E quindi, mangiare insetti non salverà il mondo. Uno studio scientifico inglese, riportato con grande enfasi al di là e al di qua della Manica, afferma che le farine di insetti non sono poi così sostenibili, e di certo non saranno la chiave di volta per evitare la catastrofe climatica. Fiuuu, sospiro di sollievo dei difensori delle tradizioni gastronomiche locali, dal ministro Matteo Salvini all’intellettuale Diego Fusaro, e dei negazionisti del riscaldamento globale e della necessità di cambiare abitudini.
Sembra di sentirli: e ora, che lo dicono anche i vostri amici scienziati? Scaccomatto al politicamente corretto! (non c’entra niente, ma loro ragionano così.) Il Times per esempio titola: “Fermi con quell’hamburger di insetti: mangiare larve è dannoso per il clima“. Ma è veramente così? Che cosa dice questo studio?
L’impatto ambientale della carne
Lo studio è stato effettuato dalla società Ricardo, che si occupa di trasporti ed energia – con un occhio greenwashed alla sostenibilità ambientale – su commissione del britannico DEFRA (Department for Environment, Food and Rural Affairs, il ministero dell’ambiente e del cibo e dell’agricoltura del Regno Unito). E parte proprio sottolineando l’enorme impatto ambientale della carne prodotta negli allevamenti industriali: più di un quinto delle emissioni inquinanti e di gas serra viene da quell’industria, con il 60% di queste dovuto solo a maiali e pollame, un’enormità.
Lo studio, partito nel 2023, è di tipo life cycle assessment (LCA), cioè punta a calcolare le conseguenze di un prodotto in tutto il suo arco di vita, dalla prima produzione sino allo smaltimento, e tiene conto di ben 16 parametri, dall’effetto serra all’acidificazione passando per l’erosione dei suoli e il consumo di acqua. Questa è una prima cosa da sottolineare, perché ovviamente più sono le variabili in gioco, più incerto è il risultato finale.
Gli insetti come mangime
L’oggetto della ricerca, e questo è un altro aspetto di cui tenere conto, è solo un tipo di insetto, la mosca soldato nera (Hermetia illucens): specie che attualmente non è tra quelle che hanno avuto il via libera per il consumo umano dell’Europa, come la tarma della farina (Tenebrio molitor), la locusta (Locusta migratoria), il grillo (Acheta domesticus) eccetera , ma rientrano solo nelle categorie di insetti che possono essere usati come mangimi vivi. Il paragone è stato fatto con l’impatto ambientale di altre due fonti di proteine: la soia coltivata in Brasile e trasportata nel Regno Unito, e un pesce, il nasello blu pescato al largo delle coste scozzesi.
Insomma attenzione, non stiamo parlando di insetti per il consumo umano, quindi che sostituiscono la carne di maiale o di pollo che mangiamo noi. Stiamo parlando di una ricerca di alternative con minore impatto ambientale per produrre mangimi per quei maiali e quei polli: non si sta mettendo in discussione tutto il sistema, ma un pezzettino. Insetti come mangime: quindi già urlare “bloccate gli hamburger di insetti” è un’imprecisione, anzi una fesseria.
I risultati dello studio sugli insetti
Vabè, direte voi, ma gli insetti sono più o meno tutti uguali, se non ci salveranno i mangimi a base di mosche, figurarsi se a fermare il riscaldamento globale saranno i cuoppi di grilli fritti. Vediamo allora i risultati dello studio sugli insetti.
A leggere non dico la ricerca nelle sue approfondite parti tecniche, ma già solo la sua presentazione sul sito della Ricardo, appare infatti evidente come gli allarmismi e i trionfalismi tradizionalisti siano del tutto fuori luogo. “Gli insetti potrebbero non essere la soluzione sostenibile che risolve tutti i problemi, visto che in nessuna categoria hanno ottenuto dei risultati eccezionali. Il quadro è piuttosto complesso, e dipendente da caso a caso”. Insomma non un disastro né una grande disillusione, semplicemente non è la panacea universale: ma chi l’aveva mai detto?
E ancora: “I mangimi a base di insetti possono decarbonizzare gli allevamenti animali a determinate condizioni, come l’uso di sostanze a basso impatto per allevare le larve, l’utilizzo di fonti energetiche pulite durante il processo, o la minimizzazione dell’impiego energetico”. Mi sembra solo buon senso.
Un altro settore in cui lo studio non ha prodotto risultati univoci è quello dell’uso dei sottoprodotti organici di scarto degli insetti (escrementi, esoscheletri e altre amenità) come fertilizzanti, visto che non ci sono dati certi sugli effetti positivi e sulle conseguenze sul suolo e i prodotti agricoli. Anche qui, zero allarme e tutto ancora da vedere. Con buona pace dei turbotradizionalisti.