Gemelli a confronto su Netflix: il ruolo delle neuroscienze

C'è un dietro le quinte inedito sul documentario di Netflix Sei ciò che mangi - gemelli a confronto: il punto di vista di Thimus, coinvolto nell'esperimento. Abbiamo intervistato il founder Mario Ubiali.

Gemelli a confronto su Netflix: il ruolo delle neuroscienze

Se vi garantissimo che è possibile eliminare i pregiudizi delle preferenze alimentari dichiarate durante un assaggio? O che è possibile stabilire il reale livello di apprezzamento di un cibo ingerito? A fare tutto ciò è Thimus, azienda italo-canadese con sede a Brescia che applica la neuroscienza in campo alimentare per decifrare la complessità dell’esperienza umana con il cibo. Per tali scopi è chiamata a rapporto dalle più grandi aziende food per indagini sulle scelte di consumo (da Barilla ai brand di proteine plant based), da Università, e da contesti di informazione come Dissapore. Si parla di un approccio scientifico multidisciplinare che, tramite elettroencefalogramma e altri strumenti applicati su chi testa i prodotti, porta Thimus a stabilire le reazioni cognitive, psicologiche, sociologiche e culturali. Senza i filtri che la razionalità/la paura/l’ansia da prestazione potrebbero mettere in campo. Insomma, lo scopo è mettere in chiaro le emozioni che si celano dietro al cibo.

Perché fare ciò? Perché “l’uomo non è razionale“, spiega l’azienda (che recentemente è stata coinvolta nel documentario su Netflix Sei ciò che mangi – gemelli a confronto, per captare il reale apprezzamento degli americani mentre assaggiano la carne plant based). Abbiamo intervistato il founder di Thimus Mario Ubiali, che ci spiega bene la neuroscienza alla base del suo lavoro e ci delinea meglio le aspettative future riguardo al cibo, alla nostra alimentazione, alle potenzialità del progetto.

Thimus feat Dissapore: volete provare le neuroscienze assaggiando i migliori panettoni d’Italia? Thimus feat Dissapore: volete provare le neuroscienze assaggiando i migliori panettoni d’Italia?

Prima di tutto, come funziona Thimus: misura il dato neurofisiologico tramite Encefalogramma (EEG) e digitalizza le emozioni che ci restituisce il cibo, per comprendere ciò che spesso rimane insondato ma che ha un impatto significativo sulle nostre scelte di consumo. Lo strumento si chiama T-Box e rilascia risultati istantanei sull’accettazione, sul coinvolgimento e sui livelli di familiarità di un prodotto. Si tratta di un EEG portatile che dialoga con un hub in grado di raccogliere il dato neurofisiologico, e inviarlo ad un software progettato dall’azienda con il quale è possibile analizzare sia durante sia dopo un’esperienza di assaggio.

Sì scienza, ma c’é anche psiche?

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L’aspetto multidisciplinare di Thimus non è una scelta ma un atto quasi dovuto, visto che nell’essere umano entrano in gioco più fattore mentre mangia. L’uomo mangia per nutrirsi, per socializzare, per ricordare, per molte altre ragioni. Non possiamo limitarci a guardare il dato scientifico, per valutare la reazione delle persone nell’esperienza sensoriale. Il team di Thimus comprende due psicologhe comportamentiste (con un background in campo alimentare). C’è chi si occupa di psicologia sociale, chi di antropologia e ovviamente di scienza. Si tratta, la multidisciplinarietà, di un requisito metodologico. E imponiamo limiti, per scelta: non sforiamo mai in campo medico“.

Mi interessa l’aspetto antropologico/culturale della vostra analisi

Se andiamo indietro nella storia, sin dai primi attimi di procacciamento di cibo da parte dell’essere umano si parla di aggregazione e di tribù: il suo legame col cibo supera darwinismo e diventa cultura. Il cibo è cultura a prescindere che sia buono o cattivo e che sia un surgelato o spaghetti di uno stellato. Il significato e il consumo di ogni singolo cibo non sarà mai soltanto mero nutrimento per sopravvivere.

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La cultura del cibo in un particolare contesto è anche geografia, territorialità, orografia, economia: il pesce fermentato tradizionale nei paesi nordici è cultura e comunità, ma perché nasce da esigenze di conservazione in climi ostili, da biodiversità territoriale. Cultura e antropologia producono abitudini e cibi. La reazione a tali cibi tocca anche punti che risiedono profondamente nell’identità culturale di quell’alimento (perché vi appartengo, o perché mi è estranea”. Poi entrano in gioco anche la genetica e proprietà organolettiche, nonché fattori più capillari“.

