Perché comprare al supermercato è meglio che al mercato del contadino

Perché comprare al supermercato è meglio che al mercato del contadino

E’ facile riconoscervi, siete quelli che sbuffano, scansano e scuotono la testa per comprare naturale, mangiare naturale, consumare naturale. E cosa c’è di più naturale che acquistare direttamente dal contadino i prodotti del suo orto, dei suoi animali?

Come cosa c’è: il supermercato.

Perché comprare al supermercato, la cosiddetta GDO, Grande Distribuzione Organizzata, è più sicuro che farlo dal produttore o al mercato del contadino. Strano vero? E forse vi sto rubando un sogno. Ma proviamo a scoprire perché.

[Premessa: ho quattro nonni, tutti contadini. Non ce l’ho con gli agricoltori/allevatori, cerco di essere obiettivo]

Sappiamo che i pericoli alimentari sono tanti. Per quanto riguarda le piante ci sono concimi e antiparassitari chimici che devono essere sparsi sui vegetali in quantità non eccessiva, mentre per gli animali abbiamo antibiotici, ormoni e metalli pesanti. Tutte sostanze i cui valori vanno controllati perché pericolosi non nell’immediato, ma nel corso della vita.

Nessuno, insomma, si sente male perché ci sono ormoni nella carne bovina, ma assumere ormoni in continuazione, pur se in piccole quantità, può causare problemi anche gravi.

E chi controlla questi prodotti? [related_posts]

In Italia c’è il Ministero della Salute, che regola in base a leggi europee e nazionali i limiti massimi dei singoli elementi chimici presenti nella frutta, nella verdura, nelle carni e nelle produzioni animali. Il Ministero non opera da solo, ovviamente, ma si serve di enti come le ASL, distribuite in tutto il paese, che controllano gli alimenti, a campione, per essere sicuri che i limiti vengano rispettati.

Ovviamente il campione serve a scoraggiare irregolarità, perché i controlli sono pochi, ma è la paura che tocchino proprio a te-produttore spinge a rispettare la legge. Un po’ come se viaggiamo in macchina senza cinture. Non sappiamo se troveremo la Polizia, ma la paura di trovarla (oltre alla sicurezza, ovviamente) ci spinge a metterle.

I controlli maggiori vengono effettuati in autocontrollo, ovvero saltuariamente un produttore fa delle analisi, pagate in proprio, e nel caso trovi qualcosa che non va può seguire due strade:

1. Agire secondo legge, segnalando alle ASL che ha trovato quella che in gergo si chiama “Non Conformità”, sapendo che non potrà vendere quella merce e che seguiranno una serie di controlli per sapere se le cose si sono ristabilite, pur con la garanzia che non potrà mai essere perseguito penalmente (in fondo si è comportato bene, i problemi ci possono essere sempre);

2. Non agire secondo legge, fare finta di nulla, buttare la cassetta di frutta protagonista delle analisi, ripeterle su un’altra finché non hanno risultati in linea con la legge e tenere questi ultimi nel registro ufficiale, “insabbiando” il resto. Ovviamente se la ASL ripete le analisi su quegli alimenti… la conseguenza è una denuncia penale.

Purtroppo il secondo è un comportamento diffuso. Molto diffuso tra chi ha più problemi, che nel primo caso dovrebbe buttare troppa merce, troppo spesso.

Va da sé che più andiamo nel piccolo e più le cose peggiorano. Prendiamo due multinazionali italiane, Barilla e Ferrero: quante confezioni di pasta o di dolciumi vendono, in quanti supermercati finiscono, quanti controlli subiscono? Diversi, e numericamente superiori a quelli effettuati sulla merce del contadino che ha un ettaro di terra e che vende la mattina al mercato ortofrutticolo.

Inoltre la legge alimenta questo meccanismo: il regolamento 853/2004, che riguarda controlli scrupolosi sugli alimenti potenzialmente più pericolosi per la salute umana, lascia fuori dal campo di applicazione le piccole quantità di alimenti vendute dal produttore direttamente al consumatore. La legge è europea, e rimanda alla normativa nazionale in questo caso. Per cui i controlli sono ancora minori.

Per questi motivi i produttori primari hanno più libertà nell’agire. E se la maggior parte, ovviamente, si comporta bene, c’è chi cerca di “barare” fornendo degli aiutini alle proprie piante e ai propri animali, così da guadagnare di più con minore spesa.

Niente più contadini, non ci si può fidare? Manco per niente, è solo che i controlli sono più permissivi, caso emblematico questo servizio delle Iene di qualche mese fa in cui dei finocchi venduti per biologici in realtà non lo erano. In questo caso non erano pericolosi, certo, ma da biologico a non-biologico e da non-biologico a non-legale il passo è breve.

Non va così nella grande distribuzione. L’obbligo di mantenere un’immagine per non perdere clienti funziona da deterrente per le grandi catene di supermercati, che organizzano sistemi qualità per controllare il rispetto delle regole. Sistemi che non controllano solo le derrate consegnate nei supermercati, ma tutti gli articoli prodotti nelle aziende che li riforniscono.

Altro esempio pratico: a volte mi capita di fare colazione nella pasticceria artigianale di un piccolo apese che ogni giorno consegna alcuni vassoi di dolci al supermercato Conad. Nonostante questa piccola quantità di dolci, subisce più volte all’anno i controlli degli ispettori Conad. Per la cronaca, la ASL è andata lì l’ultima volta cinque anni fa.

Continuate a fidarvi del contadino vicino di casa che regala le uova o ve le vende a un euro per ricomprare il mangime alle galline, i problemi non sono lì, neanche nella nonna o nello zio che hanno l’orto. Se dovessimo individuare una categoria più a rischio, i problemi sovente si trovano nelle aziende piccole dai guadagni risicati tentate dalla prospettiva di racimolare un po’ di soldi facili.

È vero, spesso i prodotti di contadini e allevatori sono più buoni di quelli della GDO, che arrivano chissà da quale parte del mondo, e di sicuro sono prodotti a “chilometri zero”, cresciuti nella zona: ma i problemi sono sempre dietro l’angolo, e possono esserci anche lì.

[Crediti | Link: Dissapore, Mediaset]