Il futuro della pasticceria è in mano ai lievitisti (e baroccheggia)

Croissant cubici, sferici, a forma di ciambella, cornetti incrociati con i muffin, con i waffle, ripieni di babà… L’arte della pasticceria lievitata sta diventando sempre più barocca: cosa ci riserva il futuro? Sperimentazioni ancora più ardite o un ritorno alla semplicità?

Il futuro della pasticceria è in mano ai lievitisti (e baroccheggia)

Ognuno ha la sua religione, ogni religione ha i suoi testi sacri. Il mio culto è la lievitazione, e la relativa bibbia è Advanced bread and pastry, un tomo cartonato di Michel Suas, con le dimensioni di una torta per dodici persone e il peso specifico del pane cafone napoletano. Come tutte le bibbie che si rispettino, è affollato da una ridda di parole, di numeri, di immagini; contiene un sacco di prescrizioni millimetriche e impossibili da seguire; propone delle storie molto belle e completamente inventate. La parte 3, dopo una prima parte introduttiva e una seconda dedicata al pane, parla della viennoiserie. Che viene così definita: il punto d’incontro tra la panificazione e la pasticceria.

“I panificatori professionali e i pastry chef usano questo termine per riferirsi a prodotti lievitati che sono addolciti dallo zucchero e arricchiti da uova e burro. Le due principali categorie della viennoiserie sono gli impasti sfogliati e gli impasti non sfogliati. La sfogliatura è il processo in base al quale si creano strati di impasto e burro per ottenere paste leggere e friabili”. Esempi di viennoiserie sfogliata includono i croissant e le danish pastry, mentre tra le non sfogliate si annoverano le varie brioche, i nostri pandoro e panettone, il provenzale gibassier e il mitteleuropeo klugelhopf.

(A proposito di danish pastry, la storia dice che si chiamano così perché inventati in Danimarca da pasticcieri austriaci. È curioso poi perché lo stesso dolce a Copenhagen si chiama Wienerbrød, pane di Vienna, e in Austria Kopenhagener. È la solita storia dei nomi geografici dei cibi: come la napoletana genovese che a Genova non sanno cosa sia, o di rimbalzo il wafer napolitaner che boh. Anche per questo motivo, non staremo qui a ripetere leggende e ipotesi sull’origine del croissant/cornetto, a forma di luna perché i turchi e l’assedio di Vienna ecc., o perché crescente come suggerirebbe il nome, o forse il nome non si riferiva alla luna ma al fatto che è una pasta che cresce, cioè lievita? Lasciamo stare). 

La bibbia conclude dicendo che la viennoiserie richiedono conoscenze di panificazione – relativamente a impasto, fermentazione, gestione della lievitazione, e cottura – così come competenze tipiche della pasticceria quali l’aspetto estetico, l’unicità aromatica, la presentazione. Ecco forse perché questo perfetto e chimerico connubio sfida le fantasie dei maestri lievitisti come dei raffinati pasticcieri. È come se ognuno volesse dimostrare di essere al top non solo della propria categoria, ma anche dell’altra. E a proposito di presentazione estetica: ecco forse perché a un certo punto pastry chef e panificatori ai quattro angoli del globo si sono lanciati in forme ardite, in sempre più estremi tentativi di stupire.

Il croissant e le sue varianti

Maritozzo quadrato Francesco ArnesanoIl Maritozzo quadrato Francesco Arnesano

Negli ultimi dieci anni abbiamo avuto i cronut (mezzo croissant mezzo donut, ovvero un cornetto in forma di ciambella), cruffin (incrocio tra croissant e muffin), croffle (croissant + waffle). Più di recente ha fatto sensazione negli Usa il croissant supreme, un disco sfogliato, farcito e ricoperto, ma poggiato in piedi.

