Carne coltivata, l’appello della Peta a Giorgia Meloni: “Ritirate il divieto”

Il divieto italiano alla carne coltivata ha attirato anche l'attenzione della Peta, che ha rivolto un appello a Giorgia Meloni.

Carne coltivata, l’appello della Peta a Giorgia Meloni: “Ritirate il divieto”

Il divieto tutto italiano – una specificazione che viene impugnata con miope soddisfazione nei circoli della sovranità alimentare – alla carne coltivata continua ad attirare occhiate e appelli dal resto del mondo. A una manciata di giorni dalla notizia del “grande no” vi raccontammo di come diverse organizzazioni animaliste tentarono di fare giungere la propria voce alle scrivanie in ebano di Giorgia Meloni e del suo cognato, nonché ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida; un coro a cui recentemente si è aggiunta anche la Peta che ha scritto una lettera aperta al governo italiano per sostenere le ragioni del sì alle nuove metodologie di produzione.

Carne coltivata, la lettera della Peta a Giorgia Meloni

Giorgia Meloni

Il nocciolo della questione è che il divieto nostrano, oltre a mutilare una potenziale filiera di eccellenza, non corrisponde agli interessi del pianeta, degli animali e della popolazione; e ci permettiamo di aggiungere che, alla luce delle flebili scusanti dietro le quali è stato presentato – i rischi alla salute sono stati ampiamente analizzati dalla OMS e dalla FAO ma apparentemente ignorati – e considerando la risposta a una recente interrogazione parlamentare sul benessere del pollame allevato nel Bel Paese, lascia intendere un velo di grossolana ipocrisia.

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Ma torniamo a noi – carne coltivata, lettera della Peta a Giorgia Meloni. L’organizzazione, pur riconoscendo che la scelta alimentare migliore sarebbe quella vegana, riconosce che la carne è di fatto parte della dieta quotidiana di miliardi di persone del mondo e sarebbe pertanto opportuno ragionare su alternative che consentano di evitare – o perlomeno tamponare – le conseguenze a livello di inquinamento, consumo del suolo e utilizzo di risorse legate agli allevamenti intensivi.

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Di seguito il testo della lettera firmata da Mimi Bekhechi, vicepresidente Peta per Europa, Regno Unito e Australia.

Egregio Presidente, Onorevole Ministro,
Vi scrivo per conto di People for the Ethical Treatment of Animals (PETA), le cui entità hanno più di 9 milioni di membri e sostenitori a livello globale, inclusi molti in Italia. Siamo preoccupati per il disegno di legge che vieta la produzione di carne coltivata in laboratorio nel territorio italiano, in quanto essa può svolgere un ruolo importante nel ridurre i danni ambientali e i rischi per la salute pubblica. Vi esortiamo a ritirare il disegno di legge e a incentivare un futuro consapevole e orientato al benessere del pianeta.

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La carne coltivata ha il potenziale di ridurre drasticamente il cambiamento climatico. Allevare animali per l’alimentazione richiede enormi quantità di terreno, cereali e acqua. L’agricoltura animale è anche una delle principali fonti di emissioni di anidride carbonica, protossido di azoto e metano, gas che hanno un ruolo importante nel riscaldamento globale. Poiché la carne coltivata non cresce sul corpo di un animale, il suo impatto è notevolmente inferiore rispetto a quello della carne convenzionale. Infatti, si stima che la produzione industrializzata di carne coltivata possa generare l’87% in meno di emissioni di gas serra, il 90% in meno di utilizzo del suolo e il 96% in meno di impiego di risorse idriche.

La carne prodotta in laboratorio è anche molto più sicura per la salute umana. Il morbo della mucca pazza e l’influenza aviaria, per esempio, non possono diffondersi in un laboratorio in vitro nel modo in cui possono farlo in un allevamento intensivo. E la carne coltivata è priva di antibiotici così diffusi nella gran parte della carne animale. Stipati insieme in capannoni, agli animali negli allevamenti vengono somministrate massicce dosi di antibiotici per mantenerli in vita. Ma il pericolo rappresentato dalla crescente resistenza agli antibiotici è stato definito una “bomba a orologeria”. Ovviamente, in un laboratorio, questo problema non sussisterebbe.

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Dare spazio alla carne coltivata in laboratorio rispetto alla carne convenzionale salverebbe gli animali la cui sofferenza è innegabile, sia in Italia che nel resto del mondo, sfruttati come pezzi di una catena alimentare. Numerose indagini sotto copertura hanno dimostrato che la carne e i latticini “Made in Italy” sono permeati degli stessi abusi, crudeltà e abbandono che abbiamo visto in altri Paesi.

Naturalmente, oltre ad accogliere l’adozione di carne coltivata, il governo italiano può e deve impegnarsi di più per promuovere gli alimenti a base vegetale e sostenere i numerosi coltivatori ortofrutticoli che forniscono alla nazione cibi sostenibili, sani e cruelty-free in grado di rendere la cucina italiana famosa e amata da tutti a livello globale.

Vi esortiamo a modificare la vostra politica alimentare per accogliere le innovazioni rispettose del pianeta, come la carne coltivata, e a sostenere gli alimenti vegetali che sono ottimali per la salute, gentili verso gli animali e migliori per l’ambiente. Vi ringrazio per il vostro tempo e la vostra attenzione. Resto a disposizione per qualsiasi domanda o necessità di approfondimenti.