Ristoratore, tu apri. Ma loro vengono?

La protesta dei ristoratori accompagnata dall'hashtag #ioapro è alle porte, ma siamo sicuri che le insegne illegalmente accese dei ristoranti aperti la sera raccoglieranno il favore dei clienti? Alcuni argomenti contro questa iniziativa, in contrasto con l'unica lotta necessaria.

Ristoratore, tu apri. Ma loro vengono?

Ok, ieri abbiamo scherzato. Parlando della protesta dei ristoratori esasperati dalle misure anti-Covid, che si sono riuniti sotto l’hashtag #ioapro e hanno annunciato che, appunto, da venerdì 15 gennaio loro aprono, abbiamo fatto un po’ di bonaria ironia. Ma la questione merita di essere approfondita in modo serio. Come seria è la crisi del settore, travolto dalla pandemia in maniera paurosa, forse solo al turismo è andata peggio. Come seria è la situazione sanitaria, con le vaccinazioni iniziate ma ben lungi dall’immunizzare tutti, e il virus che muta diventando più contagioso.

Anche qui, premetto il necessario disclaimer: io sto dalla parte dei ristoratori. Sono amici, ex colleghi, mi danno da mangiare e rendono la mia vita un posto migliore, a volte addirittura bellissimo. Ma sto, ancora di più, dalla parte dei lettori: il mio lavoro, adesso più che mai, è provare a capire le cose, e dopo a farle capire. Potrei usare paroloni come etica personale e deontologia professionale, ma è semplicemente quello.

Oltre la legalità

#ioapro

Nel più recente video della pagina Facebook Ioapro1501, caricato stanotte alle 2, si ribadiscono alcune cose dette e scritte in precedenza, e se ne aggiungono altre. Viene fuori che stanno raccogliendo adesioni in maniera ufficiale, e c’è un modulo da compilare e inviare via mail, allo scopo sia di contarsi, sia di fornire ai clienti un elenco dei locali aperti: vedremo quanti ristoratori avranno voglia di esporsi così tanto, e se questa lista verrà mai fatta, o pubblicata. Spunta, poi, la precisazione di essere un movimento apolitico: evidentemente la preoccupazione che il sostegno di Matteo Salvini possa trasformarsi nel bacio della morte, c’è.

Yuri Naccarella e Mohamed “Momi” El Hawi – insieme a Umberto Carriera i volti di questa protesta – insistono poi sugli aspetti che più preoccupano clienti e ristoratori, assicurando tutela legale per tutti. E ribadiscono che le sanzioni possono essere ignorate o quasi, che anche se a fianco della multa c’è la chiusura si può continuare a tenere aperto, e che in particolare non potrà mai essere applicato il ritiro della licenza. L’importante, dice Momi, è che si rispettino le norme igienico sanitarie, comprese quelle anti-Covid. Il che è curioso, perché sottintende che mascherina e disinfezione siano misure anti-Covid, e la chiusura dei ristoranti no.

Comunque è vero, in nessun dpcm c’è scritto “ritiro della licenza” e probabilmente non potrebbe neanche esserci scritto, dato il livello (bassissimo) della fonte di diritto. È anche vero però che la chiusura può essere immediata, in caso di violazioni gravi – cioè, arrivano i carabinieri e ti fanno chiudere seduta stante, non da domani – e che la sanzione può raggiungere i 30 giorni di stop nel caso di violazioni ripetute. Non si capisce cosa hanno intenzione di fare i gestori di #ioapro nel caso di escalation: disobbedienza civile, resistenza passiva? Si incatenano agli abbattitori, si fanno portare via di peso come sacchi di patate?

Per quanto riguarda la questione di costituzionalità dei dpcm, accennata in un altro video dall’avvocato del movimento, c’è da dire che molti giudici e Tar in questi mesi hanno espresso perplessità su vari aspetti, ma per arrivare a una dichiarazione di illegittimità costituzionale e quindi di inapplicabilità della legge, il percorso sarebbe lungo e tortuoso. Lo riporta un articolo del Sole-24Ore, che accenna anche a un’altra ipotesi: quella che si possa applicare addirittura una norma penale, che parla di “Delitti colposi contro la salute pubblica”. Ma mettiamo per un attimo da parte la questione – enorme – della legalità.

Il teatrino dell’igiene

Ristoranti Covid-19

Facciamo che dal 15 gennaio aprite i ristoranti, davvero. Misurando la temperatura a chi entra, facendogli tenere la mascherina fino al momento in cui il piatto è in tavola, distanziando le postazioni, sanificando a ripetizione tutte le superfici. Le questioni sono due. La prima: veramente credete che passando l’amuchina sulle maniglie e mettendo i tavoli lontani evitate la circolazione del virus? Di questo Coronavirus sappiamo sempre meno di quello che vorremmo, ma comunque molto di più rispetto a un anno fa (eh sì, siamo al giro dell’anno). E una delle cose che si è capita è che basta la più piccola gocciolina di saliva che viaggia in sospensione nell’aria, a volte, per far avvenire il contagio. Mentre quasi mai ci si prende il virus da particelle depositate su superfici o altri oggetti – i cosiddetti fomiti.

