I 10 migliori babà di Napoli: le pasticcerie imprescindibili del “babka” classico

Dove mangiare i migliori babà di Napoli: guida al lievitato mitteleuropeo affogato nel rum attraverso le 10 pasticcerie che lo realizzano al meglio, in una mappa completa di indirizzi, foto, assaggi e opinioni.

I 10 migliori babà di Napoli: le pasticcerie imprescindibili del “babka” classico

Babka, kugelhupf, babà: a differenza della sfogliatella (e visto che ci siete, fatelo un ripassino delle migliori sfogliatelle di Napoli), il babà è un dolce mitteleuropeo tout court, rappresenta una sorta di europeismo in pasticceria: l’intellettuale e filosofo Denis Diderot lo menziona nei suoi carteggi personali con altre personalità europee, ma pare che il suo inventore avesse modo di parlarne nientemeno che con Voltaire.

Pellegrino Artusi lo definisce “un dolce che vuol vedere la persona in viso, cioè per riuscir bene richiede pazienza ed attenzione.” Varia e vasta è la letteratura del babà.

Di forma iconica, un fungo che necessita di ottima lievitazione, color caramello e dall’inebriante odore in equilibrio tra alcolico e zuccherino, il babà di nascita europea ha messo però decise radici soprattutto a Napoli dove – al pari della sfogliatella – è considerato il dolce di bandiera della città. Necesse est, dunque, cercare di vederci chiaro e cercare i migliori babà di Napoli.

Ma cos’è che rende questo dolce così importante nella vita gastronomica napoletana? Saranno le sue origini regali, forse. Infatti, la storia che ci viene tramandata riguardo la nascita del babà napoletano mette in gioco addirittura le monarchie europee. In particolare, l’inventore di questo dolce è un re che non è passato alla storia per essere un grande re quanto più un goloso con velleità di pasticciere: parliamo di Stanislao Leszcinski, re di Polonia dal 1704 al 1735.

La storia ufficiale – cioè, quella dove non vengono contemplate le nascite dei dolci, ma soltanto gli smembramenti degli imperi – riporta la sua effettiva detronizzazione dopo aver perso contro lo Zar Pietro il Grande ed una sua successiva accoglienza presso la corte di Luigi XV di Francia, presso la città di Lunéville. Qui finisce in qualche modo la storiografia ufficiale ed inizia quella dei biografi e “pettegoli” di corte, che ci permettono una realtà affascinante e probabilmente un po’ romanzata. Il nome di Stanislao si lega al babà grazie ad alcune testimonianze: tra queste vale la pena ricordare la penna di Grymond de la Reynere, gastronomo francese di inizio Ottocento, che indica chiaramente Stanislao come inventore del babà.

Senza corona e peso politico, Stanislao si dedicò allo studio ed alla gola: i pasticcieri loreni gli preparavano costantemente questo “kugelhupf” locale, una ciambella alta e lievitata arricchita con uva sultanina. Stanislao, non parco di difetti gastronomici, questo kugelhupf non lo soffriva, vuoi anche perché si tramanda una sua impossibilità a masticarlo: tutto ciò finché non unì le sue due passioni, i dolci e l’alcol. Grazie al fortunato incontro tra i liquori ed il lievitato, finalmente il kugelhulf aveva avuto l’upgrade desiderato. Come chiamarlo? Ancora una volta, il racconto romanzato fa risalire il termine alla lettura da parte di Stanislao dell’ “Alì Babà e i quaranta ladroni“, ma è molto probabile si riferisca alle gonne tipiche delle donne polacche, che assomigliavano nella forma al dolce, le “babka“.

In ogni caso, il “povero” Stanislao – dimenticato da un punto di vista diplomatico, ma decisamente importante per noi – fece in modo che da Luneville il babà arrivasse nella città di Parigi. La bottega dei fratelli pasticcieri Stohrer contribuì fortemente alla diffusione di questo dolce, che da ciambella viene messo in pirottino e diventa un fungo; da Parigi arrivò finalmente a Napoli grazie a quei cuochi chiamati monsù, che tanto hanno apportato alla tradizione culinaria napoletana. Siamo intorno alla Rivoluzione del 1848 e – prima di giungere alla bagna di zucchero, aromi e rum finale – il babà viene imbibito con acqua di rose, assenzio, con kirsch (un liquore di ciliegie casalingo).

