gelato italiano è diventato famoso dopo che è uscito sul mercato il Mottarello. Senza l’aceto balsamico fatto col caramello, nessuno conoscerebbe quello pregiato, cui solo dopo hanno aggiunto l’appellativo ‘tradizionale’.”

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Infine l’ultima provocazione:

“Gli spaghetti alla bolognese in origine non esistevano, ma adesso sono nei menu perfino a Bologna. Sono un prodotto tipico, proprio come la Nutella”.

Anche per voi è così, è vero che gli amatissimi prodotti tipici italiani sono per lo più il frutto di narrazioni inventate? Che abbiamo sempre bisogno di scomodare i Celti per dire che un formaggio è buono?

No, perché a noialtri sembra che Denominazione d’origine inventata ecceda, mettendo tutto insieme in un’unica centrifuga, cancellando anche quello che di vero c’è nei prodotti tipici italiani. Che, anzi, l’industria cavalca rubandone i nomi, confermando così che sono determinanti e vitali.

[Crediti | Il Giorno, Repubblica]