Shrinkflation: come si nasconde l’aumento dei prezzi con dieci patatine in meno nel sacchetto

Che cos'è la shrinkflation e perché se ne sta parlando tanto: il trucco dei produttori di cibo per aumentare i prezzi nascondendo l'inflazione.

Shrinkflation: come si nasconde l’aumento dei prezzi con dieci patatine in meno nel sacchetto

Un paio di giorni fa mia figlia è venuta da me protestando: “Perché hai comprato una Coca-Cola più piccola?”. E io: “Ma quando mai, ho preso quelle di sempre. O perlomeno, al posto dove le prendo sempre”. Lei allora mi ha mostrato la bottiglia di plastica comprata all’ultimo giro, e a fianco una di quelle prese in una spesa precedente: effettivamente quella solita è di 660 ml (avrei giurato, tra l’altro, che era mezzo litro come le bottigliette d’acqua), la nuova solo 450 ml. Se vi state chiedendo i prezzi, avete centrato il punto: la grande costava 1,10 euro, la piccola 1 euro. Qual è la più economica? Non quella che costa meno. Ora io sono convinto che ci saranno mille motivi, di marketing e strategici, globali e locali, ambientali e produttivi, per il suddetto affiancamento (o avvicendamento) sugli scaffali del mio supermercato. Ma sembra proprio un caso di shrinkflation, o inflazione nascosta.

Non è proprio un caso “puro”, dato che qui c’è una riduzione di capienza e una parallela riduzione – non proporzionale però – di prezzo. L’ipotesi da manuale è quella del pacco di chips con 10 patatine in meno, che mantiene lo stesso prezzo; o della confezione che viene sottoposta a restyling, e dentro c’è mezzo etto di prodotto in meno.

La parola shrinkflation è una crasi tra shrink, restringimento, e inflazione: indica appunto la manovra volta a mascherare un aumento di prezzo con una diminuzione di prodotto. “È un modo per nascondere l’inflazione, e lo vediamo applicato principalmente al food & beverage, o ad altri prodotti che hanno un turnover frequente” spiega al Philadelphia Enquirer Chris Motola, analista finanziario di MerchantMaverick.com: “Niente che non si sia già visto”.

L’inflazione e le sue conseguenze

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Ma se ne parla non a caso in questo periodo, in cui le multinazionali si chiedono: come far fronte ai costi crescenti senza alzare i prezzi? L’inflazione c’è, e soprattutto se ne parla. Gli spaventosi aumenti delle bollette, già avvenuti; il timore per la crescita incontrollata del prezzo del grano, e di conseguenza di beni primari come pasta e pane; siamo tutti coi nervi a fior di pelle, pronti a beccare la minima variazione di 10 centesimi in più nel prezzo dei maccheroni o del sugo. E allora, la risposta è semplice e furba: il prezzo unitario del bene (pacchetto, confezione, busta, sacchetto…) resta lo stesso; ma la quantità di prodotto dentro diminuisce. Noi paghiamo di più, ma non ce ne accorgiamo: dovremmo guardare il prezzo al kg scritto in piccolo sui cartellini del super, ma chi ci fa caso. Fessi e contenti, come si dice.

Questa cosa, dicevamo, è sempre successa, ma ora che l’inflazione torna a crescere – per una serie di motivi, dal covid alla guerra passando per la crisi della supply chain e l’aumento dell’energia per la produzione, come dei carburanti per i trasporto – in maniera tanto repentina quanto inaspettata, sta succedendo di più. E conferma alcuni sospetti che avevamo sempre avuto: tipo quello sulle merendine, soprattutto quelle iconiche di quando eravamo bambini, che a un certo punto sono uscite di produzione, e dopo anni sono tornate sugli scaffali nelle ormai consuete operazioni nostalgia. Quante volte ci siamo detti: ma io i Mars, i Baiocchi, i coni gelato, me li ricordavo più grandi. E ci siamo corretti da soli: ma no, non sono loro che si sono rimpiccioliti, siamo noi che siamo cresciuti. Be’, ora sappiamo che, almeno in qualche caso, non ci stavamo allucinando.

Un pezzo del Wall Street Journal ricorda e riassume aumenti, ritocchi, covid fees ed extra in vario modo denominati, che sono spuntati negli ultimi tempi. E anche in Italia da qualche mese ci siamo abituati a vedere, soprattutto nei piccoli esercizi, dei cartelli o degli avvisi sul menu che sottolineano, quasi giustificandosi, un piccolo aumento di prezzo – per esempio 10 cent sul caffè – “data la situazione”. Con la shrinkflation, però, siamo da tutt’altra parte: sia perché, appunto, non è il prezzo che lievita, almeno non quello “a corpo”; sia perché il sostanziale aumento del prezzo “al chilo” viene tutt’altro che esplicitato, anzi nascosto con un’opera di prestidigitazione.

