Cozze: le 9 varietà italiane che dovremmo conoscere, da Trieste in giù

I 9 tipi di cozze italiane da riconoscere: le varietà in cui si declina la specie Mytilus galloprovincialis, dalla comune cozza adriatica alle pugliesi, passando per Trieste, Olbia, la DOP di Scardovari, il Golfo di Napoli e la "selvaggia" Presidio Slow Food.

Cozze: le 9 varietà italiane che dovremmo conoscere, da Trieste in giù

Da Trieste in giù, passando per il delta del Po, il promontorio del Conero, il golfo di Taranto, Napoli e Olbia, sono tanti i tipi di cozze che affollano i nostri mari, quasi come i modi di cucinare il frutto proverbialmente brutto, talmente riconoscibile, arancione nel mantello nero, che crediamo sia sempre lo stesso.

Prima di vedere in dettaglio le varietà di cozze italiane e imparare a riconoscerle, è bene fare un ripassino sulle generalità. Le cozze mediterranee, appartenenti alla specie Mytilus galloprovincialis, sono molluschi bivalvi dal caratteristico guscio nero e allungato.

La parte edibile, particolarmente ricca in ferro, è costituita dagli organi interni, racchiusi da un mantello di colore variabile dal bianco, al giallo, all’arancione e in qualche caso perfino rosso. Le valve sono tenute insieme da una cerniera lamelliforme, una sorta di filtro molto efficiente (per la cozza) e molto problematico (per noi che la mangiamo): serve infatti a trattenere le sostanze nutritive, tra cui però possono annidarsi microrganismi patogeni pericolosi. Per questo è sempre bene cuocere le cozze, evitando il consumo a crudo (e no, la spruzzata di limone NON vale come metodo alternativo di “cottura”) e prestando attenzione agli errori da non fare, dall’acquisto alla pulizia.

La stagionalità della cozza mediterranea va da maggio a settembre: luglio e agosto sono dunque i mesi ideali per assaporarla, a maggior ragione quest’anno visto che, causa lockdown, le cozze italiane costano il 30% in meno.

Prima di precipitarvi alla vostra pescheria di fiducia, ecco i 9 tipi di cozze italiane da distinguere, dalle varietà più comuni alle chicche, con i loro gusti caratteristici.

Cozza di Trieste

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Il nostro viaggio inizia dal golfo ventoso del Friuli Venezia Giulia, dove le cozze in dialetto si chiamano pedoci. Lo stesso termine viene usato per indicare i pidocchi, sia nel senso dei parassiti pruriginosi, sia dei cosiddetti “braccetti corti”: tra questi noi non abbiamo dubbi, preferiamo di gran lunga le cozze. Il Pedocio de Trieste dunque viene allevato con un sistema di filari lunghi un centinaio di metri. I mitili si innestano su reste in propilene e vengono raccolti dopo circa 10-14 mesi, quando il guscio esterno raggiunge la taglia minima di 6 cm in lunghezza.

Sebbene la mitilicoltura sia attestata a Trieste dal 1732, il vero boom della produzione è scattato tra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento. Dopo uno stop dovuto all’epidemia di colera del 1973 e una ripresa supportata dalle innovazioni tecnologiche, oggi l’attività se la deve vedere con la concorrenza straniera, soprattutto spagnola. La cozza di Trieste però riesce ancora a distinguersi a livello qualitativo grazie al suo sapore delicato e sapido, ottima in guazzetto o per arricchire i brodetti di pesce tipici della costa adriatica.

Cozza di Scardovari Dop

Dal 2013 il comune di Porto Tolle, provincia di Rovigo, è sede dell’unica Dop italiana dedicata ai mitili. La cozza di Scardovari viene allevata, depurata e trasformata nell’omonima Sacca, insenatura marina a carattere lagunare situata nella parte meridionale del Delta del Po. Qui alcuni (pochi) nuclei familiari da generazioni si dedicano a una produzione che vede prevalenti le fasi manuali, dalla raccolta, al rinnovo delle reti, alla selezione secondo pezzatura.

La taglia minima della cozza di Scardovari è 5 cm, apparentemente più piccola di quella triestina ma la vera sorpresa è all’interno del guscio. La polpa ha infatti dimensioni maggiori rispetto agli altri esemplari ed è caratterizzata da consistenza carnosa e sapore dolce. Va a nozze con i risotti tipici della tradizione veneta, oppure abbinata a un piatto “rustico” come la pasta e fagioli con le cozze, che da sola fa un pasto completo sul piano nutrizionale grazie al connubio di proteine, carboidrati e ferro.

Cozza adriatica

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La cozza adriatica è senza dubbio la regina dei litorali di Veneto ed Emilia Romagna. Si tratta della più grande produzione a livello nazionale, corrispondente a circa l’80% del mercato italiano. Questo esemplare, soprattutto quando viene “pescato” nei pressi degli impianti di estrazione del metano situati al largo delle coste romagnole, può raggiungere dimensioni considerevoli. Non solo: la cozza adriatica è particolarmente succosa e saporita, buonissima con la pasta, nel sautée e in piatti estivi come l’insalata di mare senza errori, l’antipasto da portare in spiaggia (o che, in alternativa, porta la spiaggia direttamente a casa vostra).

