Alimentazione corretta: ripensare a come compriamo e mangiamo il nostro cibo

Alimentazione corretta: ripensare a come compriamo e mangiamo il nostro cibo

Le reazioni al post sulla sicurezza alimentare pubblicato venerdì scorso sono state tante: entusiaste (10 per cento), indefinibili (20 per cento), polemiche (70 per cento). Sono percentuali approssimative, non mettetevi a fare conti. Il tema era il seguente: perché, a livello normativo, acquistare al supermercato è più sicuro che farlo nei mercati del contadino o nelle aziende agricole. In particolare si parlava di leggi sui controlli che lasciano dei buchi, a volte voragini, specialmente nel controllo dei piccoli produttori.

Il post è stato frainteso, acquistare al supermercato è più sicuro ma non migliore da ogni punto di vista, solo da quello della sicurezza alimentare.

Ovviamente la GDO, la Grande Distribuzione Organizzata, i supermercati insomma, non sono esenti da problemi. Come qualcuno ha ricordato gli scandali accadono sovente. Tra i più famosi degli ultimi anni sono la carne di cavallo nel ragù oppure le mozzarelle blu, o ancora la diossina. Di conseguenza è logico chiedersi: se la grande distribuzione è più sicura rispetto alle piccole aziende perché succedono queste cose?”.

La risposta è che malgrado l’attenzione non avremo mai un controllo su tutto, qualcosa tipo Grande Fratello di Orwell.

Purtroppo i controlli non sono infallibili. Dai controlli sui piccoli distributori di bevande a quelli sulla multinazionale alimentare più grande del mondo, resta sempre un margine di errore.

Le falle nelle procedure sono principalmente due, la prima: non vengono controllati tutti gli alimenti ma un campione scelto casualmente.

In altre parole, per ragioni di tempo e di costi, è improponibile controllare ogni singola cassetta di pomodoro che esce da un’azienda. Su diecimila cassette se ne controllano cento scelte casualmente per avere un dato rappresentativo, e tutte e cento devono rientrare nei limiti di legge per le sostanze cercate. Il numero “cento su diecimila” non è scelto a caso, ma sulla base di modelli statistici complessi che ci dicono “controllando X campioni e non trovando nulla si ha la sicurezza del 99,9% che tutti i pomodori contenuti in ogni cassetta siano negativi per queste analisi”.

Il 99,9%, per quanto si avvicini al 100, non è 100. È 99,9, il che significa che resta una probabilità su mille che qualcosa sfugga, per cui un margine di rischio rimane, e soprattutto rimarrà sempre.

E poi c’è il fatto che i controlli vengono effettuati solo su alcune sostanze, su quelle che hanno causato problemi in passato. Batteri come Salmonella, Campylobacter o Listeria sono tenuti sotto i controllo, così come i metalli pesanti tipo Mercurio o Piombo e sostanze chimiche come l’Istamina. Queste si controllano sia in autocontrollo (ovvero con analisi pagate dal produttore) sia nella ASL.

Ma la legge non impone di cercare, ad esempio, l’oro negli alimenti. Questo perché finora a nessuno è venuto in mente di usarlo, è troppo prezioso. Ma se qualche azienda scoprisse che mettere l’1% di oro nelle mozzarelle le rende più buone, più belle, più conservabili, e il suo fatturato aumentasse vertiginosamente, non credete che lo farebbe subito? Poi magari si scopre che l’oro nelle mozzarelle fa male alla salute, e così le leggi sui controlli vengono aggiornate rendendo obbligatorio il campionamento del metallo nei latticini e imponendone dei limiti.

Questo è quanto è successo, ad esempio, con la carne di cavallo. La situazione era un po’ diversa perché non fa male, era solo un problema di correttezza verso il consumatore (che stava mangiando cavallo senza saperlo) ma le cose sono avvenute perché né nei piani di autocontrollo delle aziende che producevano sugo e polpette, né nei campionamenti delle ASL, era previsto un controllo per verificare la presenza della carne di cavallo.

Il principio di sicurezza europeo riportato nel Reg. CE 178/2001 afferma che una data cosa “non si mangia finché non siamo sicuri che faccia male”. Lo scandalo sorge quando un’azienda da anni mette delle cose nei propri prodotti senza che nessuno le cerchi, e poi, a volte per caso, qualcuno le trova.

