Quando arriva la carne coltivata?

Attendiamo con (relativa) ansia la carne finta, o clean meat. Quella da laboratorio, per capirsi. Ma la burocrazia dell'Unione Europea e le sperimentazioni di Paesi altri fanno intendere che in Italia addenteremo non presto la carne animale cruelty free.

Quando arriva la carne coltivata?

Quando arriva la “vera” carne finta? La “carne” vegetale è già una realtà, gli hamburger impossibili sono presenti da tempo sugli scaffali dei nostri supermercati, e abbiamo spiegato diffusamente quello che c’è dentro. Ma parlando di proteine alternative, c’è un prodotto che, anche se sembra simile, è agli antipodi della plant-based meat: la carne coltivata, o clean meat, che si ottiene da cellule di animali – i quali restano vivi e non soffrono – moltiplicate in laboratorio.

Sulle peculiarità e le differenze c’è molto da dire, ma qui ci interessa una differenza pratica: la prima categoria di prodotti è allo stadio finale della commercializzazione, la seconda è talmente indietro che è praticamente introvabile. Tranne che a Singapore, dove alla fine del 2020 la lab-grown meat è stata autorizzata e ora viene venduta. I motivi di questa differenza? Sicuramente le difficoltà di produzione iniziali. Ora però il globo pullula di aziende e start-up che coltivano carne (e anche pesce) nei bioreattori: dall’America all’Asia, dall’Olanda a Israele, e ce n’è una anche in Italia, si chiama Bruno Cell ed è nata dalla collaborazione tra l’Università di Trento, l’Hub Innovazione Trentino e un investitore privato proveniente dall’industria alimentare. La domanda allora sorge spontanea: quando arriva anche da noi?

Certezze non ce ne sono, ma possiamo fare delle supposizioni, un po’ come abbiamo fatto per gli insetti, il cui iter è già in corso presso le istituzioni Ue e sta superando una fase dopo l’altra. Dobbiamo considerare lo stato dell’arte, e le procedure standard di approvazione. Infatti, una volta arrivati a realizzare la clean meat in laboratorio, quindi raggiunto l’obiettivo dal punto di vista tecnologico – altrimenti, di che stiamo a parlare – le aziende devono superare altri ostacoli, di natura diversa: scalabilità, cioè produzione in quantità commerciabili e a costi abbordabili; accettazione da parte dei consumatori; approvazione da parte delle autorità competenti.

La procedura per i novel foods in Europa

Il primo aspetto dipende dalle aziende, ovviamente, e molte sono a buon punto. L’olandese Mosa Meat, fondata da uno dei pionieri della ricerca sulla carne coltivata, ha detto di mirare a Singapore e all’Europa per il lancio dei suoi primi prodotti. Ed europee sono anche altre start-up in fase avanzata, come Blue Biosciences, Mirai, CellulaREvolution. L’abitudine e l’accettazione da parte del pubblico sono di quelle variabili misteriose, che possono sembrare inamovibili per anni e poi cambiare nel giro di poco: e poi sono presupposti, certo, della commercializzazione, ma possono essere anche conseguenza. Di fatto, a detta di molti operatori nel settore, l’ostacolo o comunque la fase prevedibilmente più lunga è quella burocratica. A una conferenza la maggioranza (il 58%) ha espresso l’opinione che ci vorranno tra i tre e i cinque anni. E così pensa anche David Brandes, managing director della società belga Piece of Meat, che non elabora il prodotto finale ma coltiva grassi di varia origine – manzo, pollo, oca – per poterli un giorno vendere ai produttori di carne in laboratorio: uno dei problemi che dà la carne coltivata è infatti che è troppo magra e troppo uniforme, dato che viene sviluppata a partire da cellule di muscolo. 