Tutto bello, storielle affascinanti, ma: come individuare un babà perfetto? Lo abbiamo chiesto ad un pasticciere extra moenia napoletane, di nostra lunga conoscenza. Pasquale Bevilacqua, nuova generazione della Pasticceria Mamma Grazia di Nocera Superiore, ci dà qualche dritta per non cadere in inganno durante l’acquisto del nostro beneamato.

La forma: la forma del babà deve essere netta, vale a dire con un tronco abbastanza sviluppato ed una testa pronunciata, senza difetti visibili, come eccessi da un lato; questa viene chiamata forma a fungo. Il colore ideale è un caramello/nocciola, non troppo chiaro ma nemmeno bruciato. La consistenza, che poi è una di quelle cose che fanno un babà davvero un buon babà: la pasta deve opporre una certa “forza” quando la si tocca, in parole povere è la prova della forchetta che abbiamo fatto in tutte le nostre recensioni. Premendo la pasta con i rebbi, la pasta di un buon babà “torna su” in posizione quasi standard. Infine, all’interno il nostro babà dovrebbe presentare alveoli piccoli e circolari, precisi, con ammissione di qualche alveolo irregolare.

Pingue è anche il capitolo bagna per il babà, difetto assortito che abbiamo trovato svariate volte lungo il nostro sentiero costellato di alcolico. Il bagnetto dovrebbe esser fatto in uno sciroppo composto da varie spezie ed aromi, tra i quali bucce di arancia, bucce di limone ed anice stellato (ma potrebbero essere presenti anche chiodi di garofano secondo alcuni ed altre “miscele segrete”) più una percentuale di zucchero (non molto alta), a cui infine si aggiunge il rum, o ancora meglio un distillato a base di rum, non troppo forte e che dona sapore rotondo. Anche la temperatura della bagna deve essere adatta, nè troppo fredda, nè troppo calda, per non alterare la consistenza della pasta.

Nella nostra Gourmap, guida ai migliori babà di Napoli, in rigoroso ordine di preferenza, abbiamo contemplato soltanto i babà classici, precisazione doverosa da fare visti gli ibridi che hanno invaso vetrine e cartocci negli ultimi anni.

1. Pasticceria Bar Al Capriccio

Pasticceria Bar al Capriccio; Napoli; Babà

Via Carbonara è un’arteria importante della città di Napoli: non soltanto per la presenza di architetture uniche (come la chiesa di San Giovanni a Carbonara) ma anche per IL BABA’, indiscutibile e per questo meritevole del caps lock. Sì lo so, qui a Dissapore non siamo fatti per le cose “indiscutibili”, ma questo babà lo è. Primo posto lo agguanta Pasticceria Al Capriccio, consolidata realtà pasticciera di queste zone, conosciuta appunto per il lievitato dalle origini miste ed alcoliche. La dimensione standard è un X(X)L size, innaffiato senza parsimonia alcuna, al costo di 1,50 euro al pezzo. La pasta è spumosa e fa leggermente “il filo”, si tira via che è un piacere e forse l’unico difetto impugnabile contro questo pezzo di mirabile pasticceria napoletana è l’impossibilità di finirlo senza sporcarsi le mani: per dimensioni e fattezze necessiterebbe di una forchetta, ma usandola probabilmente andrebbe via un bel po’ della poesia street food innegabilmente legata a questo dolce.

2. Pasticceria Capparelli

Pasticceria Salvatore Capparelli

Lo avevamo già detto, dopotutto: da Capparelli – angolo tra Via dei Tribunali e Piazza San Gaetano – si mangia quello che per noi è uno dei migliori babà di Napoli. Il cognome, Capparelli, unisce questo primo e secondo posto fatto di babà. Dal colore uniforme, biondo, e dalle dimensione che vanno da “striminzito” ad “esagerato”, il babà della pasticceria Capparelli è tra il miglior street food che possiate concedervi durante il lungo “struscio” (lenta passeggiata, ndr) per Via dei Tribunali.

3. Mazz Pizza e Babà Napoli

Mazz Pizza e Babà Napoli; Babà

Poco distante dalla pasticceria Capparelli – il che ci conferma come al centro storico ne sappiano a pacchi, in fatto di babà, c’è la Pasticceria Mazz. Conosco questa pasticceria dai tempi in cui si chiamava, semplicemente, Mazzaro, un semplice locale di qualità su Via Tribunali; un rebranding che strizza l’occhio al “Mazz” (in lingua napoletana, “avere mazzo” significa avere fortuna, sorte, una vox media molto diffusa da queste parti) Da sempre, Mazzaro/Mazz è famoso per i suoi babà di varia grandezza e farciture, ma anche per le pastiere che spesso varcano i confini regionali ed allietano tutto l’anno. Il babà classico rasenta la perfezione