Incrociando le due falle di cui abbiamo parlato è possibile capire come gli scandali alimentari esisteranno sempre, a meno che i produttori, piccoli o grandi, diventino improvvisamente degli angioletti. Pertanto ribadisco al netto delle incomprensioni: nei supermercati i controlli sono due, nelle piccole aziende uno solo. Ne consegue che acquistare nella GDO è più sicuro, non che è meglio per forza.

Ma al di là della sicurezza, e siamo a un altro punto molto interessante: quali sono i parametri che ci permettono di scegliere un cibo “migliore”?

Tutti sappiamo che esistono prodotti di qualità migliore o peggiore, anche se alla fine la scelta risulta personale. Questo dipende dal fatto che non esiste una sola definizione di “qualità”. Ci sono parametri che hanno minore o maggiore importanza a seconda del nostro modo di vedere le cose.

Supermercato spesa

Ecco quali sono:

1. Qualità igienico-sanitaria: è la qualità di base, quella di cui abbiamo parlato finora. Viene garantita da chi produce e dal controllo ufficiale, anche se, come abbiamo visto, ci possono essere delle falle. Come regola generale potete seguire il mio consiglio (preferire la GDO) o scoprire di persona come lavora un produttore, ma non è possibile fare più di tanto.

2. Qualità organolettica: per molti (soprattutto tra i lettori di Dissapore) è la qualità principale, data dall’odore, dal colore, dal sapore del prodotto. Nessuna etichetta può darci informazioni in merito, sono i nostri sensi che valutano. È ovvio che una bistecca verde o una mozzarella blu non le acquista nessuno, così come un pesce che puzza (anche se sanitariamente perfetto, se possibile) .

3. Qualità tecnologica: è quella che ci permette di lavorare sul prodotto. È la mozzarella che quando cuoce fa il filo rispetto a quella che non lo fa, è la carne che non rimpicciolisce rispetto a quella che una volta cotta dimezza di dimensioni, è la salsiccia che si conserva 5 giorni rispetto a quella che dura al massimo due giorni. Chiaramente dobbiamo valutare questa qualità in base alle nostre necessità. Faccio la spesa una volta a settimana? Potrei mangiare la salsiccia tra 5 giorni, quindi preferisco quella più conservabile a scapito della qualità organolettica. La mangio stasera? Preferisco quella più saporita ma con peggior qualità tecnologica.

4. Qualità nutrizionale: dal 2016 su tutti i prodotti, esclusi quelli composti da un singolo ingrediente, per effetto del Reg. CE 1169/2011, sarà obbligatoria l’etichettatura nutrizionale (percentuale di grassi, proteine, zuccheri e così via). Adesso è facoltativa, e a qualcuno non importa nulla di questo tipo di qualità, ad altri sì. Pensiamo a chi fa una dieta e deve osservare attentamente il contenuto di grassi in un prodotto. Anche in questo caso, la valutazione dipende dalle necessità.

5. Qualità etica: è fondamentalmente il rispetto. Prodotti creati rispettando l’ambiente, rispettando gli animali, rispettando le piante, trattandoli con meno pesticidi, meno antibiotici, meno concimi, di quelli previsti per legge. Tendenzialmente i prodotti più etici sono quelli bio, ma anche il tipo di coltivazione o di allevamento possono influire sulla scelta di prodotti che biologici non sono.

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Rientrano in questa categoria di qualità anche i marchi. Non solo DOP e IGP che sono normati dalla legge, ma anche marchi più piccoli, locali, che ci dicono se quel prodotto è coltivato, pescato, allevato in una certa zona. Si basano su disciplinari volontari che alcune aziende accettano (e rispettano, perché comunque esistono consorzi che controllano) per proporci ad esempio solo zucchine coltivate nella nostra provincia. Se siamo attenti all’ambiente e al benessere animale e vegetale, la qualità etica sarà la più importante per noi.

Insomma, quando ci troviamo al supermercato come possiamo scegliere il prodotto migliore?

La valutazione è solo nostra. Possiamo valutare questi aspetti singolarmente, se vogliamo, e arriveremo sempre ad un compromesso perché il prodotto perfetto, in pratica, non esiste. Siamo noi a scegliere il migliore.

E, si, ho detto “al supermercato”. Spero di aver fugato i dubbi sul perché.