Al sito Food Navigator ha spiegato perché: in Europa un cibo come la carne in laboratorio ricade sotto la disciplina dei novel foods, proprio come gli insetti. Sono i cibi che, essendo nuovi e mai usati dall’uomo, devono essere controllati e passare una serie di verifiche prima di poter essere venduti. La procedura è articolata: ci vuole prima un parere tecnico dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, e i tempi si aggirano attorno ai 9 mesi. Poi la palla passa alla Commissione, il termine è di nuovo 9 mesi; ma c’è da dire che in ogni fase possono essere richieste, e di frequente lo sono, integrazioni, prove, specificazioni, ulteriori documenti. Ogni stop aggiunge circa 6 mesi, quindi il conto è presto fatto: dai 24 ai 30 mesi, due anni e mezzo, che però partirebbero dalla presentazione della richiesta. E dato che finora non c’è stata nessuna submission, e neanche sembra imminente, facilmente si arriva ai 3-5 anni detti sopra.

Alle stesse conclusioni arriva Bruno Cell, da noi interpellata. Lisa Ceroni, esperta in nutrizione e food innovation, spiega nei dettagli: “Per quanto riguarda la procedura per l’approvazione al commercio della carne colturale in Europa, questa dipende innanzitutto dalla metodologia di produzione della carne utilizzata: se prevede modificazioni genetiche, il prodotto finito sarà regolato dalle norme relative agli OGM (Regulation EU 1829/2003 on genetically modified food and feed). In alternativa, la carne colturale ottenuta senza modifiche genetiche sarebbe regolata dalla normativa sui novel food (Regulation EU 2015/2283 on Novel Foods). In entrambi i casi sono previste procedure della durata di diversi mesi, prorogabili nel caso in cui fosse necessaria ulteriore evidenza scientifica, ad esempio. Inoltre, è quasi sempre richiesto un risk assessment da parte dell’EFSA. Sulla base di quanto riportato sopra, si potrebbe prevedere che la carne colturale possa essere approvata e messa sul mercato in Europa nel giro di qualche anno”.

La speranza, come ha detto il CEO della spagnola BioTech Foods Iñigo Charola, è che la recente modifica alle linee guida dell’Efsa siano propedeutiche a un cambio di metodologia, se non di mentalità: se si stabilisce un dialogo tra l’azienda e l’istituzione in fase di pre-submission, la società che fa la richiesta può già rispondere a tutte le richieste e riempire tutte le caselle, senza rimpalli e perdite di tempo successive.

La carne coltivata negli altri Paesi 

Ma insomma, qualcosa mi dice che non saremo noi i primi a gustare la carne vera ma finta. Più probabile che avvenga in Usa, già sede di molte aziende tra le più avanzate nel campo: Memphis Meat, BlueNalu, e ovviamente Eat Just, l’unica al mondo che attualmente sta vendendo clean meat al pubblico. Il fondatore e CEO Josh Tetrick ha detto in un’intervista che ci sono buone probabilità che otterranno l’autorizzazione (sottintendendo negli Usa?) entro due anni, “spero addirittura entro quest’anno”. E anche la californiana BlueNalu ha annunciato il lancio per la seconda metà del 2021, ma senza specificare dove.

Oppure, il prossimo potrebbe essere Israele, ipotizza The Spoon. Uno stato piccolo ma che spinge molto sulla ricerca tecnologica, e ha già una serie di primati. Il primo ministro Benjamin Netanyahu è stato nello scorso dicemnbre il primo capo di governo al mondo a provare la carne coltivata, dichiarando che il paese sarebbe diventato “una fucina per la carne e le proteine alternative”. Israele ha anche il record del primo ristorante al mondo che serve carne coltivata: The Chicken. Ma come, non era stata autorizzata solo a Singapore la vendita? Infatti, il ristorante di Tel Aviv non la vende: in cambio, chiede a chi la mangia di fornire un parere articolato e di compilare un questionario. Una specie di focus group continuativo, un sondaggio a porte aperte sui gusti dei consumatori: è questa l’idea dell’azienda che ci sta dietro, SuperMeat. 

Aleph Farms, Future Meat, MeaTech 3D: sono altre start-up israeliane, quotate in borsa in patria. L’ultima è intenzionata a quotarsi anche negli Usa, il che dà qualche indizio sul mercato a cui mira. E sempre negli Stati Uniti Future Meat ha già annunciato di aver pianificato il lancio, nel 2022. Insomma, come diceva William Gibson, il futuro è già arrivato, solo che non è equamente distribuito.