Report e il vino: il Ministro Lollobrigida confonde servizio pubblico e propaganda pubblica

C'è da chiedersi se il Ministro Francesco Lollobrigida abbia il diritto di rimproverare Report per non aver fatto la sua parte nel promuovere e difendere le eccellenze italiane, raccontandone invece le magagne.

Report e il vino: il Ministro Lollobrigida confonde servizio pubblico e propaganda pubblica

“Abbiamo il nemico in casa”. Si sveglia così, un Giulio Cesare assassinato a tradimento da Bruto, il Ministro Francesco Lollobrigida dopo l’ultima puntata di Report, che ha raccontato un po’ delle cose che non funzionano – o che funzionano così così – nel sistema del vino italiano.

L’utilizzo costante del mosto concentrato rettificato (che dovrebbe invece essere eccezionale), per esempio, o dei chiarificatori (anche di origine animale). Le etichette in generale poco parlanti, sicuramente meno di quelle dei vicini francesi, con cui siamo sempre pronti a fare la guerra su chi ce l’ha più buono.

Nulla che un esperto o un appassionato di vino non conoscesse già, a dire il vero, ma informazioni tendenzialmente sconosciute al grande pubblico, che è poi quello a cui si rivolge Rai 3. Quindi, all’indomani della messa in onda del servizio, l’opinione si divide in due, anzi in tre: da un lato il mondo del vino, che ha la sensazione che si sia un po’ scoperta l’acqua calda. Dall’altro il consumatore medio, che porta a casa un po’ più di diffidenza in più nell’acquisto delle bottiglie di vino. E poi c’è Lollobrigida, che un attacco così al “nostro” vino, l’eccellenza delle eccellenze, proprio non se l’aspettava. E poi, pure da fuoco amico, visto che alla fine gli stipendi e le nomine della Rai le decide il Governo.

Il che, in effetti, rende il messaggio di Lollobrigida ancor più inopportuno, se già non lo fosse pensare che il servizio pubblico sia tenuto a fare propaganda pubblica, e cioè a dire che tutto va benissimo e che le eccellenze italiane (tra cui il vino) sono le migliori del mondo.

Cosa ha detto Report

report vino

Come premettevamo, l’inchiesta di Report è una di quelle interessanti sì, ma non particolarmente sconvolgenti. Nulla di non noto a chi si occupa di vino è stato detto, e tendenzialmente neanche nulla di illecito. Ma di non particolarmente chiaro, invece, sì. Perché alla fine, quello che Report “scopre” con questo servizio sul vino, è che il consumatore finale non ha tutti gli elementi necessari per scegliere con consapevolezza il vino che sta comprando. E non li ha perché si consente (ancora) che le etichette siano poco parlanti, ovvero raccontino troppo poco del prodotto, omettendo informazioni importanti. Come succede con i pandori della Ferragni o con i panettoni degli chef, insomma. E come si vuole evitare che succeda, adducendo problematiche ogni volta che l’Unione Europea tenta di normare in maniera più restrittiva gli obblighi di etichetta.

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Insomma: il problema finale è sempre lo stesso. Il consumatore non è tutelato, mentre lo sono gli interessi delle aziende, a cui si consente di rimanere nel lecito pur non informando adeguatamente chi acquista. E questa cosa dovrebbe finire: se succederà, sarà anche grazie alla maggiore consapevolezza che servizi come quello di Report (o come il nostro sui panettoni degli chef, se ce lo concedete) hanno contribuito a formare.

Cosa ha detto Lollobrigida

E invece, il ministro Lollobrigida – a cui bisognerebbe ricordare che poco meno di quarant’anni fa il vino italiano sofisticato ha ucciso un sacco di gente – pensa che su certe cose bisognerebbe tacere. Non ha tutti i torti – bisogna dargliene atto – nel dire che Report dovrebbe specificare che “si tratta di un caso su 10mila che si comporta in maniera irregolare”, e che magari si potevano “chiamare i nostri Carabinieri, i nostri dell’Ispettorato del Controllo qualità e repressione Frodi o la Guardia di Finanza e chiedere come è il sistema Italia? Per dare un’idea che a fronte di qualcuno che non si comporta correttamente ci sono migliaia di persone che invece valorizzano con il loro lavoro e impegno una filiera che è sicura”. Ma è anche vero che il messaggio che passa, tra le dichiarazioni di Lollobrigida all’Adnkronos, è che in fondo l’interesse collettivo dovrebbe essere quello di promuovere l’Italia, e non di affossarla. “Non riesco a comprendere”, ha detto Lollobrigida a proposito di Sigfrido Ranucci, conduttore di Report. “Lo chiamerò per sapere perché dobbiamo avere sulla tv di Stato persone che aggrediscono i nostri prodotti?“.

Che poi, non si capisce perché i “nostri” prodotti vengano fatti passare dal ministro Lollobrigida come prodotti di tutti, quando sono prodotti di aziende private. Ma anche se non lo fossero, non c’è una ragione per cui l’informazione dovrebbe andare in un’unica direzione, quella di non fare critica. Certo, capiamo la volontà del ministro Lollobrigida di difendere l’immagine e la reputazione del Made in Italy nel mondo, ma sarebbe meglio attuarlo con leggi e regolamentazioni che risolvano i problemi, tutelando il consumatore finale, anziché aspettandosi che l’informazione non faccia il proprio dovere raccontando quello che non va.

Immagini, ministro Lollobrigida, quanto potrebbe essere importante per il Made in Italy potersi raccontare non più come la produzione in cui il lavoro di qualità viene macchiato da tante casistiche di scarsa trasparenza, ma finalmente come eccellenza intoccabile, resa tale da un controllo rigoroso e da una rivoluzione culturale che insegna a tutelare, sopra tutto quanto, il consumatore e non il profitto.

A quel punto, immaginiamo che Report – come chiunque altro – sarebbe felicissimo di raccontare solo il positivo. O meglio, Report non esisterebbe proprio, perché non avrebbe nulla da dire: se lo immagina un futuro così, Ministro Lollobrigida? E allora, perché non lavora per questo, e non se la prende con chi offusca l’immagine del Made in Italy con pratiche di scarsa trasparenza, anziché prendersela con chi le racconta?

Perché vede, ministro Lollobrigida, il ruolo dell’informazione è proprio quello di raccontare i fatti, e non quello di far parte di una fazione o di un’altra. Perché quella si chiama propaganda, ed è proprio ciò che il servizio pubblico non dovrebbe fare. Peraltro, propaganda di quella brutta, se si intende sostenere che i media dovrebbero avere un pensiero unico nell’interesse dello Stato e della sua immagine. Ma siamo certi che Lollobrigida non intendesse quello.