Dopo una carriera di assoluto rispetto a Hollywood, Stanley Tucci è ora diventato ufficialmente il miglior ambasciatore della cucina italiana all’estero. Non ricordiamo neanche più bene quand’è che è successo, fatto sta che a un certo punto Stanley ha voluto recuperare le sue origini italiane (calabresi, ed è un peccato che proprio la Calabria non sia tra le regioni scelte per il suo ultimo programma gastronomico itinerante quello di cui stiamo per parlare) e ha iniziato a indagare la cucina nazionale, raccontandola all’estero. Perfino alla corte di Re Carlo, che lo ha invitato come esperto all’ultima cena italiana organizzata da Buckingham palace.
I ristoranti italiani toccati dalle puntate dei vari programmi precedenti di Tucci raccontano di un ritorno di popolarità senza precedenti. E il motivo non è solo il grande pubblico d’Oltreoceano. Il motivo è proprio la bravura di Stanley Tucci, che sa raccontare la tradizione gastronomica italiana come pochi altri prima d’ora hanno fatto, e come sicuramente pochissimi fanno nell’epoca contemporanea dei cooking show e dei programmi televisivi destinati al pubblico di pensionati e per loro pensati. Stanley Tucci, la cucina italiana te la fa vivere, sentire, quasi assaggiare, perché ti ritrovi perennemente con l’acquolina in bocca e con la voglia di prendere la macchina e fare tutti i chilometri necessari a raggiungere quel posto dove si fa quella particolarissima specialità locale che neanche tu (che pure sei italianissimo) conoscevi.
Tucci in Italy: com’è il nuovo programma di Stanley Tucci
Si chiama Tucci in Italy l’ultimo programma sulla nostra cucina firmato Stanley Tucci: cinque (ma perché solo cinque?) puntate che toccano diverse regioni italiane, raccontandone specialità, prodotti, tradizioni, ristorazione contemporanea e storica. Il tutto è disponibile su Disney+, giusto se vi chiedete dove si può trovare.
Ebbene, Tucci in Italy è un prodotto sufficientemente già visto da risultare rassicurante quanto basta, e sufficientemente nuovo (soprattutto per chi è abituato alla televisione italiana) da risultare bellissimo e interessante. E quel che è chiaro dopo averlo visto è che le produzioni italiane (l’unica delle quali si avvicina vagamente a questi standard ci pare sia l’ottimo Dinner Club di Carlo Cracco) potrebbero provare a ripartire da Stanley Tucci.
E che cosa abbiamo da invidiare noi alla produzione di un divo di Hollywood innamorato della cucina italiana? La qualità di prodotto, innanzitutto, da tutti i punti di vista. Le riprese, la regia, la qualità delle immagini: tutto sembra provenire letteralmente da un altro pianeta, se paragonato ad alcuni dei programmi nostrani, e il risultato è che la fotografia della nostra Italia che esce da Tucci in Italy è incredibilmente appetibile, golosa, interessante.
E poi c’è la scelta dei luoghi, delle persone, dei piatti e dei ristoranti da raccontare: Tucci li sceglie tutti con cura, scovando segreti e mescolando davvero tradizione e innovazione in maniera sapiente, e non solo come modo di dire abusato. Si parte dalla Toscana e dal suo lampredotto, ma anche da piatti meno noti perfino agli Italiani come la Francesina o la finta trippa. Si va al Cibleo, dove si incontra la contaminazione tra Toscana e Oriente, e poi si segue la cena in contrada al Palio di Siena, una meraviglia di fascino e storia e identità che solo Pif nel suo Il Testimone aveva raccontato così bene in tv negli ultimi tempi (seppur con un linguaggio narrativo e con un intento totalmente differente).
