Importare cibo non è mai costato così tanto, e chi ne fa le spese sono i Paesi più poveri

Importare cibo costa sempre di più, e a fare le spese degli aumenti sono naturalmente i Paesi economicamente più deboli.

Importare cibo non è mai costato così tanto, e chi ne fa le spese sono i Paesi più poveri

Importare cibo non è mai stato così costoso: stando agli ultimi rapporti redatti dall’Agenzia per l’alimentazione delle Nazioni Unite, resi pubblici proprio nella giornata di oggi venerdì 11 novembre, i costi delle importazioni di cibo in tutto il mondo sono in procinto di raggiungere un record di quasi due trilioni di dollari nel corso del 2022. A farne le spese, secondo la lettura proposta dalle stesse autorità alimentari (ma anche in base a una semplice analisi logica), saranno naturalmente i Paesi economicamente più deboli, che con ogni probabilità hanno spedito (e ricevuto) volumi notevolmente inferiori di derrate alimentari.

I prezzi del cibo hanno raggiunto livelli record da marzo

grano duro

La pietra dello scandalo è naturalmente l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, mossa che ha di fatto stravolto l’equilibrio del mercato globale sommergendolo al di sotto dell’ombra dell’incertezza alimentare: a meno che non abbiate passato gli ultimi mesi sotto un sasso (e nel caso – beati voi) saprete certamente che l’Ucraina, colloquialmente chiamata il Granaio d’Europa, è di fatto uno dei principali produttori al mondo di cereali e semi oleosi. Ovviamente l’imperversare della guerra ha bloccato le operazioni di semina e raccolta, determinando importanti cali produttivi, ma ancor di più ha fondamentalmente paralizzato le linee di esportazione determinando un folle aumento dei prezzi del grano (un aumento in cui c’era per di più la connivenza delle tensioni speculative).

L’esportazione marittima ucraina, che di fatto rappresenta il principale canale verso l’estero, è stata poi ripristinata quest’estate, ma il cosiddetto accordo per il grano poggia su di un equilibrio piuttosto precario. Basti pensare, a tal proposito, alle recenti vicissitudini che hanno visto la Russia uscire dal patto e poi rientrarvi in una manciata di giorni – una mossa che naturalmente ha causato una nuova impennata dei prezzi.

La situazione nei Paesi più poveri

siccità

Aumenti dei prezzi che, come accennato, sono andati a colpire soprattutto i Paesi economicamente vulnerabili, che guardano al futuro con una torbida preoccupazione: “Questi sono segnali allarmanti dal punto di vista della sicurezza alimentare” ha affermato l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) nel suo rapporto biennale. Secondo la FAO, il conto mondiale delle importazioni alimentari dovrebbe raggiungere 1,94 trilioni di dollari quest’anno, in aumento del 10% su base annua e superiore a quanto previsto in precedenza.

I volumi delle importazioni dei Paesi a basso reddito si sono nel frattempo ridotti del 10%. “Gli importatori hanno difficoltà a finanziare l’aumento dei costi internazionali, annunciando potenzialmente la fine della loro resilienza all’aumento dei prezzi internazionali” ha affermato in tal senso la FAO. Importante, in questo contesto, considerare anche la cosiddetta crisi dei fertilizzanti, i cui costi di importazione globali aumenteranno di quasi il 50% quest’anno (di nuovo, dati FAO), costringendo naturalmente i Paesi in questione ad acquistare e utilizzarne meno, con raccolti già minati dal cambiamento climatico che di fatto andranno inevitabilmente a diminuire ancora.