4. Tizzano Pasticceria

Tizzano Pasticceria; Babà

Non è stata molto fortunata questa pasticceria durante la nostra visita: una serie di intoppi non ci hanno fatto godere di sfogliatelle al massimo della loro espressione, ma l’assaggio del proverbiale babà non ci ha affatto delusi nonostante la classica giornata storta. Nonostante ciò, resta comunque “La fonte del babà” come recita l’insegna fuori alla piccola pasticceria. Il babà della Pasticceria Tizzano è spumoso, soffice e di dimensioni medio-grandi e l’equilibrio tra aromi, zucchero ed alcol è perfetto.

5. Pasticceria Sirica

Sabatino Sirica, babà al rhum

Il Guardiano della Pasticceria Napoletana, Sabatino Sirica, merita il viaggio a San Giorgio Cremano anche solo per godere di un soddisfacente babà fatto con maestria, senza fronzoli, con un equilibrio invidiabile. Leggermente più piccolo ed aggraziato rispetto ad altri presenti in questa classifica, con cupola poco accentuata e color caramello quasi bruciato, la pasta gialla data dalla presenza massiccia delle uova e la bagna che vira leggermente di più sul dolciastro anziché sull’alcolico.

6. Pasticceria Mignone

Pasticceria Mignone Napoli

 

Fermi tutti: minuscolo avamposto di ottima pasticceria napoletana a Via Foria, lato che costeggia l’inizio del quartiere Sanità, che si esprime al meglio con un clamoroso babà ancora più low cost del solito. Il prezzo di cartello fissato ad un euro (il prezzo che abbiamo riscontrato stilando la nostra recensione della pasticceria) rende Mignone un pit stop obbligato, prima di calarsi nelle viscere cittadine. Grassoccio e brunito, inzuppato un filino oltre il consentito ma resta godibile grazie ad una pasta che resta setosa.

7. Pasticceria Poppella

Pasticceria Poppella a Napoli

Ci spostiamo nel quartiere Sanità a Napoli, lungamente conosciuto per non essere un quartiere semplice: ad oggi, possiamo dire che grazie all’opera congiunta di diverse realtà commerciali e culturali questo quartiere sia diventato uno snodo nevralgico della vita artistica partenopea. La pasticceria più trendy di Napoli, con Ciro Scognamiglio/Poppella inventore dell’ormai celebre fiocco di neve (e se assurdamente non sapete nulla di questo tormentone, vi invito a leggere la nostra recensione completa alla pasticceria) stupisce piacevolmente con un ottimo babà. “Grosso”, con la cupola accentuata, di colore brunito e con la pasta leggermente filante, con la bagna che vira più sull’alcolico senza esagerare.

8. Leopoldo Cafebar – Senza Glutine

Leopoldo Cafebar pasticceria Napoli

Con la pasta più tenace, la cupola del fungo meno accentuata e dalle sembianze più “granitiche”: nonostante ciò, i celiaci hanno la possibilità di mangiare un ottimo babà senza glutine e che segue al contempo tutti i dettami della tradizione partenopea. A causa delle lavorazioni che non prevedono la presenza del glutine, dobbiamo comunque confrontarci con un babà diverso dal solito, scarso di alveolature ma che comunque il pasticciere è riuscito a rendere molto godibile grazie ad una bagna più generosa del solito.

Celiaci, intolleranti o gluten-fobici faranno pace col mondo da Leopoldo Cafebar, che abbiamo recensito per loro, non solo grazie al babà.

9. Chalet Ciro

Chale Ciro

Parliamo di una istituzione storica della piccola ristorazione fronte mare napoletana. Ambiente demodé e sicuramente migliorabile, un grande babà quello che ci si ritrova a mangiare direttamente di fronte al Vesuvio. Questo babà è un classicone del suo genere, pasta sufficientemente elastica e forme definite, con una bagna decisamente alcolica ma non disturbante.

10. Antica Pasticceria Vincenzo Bellavia

Piazza Muzii 27/28, Napoli

Un po’ di bagna in eccesso, una pasta più tenace, color caramello: tutto sommato il babà della pasticceria Vincenzo Bellavia, nome storico del quartiere Arenella, con ben 4 sedi a Napoli, se la cava bene. Un po’ diverso dai dolci del centro storico, come dicevamo presenta una pasta più soda, ma è sapientemente innaffiato ed in equilibrio tra alcolico e zuccherino.