Quest’estate ci ha già deliziati con le stramberie alimentari dei vip, vedi la pasta alle fragole della tennista Iga Swiatek: ovviamente da una sportiva del suo livello non ci aspettavamo grandi slanci gourmet, ma quando a lanciarsi in interpretazioni all’apparenza discutibili sono mega-chef internazionali il tutto è decisamente più divertente, soprattutto quando l’oggetto della loro riflessione è l’intoccabile (solo secondo noi) cucina italiana.
Avevamo lasciato a inizio dell’anno scorso nientemeno che René Redzepi lanciarsi in una sua discutibile versione di “agnolotti in brodo”, che agnolotti non erano, ed ora è il turno di Dabiz Muñoz il ribelle tristellato del DiverXo di Madrid, che si avventura in una versione tutta sua di un pacchero al sugo di maiale.
I paccheri di Dabiz Muñoz
Un piatto, per i suoi standard, tutto sommato casereccio, che lo vede molto gasato sulle sue stories di Instagram e che, siamo certi, non mancherà di sollecitare una risposta degli “italian mad at food” più attenti, anche se la stragrande maggioranza delle forze della “pasta police” in questi giorni è impegnata a disciplinare la BBC per la sua cacio e pepe con burro e parmigiano.
Si parte da un secreto di maiale iberico, sorta di filetto nascosto (da qui il nome) all’interno della spalla, insaporito con la marinatura del char-siu, preparazione cinese a cui la pasta di fagioli fermentata dona il tipico colore rosso vivo, cotto sulle braci del forno Josper, perché siamo pur sempre in tristellato, non poteva certo usare la griglietta Diavolina monouso da campeggio.
Il sugo ricavato viene steso sulla pasta scondita: un tema, quello di ripensare e magari riscoprire il servizio del cibo più amato dagli italiani, che è decisamente avanguardista, e una ventata di aria fresca rispetto alle mantecature “super cremose” che appestano i social.
Se un’ispirazione asiatica è presente in quasi tutti i piatti di Muñoz, così come uno schema abbastanza consolidato di affumicato-piccante-acido, il resto e tutto decisamente italiano, quasi in maniera caricaturale: sulla pasta col sugo un’abbondante dose di ciuffi di burrata, si copre il tutto con lamelle di tartufo nero (crudo mannaggia a lui, quando perderemo l’abitudine di trattare il tartufo nero come quello bianco?), una coltre di Parmigiano 36 mesi, e un giro d’olio d’oliva varietà Arbequina. Decidete voi: stramberia o rivisitazione gourmet?