Campania: i 2.000 euro ai ristoranti (senza delivery) sono un “bluff”, per la Fipe

Massimo di Porzio di Fipe ha parlato della situazione delle pizzerie e ristoranti in Campania senza delivery: il contributo da 2.000 euro? Un bluff.

Campania: i 2.000 euro ai ristoranti (senza delivery) sono un “bluff”, per la Fipe

Contributo da 2.000 euro per le pizzerie e ristoranti in Campania? Secondo Massimo di Porzio, presidente Fipe in Campania, si tratta di un bluff: saranno pochissime le pizzerie che potranno soddisfare i requisiti per chiederlo. Durante un’intervista rilasciata a NapoliToday, Massimo di Porzio ha parlato del futuro della ristorazione nella regione campana.

Antefatto: attualmente la Campania è l’unica regione italiana in cui è ancora vietato il food delivery. Il presidente della Regione, Vincenzo De Luca, ha rinviato nuovamente la decisione che riguarda la possibilità di dare alle attività di ristorazione, ferme per il lockdown, il via libera alla consegna a domicilio del cibo.

Nell’attesa che De Luca si decida, le associazioni di categoria e Fipe si sono riunite per presentare un protocollo sanitario da adottare al momento della riapertura. Intanto Massimo Di Porzio fa il punto della situazione.

Per quanto riguarda le trattative con De Luca, Di Porzio spiega che Fipe e le associazioni di categoria hanno fatto la loro parte: hanno presentato il protocollo sanitario realizzato in vista della possibile riapertura. Solo che De Luca ha procrastinato ancora: tutti si aspettavano il via libera alle consegne a domicilio già la settimana scorsa, ma il presidente ha detto che vuole vedere come varieranno i numeri della pandemia. E si augura che la situazione si sblocchi in fretta perché l’emergenza economica sta per superare quella sanitaria.

A questo proposito, interviene anche sul famoso contributo da 2.000 euro che la Regione dovrebbe dare alle pizzerie campane in difficoltà. Di Porzio non ha dubbi: si tratta di un colossale bluff. Secondo il presidente Fipe della Campania, infatti, nessuna pizzeria potrà accedere a quel bonus. Per poterne beneficiare, infatti, bisogna aver fatturato al massimo 100.000 euro all’anno, guadagnando 8.333 euro al mese, ma nessuna pizzeria con 3/4 dipendenti e affitto potrebbe sopravvivere con un simile fatturato mensile.

Di Porzio non ha peli sulla lingua: è un bluff in piena regola. All’inizio si era parlato di microimprese, quelle che per definizione di legge hanno meno di 10 dipendenti e guadagnano meno di 2.000.000 di euro di fatturato. Solo che poi qualcuno ai piani alti si deve essere reso conto che non c’erano i fondi, quindi si è limitato il bonus alle imprese con meno di 100.000 euro, sapendo bene che era un bluff. Il che ricorda sospettosamente da vicino quanto accaduto al bonus da 600 euro per le partite IVA: prima bonus a tutti, poi magicamente comparsa limitazione solo per chi iscritto in via esclusiva ad una singola Cassa Previdenziale, escludendo così di fatto buona parte delle partite IVA che, loro malgrado, sono per forza di cose iscritte a due Casse. Che ci si sia resi conto anche lì che non c’erano più soldi, quindi via con un colpo di scure a un sacco di contribuenti?

Tornando a ristoranti e pizzerie, poi, Di Porzio cerca di dare una spiegazione anche al perché il delivery sia stato vietato solamente in Campania. Ovviamente ricorda che all’inizio tutti erano spaventati e quindi chiudere per 15 giorni non è sembrata una grande tragedia. Ma poi i giorni sono diventati 30, 45 e ancora non si vede la fine. Inoltre non si è vista neanche l’ombra di un sostegno alle attività che sono andate incontro a un’inevitabile sofferenza finanziaria.

Come dimenticare le situazioni paradossali come i pasticcieri artigianali che non potevano consegnare pastiere e dolci a Pasqua in Campania, mentre nel resto dell’Italia sì? Tutto per colpa di interpretazioni basate sui codici Ateco. E ancora: in città si può comprare, mangiare o farsi portare a casa una pizza surgelata, ma non una pizza artigianale napoletana cotta sul momento.

Da tutto ciò è nata la proposta Fipe per una riapertura in sicurezza, fra l’altro stilando un protocollo insieme ai tecnologi alimentari di Campania e Lazio. Gli esercizi pubblici sono stati controllatissimi, i piani Haccp di sicurezza sul lavoro ci sono: perché attendere ancora?

Di Porzio poi ha anche accennato a come potranno ristoranti e pizzerie che non hanno mai fatto consegne a domicilio adattarsi in così breve tempo al servizio di food delivery. Ovviamente si tratta di un servizio che richiede una precisa organizzazione sia per quanto concerne la produzione che per il packaging, le metodiche di consegna e i pagamenti. E parla di tre fasi con tempi di attivazione diversa:

  1. delivery, cioè le consegne a domicilio
  2. take away, l’asporto
  3. somministrazione al pubblico

Rimane sempre il dubbio relativo agli incassi del delivery: basteranno a coprire i costi della riapertura? Purtroppo per dare risposta a questa domanda bisognerà attendere. Tuttavia bisogna anche considerare il fatto che pizzerie e locali potrebbero riorganizzarsi e trasformare il personale di sala, al momento in eccesso, in personale addetto alle consegne a domicilio.

Nonostante tutto ciò, le stime economiche non sono incoraggianti: Di Porzio spiega che un’azienda su tre avrà gravi difficoltà a ripartire. Il problema non è relativo solo ai mancati incassi per il periodo di chiusura, ma anche tutto il periodo fino al 2021:

  • clienti dimezzati
  • turismo azzerato
  • paura dei clienti di andare in luoghi pubblici
  • limitazioni alle aree di servizio

[Crediti | Napoli Today]