Milano: MamaBurger non partecipa alla trasformazione del significato di fast food in Italia

Non che faccia freddo solo qui, eppure con queste temperature, se solo i milanesi potessero, se ne starebbero accucciati nel Divano Collettivo Meneghino a vedere Sanremo e leggere le battute sulle mancate olimpiadi romane di Twitter. Un’alternativa rinfrancante è il distretto del mangiare veloce ubicato alle spalle della galleria Vittorio Emanuele II, un pilastro nazionalpopolare con i panzerotti di Luini, lo street food siciliano dell’Antica Focacceria San Francesco, la verticale di cioccolato da CioccolatItaliani e le proposte salutisticamente corrette del JuiceBar.

A dar man forte alle gloriose insegne è arrivato da poco, in via Agnello 18, il terzo punto vendita della catena MamaBurger (gli altri sono in via Pisani 14 e a Fiera Milano Rho), declinazione in salsa sfacciatamente yankee del panino con l’hamburger alla piastra.

Ci sono andato per capire se è proprio vero che insieme a Ham Holy Burger, sempre a Milano, e M**Bun, La Granda, Burgheria a Torino, e altri locali, Mamaburger partecipasse alla piccola rivoluzione gastronomica che sta cambiando il significato di fast food in Italia.

Appena entrato, raccogliendo il suggerimento del personale, ho chiesto un Combomenu (hamburger a scelta+bibite+patate+caffè americano) a 16 euro, per poi sedermi in uno dei molti (troppi?) tavoli liberi in attesa che venisse chiamato il mio numero per ritirare il pranzo. Oltre a hamburger e patatine, il menu include pollo fritto, milkshake e dolci molto ‘mmerigani (cheesecake, muffin , brownies e quando farà caldo il gelato soft/espresso), servizio poverello con bibite alla spina e caffè dentro tristi bicchieri di cartone.

Merchandising (t-shirt, tazze) e packaging personalizzato (incluse le bustine delle salse), con il logo sempre in evidenza, soddisfano l’avidità dei forzati del marketing, perquanto il nero ricorrente risulti un filo tetro. L’ambientazione fighetta offre indiscutibilmente un bel colpo d’occhio.

Prezzi non esattamente popolari, visto che i panini partono da 8 euro e arrivano ai 14 di quelli premium con carne di angus). Immancabile un po’ di attenzione al trend salutista con gli hamburger di soja o spinaci e le mega insalate.

Ho recuperto il mio baconburger timidamente affacciato da una scatola di cartone aperta dopo una decina di minuti, peccato mancasse una cosa, evidente fin dal primo morso. Il sapore.

Carne scipita (ho chiesto il sale a parte, anche questo in bustina) e crudité di cetrioli del tutto insapore. Le cose non sono migliorate con il pane simile a un bagel, con eccessiva doratura e leggera crosta, che a un classico panino da hamburger.

Patatine fredde e aranciata (famosa) alla spina. Com’erano? “Fredde” e “alla spina”, devo aggiungere altro? Unica birra la Peroni Nastro Azzurro, sempre in mescita. Artigianali non pervenute.

A sorpresa, il caffe americano compreso nel prezzo del menu (volendo si può optare per il più familiare espresso) che faceva tanto Starbucks, con il coperchio del bicchiere dotato di beccuccio da passeggio, era caldo e gustoso.

MamaBurger rivedibile, per ora è pollice verso. Ma che dico, thumb down!