Si va poi in Lombardia, raccontando la produzione del caviale a Calvisano, in provincia di Brescia, e poi dall’immancabile Trippa, emblema del recupero della tradizione nazionale in chiave Top. E poi il Trentino, l’Abruzzo, il Lazio, tutte raccontate con produttori bellissimi e con ristoranti che sono un mix tra alta cucina (ma non la solita che ci verrebbe in mente se dovessimo fare un programma di quel tipo, o comunque non soltanto quella) e cucina da trattoria, o ancora di più street food. La narrazione è fluente, e i passaggi tra l’alto e il basso governati attraverso il filo conduttore del rispetto delle materie prime locali. Insomma: tutto quello di cui raccontiamo di andare orgogliosi, e Stanley Tucci ci dimostra che dovremmo farlo davvero, perché il potenziale è altissimo, e lui ce lo mette su uno schermo in maniera magistrale.
Non solo: Tucci, da non italiano, ne approfitta anche per toccare tematiche verso cui un programma di cucina italiana mai si avventurerebbe. A Milano parla a lungo di omogenitorialità, ospite di una famiglia formata da due papà che, preparando gli gnocchi da mangiare tutti insieme, racconta le sue difficoltà in un governo (e in parte in una società) che non approva le famiglie omogenitoriali. E Stanley riesce a chiudere la puntata sulla Lombardia facendoci venire gli occhi lucidi (mio Dio, ma non si stava parlando di cucina?) e dimostrando quanto la gastronomia possa essere il veicolo per parlare di altro, se quell’altro è la tavola intorno a cui ci si ritrova: “per quanto mi riguarda spero in un futuro in cui il significato della parola famiglia si avvicini a quello originario latino, una parola che significava semplicemente casa”, dice. Altro che “a tavola non si parla di politica”, come dicevano i nostri genitori e come di recente ha ribadito Benedetta Rossi: la politica è proprio l’argomento più bello da affrontare intorno a un piatto di pasta capace come nient’altro di mettere tutti d’accordo.
E ai suoi compagni di viaggio in Trentino Alto Adige, mentre tutti insieme mangiano un pesce appena pescato, Tucci ha il coraggio (o l’ingenuità) di chiedere se si sentano più italiani o più austriaci. Una domanda davvero poco italiana, che nessun programma italiano farebbe, a cui i tre intervistati rispondono in modo molto italiano dicendo che loro si sentono trentini e basta.
L’Autogrill nel racconto di Stanley Tucci
Ok, siamo d’accordo con voi: in un racconto così accurato della tradizione italiana, come si contestualizza la presenza di Autogrill? Sette minuti interi nella puntata dedicata alla Lombardia, incastrati tra la cucina a tre stelle Michelin di Da Vittorio e il caviale, stridono un po’ in mezzo alla narrazione totale di ciò che più nascosto e identitario e tradizionale l’Italia ha da offrire da un punto di vista gastronomico. Nulla di per sé contro Autogrill, ma fatichiamo a vedere il nesso tra l’offerta autostradale e quella di un Diego Rossi, o di un Sergio Pollini, o di un Egon Heiss. Messe una accanto all’altra, non si capisce molto il senso. Soprattutto quando Tucci, amante dichiarato dei panini all’italiana, chiosa dicendo che “l’Italia è un posto dove chiunque può mangiare un cibo incredibile, anche in autostrada”. Ora, incredibile – aggettivo di cui Tucci abusa in generale – ci sembra un termine quantomeno lusinghiero. Tutti abbiamo mangiato una Rustichella nella vita, e ce la siamo pure goduta, ma anche meno, Stanley.
C’è da dire però che Stanley Tucci (sicuramente coadiuvato da un team di grande livello) risulta bravissimo anche in questo: il racconto di Autogrill, nel suo programma, è alla fine un racconto di una particolarità tutta italiana: quella di una rete di bar & ristoranti all’interno delle autostrade, che ha una sua storicità ed è caratteristica del nostro Paese, quantomeno in questi termini. Stanley ce la presenta così, e al netto di qualche iperbole di troppo, il risultato di tutto ciò che dice è convincente. C’è venuta voglia di cucina italiana.