Mosciolo selvatico di Portonovo

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Anche detto “cozza selvaggia”, il mosciolo di Portonovo (provincia di Ancona) è un prodotto di eccellenza che si riproduce naturalmente sugli scogli sommersi di fronte al promontorio del Conero. Questo mitile viene raccolto a mano dai pescatori che si servono della “moscioliniera”, una lunga pertica dai denti ricurvi che stacca le conchiglie raschiando gli scogli. Per la sua produzione limitata, le caratteristiche organolettiche e i metodi tradizionali di pesca, il mosciolo di Portonovo è oggi tutelato da Presidio Slow Food.

Cozza del Golfo di Napoli e del Litorale Flegreo

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Cosa sarebbe Napoli senza uno dei suoi piatti più iconici, l’impepata di cozze? Fortunatamente la gastronomia locale si avvale di un prodotto tipico la cui storia si perde nella notte dei tempi. L’allevamento della cozza del Golfo di Napoli e del Litorale Flegreo, oggi effettuato con reti plastiche (reste) attaccate a pali di legno (stralli), è attestato in quest’area fin dalla dominazione angioina nel Tredicesimo secolo. Tuttavia gli studiosi ipotizzano che la mitilicoltura locale abbia una tradizione ben più antica, datata addirittura all’epoca antecedente la colonizzazione greca.

A prescindere dalla vera età della cozza di Napoli, l’unica certezza è la prova d’assaggio. Il frutto, di colore giallo più o meno intenso, è insieme sapido, dolciastro e caratterizzato dal tipico retrogusto amaro. Una cozza da assaporare attentamente e in tutte le sue sfumature, a partire dall’impepata fino agli spaghetti con pomodorino fresco e la tradizionale zuppa del Giovedì Santo.

Cozza tarantina

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La Puglia è forse considerata più di tutte la patria italiana delle cozze, e non ci sono Dop o enormi giri d’affari che tengano. La prima di cui vi parliamo è la tarantina, esemplare di taglia piccola caratterizzato da polpa rosea, carnosa e saporita. Un tempo la sua produzione non aveva eguali nel mondo, tanto da essere definita “l’oro nero di Taranto”. Oggi i numeri sono notevolmente ridimensionati ma ciò che conta è la qualità – e qui il piatto canta.

Il gusto intensamente salino è derivato principalmente dai fattori ambientali dell’area di allevamento corrispondente al Mar Piccolo, laguna costiera a nord di Taranto dove si incontrano correnti di acqua dolce (dette citri) e salata. Oltre alle caratteristiche organolettiche, la cozza tarantina si distingue per le proprietà nutrizionali: è infatti povera di grassi e particolarmente ricca di ferro. Inutile dire che uno dei piatti principi per assaggiarla sono le cozze gratinate o arraganate, da riempire semplicemente con uovo e pangrattato oppure arricchire con un tocco di arancia e zenzero.

Cozza salentina

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La Baia di Castro, provincia di Lecce, è l’habitat naturale per la cozza salentina o castrense. Questo esemplare è accarezzato da ben 34 citri, le sorgenti sottomarine di acqua dolce, e caratterizzato dal sapore spiccatamente iodato con retrogusto dolciastro e consistenza soffice. Ci piace abbinarlo a un altro classico della cucina pugliese, stavolta in salsa marina: le orecchiette integrali in guazzetto in cui il tipico formato di pasta incontra cozze, vongole, lupini e agretti.

Cozza pelosa di Puglia

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Una gustosa (e vistosa) eccezione alla tipica cozza mediterranea è rappresentata dalla sottospecie Modiolus barbatus, comunemente conosciuta come cozza pelosa. Questo esemplare, tipico delle coste baresi e di poche altre zone dell’Adriatico, presenta alcune caratteristiche peculiari: è prettamente selvatico, ha guscio di colore marrone-rossastro e ricoperto da una sorta di peluria, da cui il nome. Sebbene se ne decantino le qualità a crudo, noi vi indirizziamo sempre verso una più sicura cottura, e quale modo migliore per invogliarvi che la ricetta perfetta di tiella barese? Questa specialità locale, aka riso-patate-e-cozze, è il piatto unico perfetto per l’estate – e per rendere giustizia al delizioso mitile peloso.

Cozza di Olbia

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Come nel più dolce dei naufragi, il nostro viaggio termina sulle cristalline acque della Sardegna, in particolare in quelle del Golfo di Olbia. La cozza fu introdotta in questa zona a partire dagli anni Venti del Novecento. Il merito è del “mitico mitilicoltore” Raffaele Bigi che, dopo una gavetta a Trieste e Taranto, individuò nelle acque galluresi l’habitat perfetto per l’allevamento di cozze. Oggi la produzione è a pieno regime con 35 ettari a regime biologico, vale a dire mitili nutriti soltanto a plancton naturale e che a momenti mangiano meglio di noi. Buone, sane e in forma: cosa aspettate a provarle?