Il che in generale è buono, perché l’ossessione di disinfettare tutto, di mettere i vestiti nell’inceneritore ogni volta che si torna da fuori, e di passare l’alcol sulle pareti di casa, alla lunga era insostenibile. Ma nel nostro caso, bad news, perché vuol dire che la più accurata delle disinfezioni non è necessaria, ma non è sufficiente. In un pezzo dell’Atlantic di qualche tempo fa si parlava proprio di questo “teatro dell’igiene” che avviene nei locali, una serie di misure e comportamenti che facciamo per rassicurarci più che per proteggerci, puro pensiero magico. (Ehi attenzione, non sto dicendo che non bisogna lavarsi le mani, seguite sempre e comunque le indicazioni delle autorità sanitarie.)

Insomma parliamoci chiaro: i contagi avvengono quando la gente è al chiuso e senza mascherina. Anche per poco tempo, e anche a dispetto di un distanziamento di oltre 2 metri: lo ha dimostrato uno studio coreano che abbiamo riportato qualche settimana fa. Al chiuso, senza mascherina, per un’ora, a distanza: cioè, al ristorante. Purtroppo. 

Io apro, tu vieni?

Ristoranti; fatturato terzo trimestre 2020

Ma soprattutto, seconda questione: siete conviti che la gente vi venga dietro, cioè che avrete i ristoranti pieni perché i clienti non hanno paura? A leggere i commenti esaltatissimi sotto i post della pagina Facebook, parrebbe di sì. Frotte di gente che non aspettava altro, persone che non vedono l’ora di tornare a una vita normale, di sostenere il settore, di mandare a casa il Governo. Eh già, perché questa protesta dei ristoratori, che lottano semplicemente per il proprio lavoro e la propria sopravvivenza, sta intercettando un malcontento più ampio. Soprattutto nel momento in cui trova una legittimazione, televisiva più che politica, rischia di scoperchiare una fogna: negazionisti, no-vax, complottisti della pandemia. Tutte cose che i promotori del movimento non sono: Momi ha avuto il papà in pericolo di vita per settimane, e nessun altro si è mai spinto a negare l’esistenza del virus, almeno nelle uscite pubbliche.

Ma sono, si dirà di questi supporter fomentati, quattro gatti isolati. In effetti, per il momento è così: se ci limitiamo al commentarium, è una pagina che non arriva a 20mila like (i ristoratori aderenti sarebbero dai 30 ai 50mila, a loro dire), anche se in crescita: nel momento in cui tu leggi questo articolo, potresti trovare ben altri numeri. Però, per il momento, il sentiment collettivo sembra andare altrove. Qualche dato.

I sondaggi: gli italiani sono in maggioranza favorevoli a coprifuoco e zone rosse. E in tutti i paesi europei, i cittadini non chiedono un allentamento, ma un inasprimento delle misure anti-Covid. La questione è: se le misure fossero allentate senza un mutamento effettivo delle condizioni, la gente si riverserebbe per strada e nei locali, oppure la maggior parte di loro avrebbe timore e auto-limiterebbe le uscite?

Non lo sappiamo, ma possiamo guardare un piccolo precedente. Quello della primavera-estate scorsa, dove pure i numeri erano in netto miglioramento. Ebbene, i dati Fipe raccontano una storia chiara, confermata anche da rilevamenti avvenuti in altre parti del mondo: nel terzo trimestre 2020 c’è stata una contrazione del 16% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Forse con i disegnini è più chiaro: tutti i grafici – quelli che riguardano il fatturato come quelli che considerano altri parametri, ad esempio l’occupazione – mostrano ovviamente una discesa a picco a partire da marzo, e un rimbalzo da giugno, ma la curva non torna mai ai livelli pre-pandemici. Chiaramente questo dipende da una serie di fattori combinati e difficilmente districabili, non ultima la riduzione dei coperti causa distanziamento. Ma sicuramente ha inciso tanto anche la prudenza, la paura. 

Crisi sanitaria vs crisi economica?

Infine, discorso ancora più generale ma necessario: siamo sicuri che economia e salute siano su due piatti opposti della bilancia? Perché la narrazione che è passata è questa: privilegiare la sanità significa affossare il PIL, dare una spinta all’economia comporta il sacrificio di qualche vita umana. Insomma ci sarebbe da operare un difficile bilanciamento, un vero e proprio dilemma morale. Peccato che, be’, non sia così. I paesi, come la Cina, che hanno meglio combattuto l’epidemia – più in fretta, con misure più drastiche, con effetti più immediati – sono quelli dove l’economia è ripartita più rapidamente, e oggi non dico sono in una situazione normale ma quasi. D’altro canto, i paesi più duramente colpiti dal virus, anche quelli come l’Italia che hanno messo in campo norme severe ma con ritardi ed esitazioni, hanno il PIL sotto le scarpe.

Da un certo punto di vista, si potrà obiettare, questa è un’ovvietà: dice solo che dove le cose sono andate meglio, sono andate meglio. Ma in realtà, è importante quello che NON mostra: non mostra una correlazione diretta tra vittime del virus e benessere economico. Non è che dove si è lasciata contagiare e morire la gente, l’economia non ha avuto contraccolpi; anzi. Crisi sanitaria e crisi economica non sono in contrasto, ma vanno di pari passo. E insieme bisogna combatterle.