Niente di illegale, intendiamoci. Anche se qualche problema di tanto in tanto le aziende lo affrontano: nel 2021 McCormick ha pagato 2,5 milioni di dollari per evitare una controversia con i consumatori che avevano notato come l’azienda mettesse meno pepe nero nella stessa confezione. E la Mondelez nel 2017 affrontò una famosa causa per aver aumentato la distanza tra le punte del Toblerone: il risultato fu che l’iconica barretta tornò al formato originario.

D’altra parte, forse non è manco la cosa peggiore, considerate le alternative. Edgar Dworsky, avvocato dei consumatori e editor di ConsumerWorld.org, ha spiegato a Quartz: “Ci sono tre opzioni base: alzare direttamente i prezzi, togliere un po’ di prodotto, produrre con ingredienti più economici”.

Quali sono i marchi che fanno shrinkflation

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Gatorade, il marchio di bevande sportive di PepsiCo, ha recentemente sostituito la sua bottiglia da 32 once con una da 28 once, allo stesso prezzo: l’equivalente di un aumento del prezzo del 14%. “Fondamentalmente abbiamo riprogettato la bottiglia, è più aerodinamica ed è più facile da prendere”, ha spiegato un rappresentante dell’azienda. “La riprogettazione genera un nuovo costo e le bottiglie sono un po’ più costose”, anche se gli esperti di packaging affermano che si tratta di spese irrisorie rispetto all’aumento effettivo.

Frito-Lay, sempre del gruppo Pepsi, ha confermato a Quartz che le sue confezioni di Doritos contengono meno chips a causa dell’inflazione. “L’inflazione colpisce tutti. … Abbiamo solo tolto qualche pezzo dal pacchetto in modo da poter offrire lo stesso prezzo”. 

Il produttore degli Oreo, la Mondelez – toh chi si rivede – ha aumentato i prezzi in media dal 6% al 7% negli Stati Uniti il ​​mese scorso, ma non è stato sufficiente per compensare i costi più elevati, ha affermato la società. Quindi Mondelez ha introdotto nuove dimensioni e gusti che afferma essere più redditizi. I nuovi biscotti per il 110° compleanno di Oreo costano circa 10 centesimi in più rispetto ai normali Double Stuf Oreo in diversi negozi di alimentari, anche se il nuovo gusto è disponibile in un pacchetto leggermente più piccolo.

Ma i casi si moltiplicano: altri esempi si possono trovare in un articolo su Cnet; o sul sito dello stesso Dworsky, che di recente ha pubblicato due elenchi dei prodotti che si sono ristretti. In quel gran contenitore che è Reddit, decine e decine di consumatori stanno monitorando la situazione e riportando casi su casi.  Senza parlare del rimpicciolimento dei beni accessori: quelli cioè che vengono regalati (o venduti a prezzo ribassato) come omaggio per delle prestazioni come i viaggi in treno o in aereo.

Come difendersi dagli aumenti di prezzo nascosti

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Ma la shrinkflation funziona? Il ridimensionamento non è necessariamente facile, e deve valerne la pena. Jamie Stone, un esperto di packaging design presso PA Consulting, ha detto a Quartz che gli acquirenti sono diventati più consapevoli del danno degli imballaggi sprecati. “Devi sbarazzarti dell’ossigeno o riprogettare la confezione. Ma la creazione di nuovi imballaggi richiede l’acquisto delle macchine per realizzarli. Quanti milioni servono per il capitale, il design, la filiera, per fare un pacchetto leggermente più piccolo? Se il prezzo delle materie prime viene invertito e tutto torna come prima, potresti aver sprecato i tuoi soldi”.

Povere multinazionali: e vabbè, ce ne faremo una ragione. A noi interessa piuttosto capire come difendersi dall’inflazione nascosta. Ci sono varie strade: la prima è familiarizzare con i pesi o le quantità. “I consumatori devono diventare non solo price conscious, attenti al prezzo, ma anche net-weight conscious, attenti al peso netto”, dice sempre Dworsky. Bisognerebbe perciò aver presenti, o ricordarsi, quanto pesano le confezioni degli alimenti che compriamo di più (non come me che ero convinto che la bottiglia di Coca fosse da mezzo litro), altrimenti si rischia di non accorgersi proprio di un eventuale cambio.

Poi c’è da conoscere e considerare i marchi alternativi, quelli che offrono lo stesso cibo o uno simile, per deviare verso di loro in caso di necessità. Ma c’è un’opzione ancora più radicale. E più giusta, considerando non solo il problema degli aumenti occulti di prezzo, ma tutta la filiera, dal punto di vista del peso economico e dell’impatto ambientale: smetterla una buona volta, per quanto possibile, di comprare cibo confezionato, e tornare allo sfuso