Quanta discrepanza c’é tra ciò che i tester dichiarano e ciò che il loro cervello rivela?

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Sulla discrepanza tra ciò che viene detto e ciò che viene sentito in maniera preconscia non si può rispondere in maniera definitiva. Partiamo dall’assunto che certamente ci sono differenze tra dichiarato e percepito. Che non passi, però, l’idea che le persone siano completamente fuori controllo e rivelino una bipolarità alla Dr Jakill and Mr Hyde. Parlerei di livelli di coscienza più che di discrepanza, e anche di livelli di funzionamento emotivo (l’emozione non ha lo stesso funzionamento del sistema razionale).

Cosa pensano i lettori dei panettoni scelti da Dissapore? Ce lo dice la neuroscienza di Thimus Cosa pensano i lettori dei panettoni scelti da Dissapore? Ce lo dice la neuroscienza di Thimus

Le differenze dipendono molto anche dal contesto in cui ci si muove: l’opinione sincera è magari positiva, ma il cervello è anche fatto di ricettori del gusto e a volte la buona intenzione – parlando per esempio di carne alternativa – non è seguita dall’acquisto. Altre volte vediamo una perfetta linearità tra opinione e reazione cerebrale, in chi dichiara di amare determinati prodotti – parlando per esempio di Nutella“.

Quanto si “fidano” le persone o i tester delle vostre analisi?

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Integrare una nuova tecnologia in un mercato corporate del cibo non è mai facile. Lo sappiamo bene. Certamente le persone che vengono a fare i test si fidano e sono intrigate. Pensano che sia una tecnologia interessante; raramente ci sono stati soggetti scettici o spaventati dagli elettrodi. Anche gli stakeholder – le aziende, o le Università che si appoggiano a noi – stanno iniziando a capire. Anzi, diverse grandi aziende del food (e sappiamo tutti quando quello del cibo sia un mondo tremendamente conservatore) hanno scelto di “adottare” Thimus“.

Documentario su Netflix: come sono arrivati a voi e perché? Opinioni su quanto é andato in onda

marco-ubiali-thimusMarco Ubiali – founder di Thimus – per netflix

Ci ha raccomandati a Netflix il professore che dirige il laboratorio di ricerca sulla trasformazione delle nuove proteine vegetali – il plant based – presso l’Università di Berkley in California. Ecco come Thimus è stato coinvolto nel documentario tra i più discussi: un confrontato tra la salute di gemelli monozigoti dopo un periodo a mangiare uno dieta vegana e l’altro dieta onnivora. Purtroppo, di otto ore registrate hanno mandato in onda novanta secondi, ma non mi sono stupito. Mi aspettavo questa logica quasi militare molto massiva, tipica delle grandi produzioni, che raccoglie una quantità abnorme di dati per poi decidere solo in un secondo momento quale linea narrativa seguire“.

Sei ciò che mangi – gemelli a confronto (su Netflix) parla della nostra salute, non di veganismo Sei ciò che mangi – gemelli a confronto (su Netflix) parla della nostra salute, non di veganismo

Che l’uomo non sia (solo) razionale è un dato di fatto, ma è interessante approfondire e comprendere come questa cosa si impatta sulle scelte: “se chiedi a qualcuno ‘vuoi salvare il pianeta o vuoi distruggerlo?’ la risposta è ovvia. La gente è in buona fede, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ed è proprio qui che entra in gioco la neuroscienza“, spiegano da Thimus nel documentario. Proprio questo è il nodo gordiano. Razionalmente le proteine alternative (plant based o di altro tipo) sono accettate come soluzione, ma poi prevale il sentimento in molti casi.

Differenze neuroscientifiche tra USA ed Europa su carne plant based?

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Il plant-based negli Stati Uniti incontra una cultura carnivora tradizionalista (valgono i discorsi fatti su cultura e antropologia), ma atterra in una nazione che non ha una struttura particolarmente formata e millenaria nelle abitudini alimentari. Significa che, attualmente, negli States il plant-based può trovare più interesse rispetto all’Europa (parlando di popolazione generale). A patto che trovi la chiave di volta sulla qualità del prodotto. Secondo me ancora non ci siamo, ma giudico da italiano”.

A proposito, l’Italia?

“Sempre come opinione personale, che spero per l’Italia alternative diverse dal plant based o del Beyond meat: abbiamo così tante e ottime risorse vegetali su cui puntare, Ci sono decine di piatti della tradizione italiana che non hanno bisogno di proteina animale. Per me plant-based significa pomodori, melanzane e zucchine e non l’alterare la struttura delle proteine vegetali“.