Poi è arrivata l’ubriacatura delle forme. A fare un croissant cubico ha iniziato, pare, il pasticciere svedese Bedros Kabranian, nel 2018, ma senza creare il caso. Che invece ha preso piede quando il cubo sfogliato della pasticceria londinese Le Deli Robuchon è diventato virale su TikTok. Nel frattempo, Maicol Vitellozzi alla torinese Farmacia del Cambio aveva creato il suo crubik, che prima grazie al passaparola e poi ai social, avrebbe portato file di turisti in coda davanti alla pasticceria del ristorante che prima d’essere stellato fu il preferito di Cavour. (Con una coda polemica, che si trascina, perché anche quando Vitellozzi se ne va alla corte del lievitista Vincenzo Tiri, il re del panettone, lo chef del Cambio Matteo Baronetto continua a proporre il croissant cubico, e giustamente, però senza più nominare il suo vero inventore, ahi ahi).

A un certo punto comunque, gli spigoli sono piaciuti così tanto, al posto delle suadenti forme tondeggianti, a Roma si è anche fatto il maritozzo quadrato. Nel mentre, da poco, la Farmacia ha iniziato a proporre la sfera croissant. Dal suo canto Vitellozzi ha fatto vedere su Insta un croissant a forma di diamante; però poi, colpo di scena, quando ha aperto la sua bakery, Maicol come lui, questo prodotto non c’era. C’è invece il pianeta, un croissant con all’interno un babà – che a me personalmente ricorda il barocchismo partenopeo della sfogliacampanella, una sfogliatella ripiena di babà. Però non di sole forme vive la viennoiserie 2.0: si sta negli ultimi tempi diffondendo il croissant fritto (lanciato da Cedric Greolet), per la serie il burro non era abbastanza, e chi siamo noi per opporci a questa golosità.

Qual è il futuro della viennoiserie?

Ma alla fine, tutto questo non ci viene un po’ a noia? Si percepisce, serpeggiante nel grande pubblico ma anche tra gli addetti ai lavori, una voglia di semplicità, di ritorno all’antico, di conservatorismo nel senso più puro e rispettabile del termine: se si è sempre fatto così, se il croissant ha avuto per secoli quella forma, un motivo ci sarà.

Per cui viene da chiedersi: le innovazioni e i barocchismi ci sono sempre stati o no? Per esempio, Tommaso Melilli nel suo ultimo libro Cucina aperta, sostiene che per lunghi anni i migliori chef del mondo – ovviamente francesi o di scuola francese – hanno concentrato tutti i propri sforzi nell’eseguire alla perfezione un certo numero di ricette già date. Poi è arrivata la nouvelle cuisine a buttare letteralmente il tavolo per aria. Una cosa simile è successa nella pasticceria lievitata? Beh, forse.

O forse le innovazioni ci sono sempre state, ma sono state più lente, si diffondevano con minore rapidità. Banale ma non meno vero, siamo nell’epoca dei social: se in un villaggio della Nuova Zelanda un panificatore pazzo o annoiato fa un croissant a forma di icosaedro (googlate pure, i nerd mi avranno capito) o di kiwi (l’animale non il frutto) e lo mette su Instagram, il giorno dopo sicuramente qualche collega nel mondo starà provando a imitarlo. E con un po’ di fortuna, il kiwassant potrebbe diventare la next big thing. Per quanto tempo, però? Perché l’altra faccia della medaglia è che i grandi hype fanno delle rapide fiammate ma altrettanto rapidamente possono stufare: chi si ricorda più, se non con la tenera condiscendenza che si può riservare alle videocassette o a facebook, dei cruffin o dei cronut? Soprattutto chi avrebbe voglia di mangiarne uno?

Torniamo però un attimo ad aprire la bibbia. Sfogliando il capitolo relativo alle viennoiserie laminate, tra le paste danesi troviamo la tasca, la mezza tasca, il serpente, la girandola. Tra le non sfogliate ci passano davanti la pear bordaloue e la magnifica brioche tropézienne. Ma poi voglio dire, noi mo ci siamo abituati, ma la brioche col tuppo di uso siculo non è un capolavoro di fantasia? E allora sì, anche noi ci auguriamo un ritorno all’antico: cioè alla ricerca di forme sempre nuove. Come, appunto, si è sempre fatto.   

NDR: il croissant in copertina non esiste (ancora) nella realtà e lo ha creato l’AI e questo articolo è frutto di elucubrazioni sorte con LievitaTo, primo bakery day torinese.