“Sei ciò che mangi” è piena di cattiva informazione (che non serve alla causa vegana)

La docu-serie Netflix che racconta l'esperimento su gemelli vegani e onnivori messi a confronto è un'occasione mancata per raccontare in maniera seria e imparziale un tema decisamente complesso (in cui l'Italia sicuramente non è l'America).

“Sei ciò che mangi” è piena di cattiva informazione (che non serve alla causa vegana)

Il rientro dalle vacanze di Natale, con l’anno nuovo che arriva, è il momento dei buoni propositi. Gennaio è il mese in cui ci si iscrive in palestra, si smette di fumare, si cambia la propria vita, almeno per i trenta giorni successivi: è più o meno quello che prevede anche la sfida del Veganuary (che chi scrive ha accolto, a titolo di prova personale). Un mese intero senza carne o, per i più coraggiosi, senza proteine animali. Così, per vedere l’effetto che fa, o magari per incidere di un dodicesimo in positivo sulle enormi questioni (ambientali, etiche, sanitarie) che gli allevamenti indubbiamente portano con sé.

Quale mese migliore di gennaio, dunque, per lanciare una nuova docu-serie Netflix che parla proprio di come possa incidere la dieta vegana sul bilancio di una vita? Così, tra i titoli del momento della piattaforma on demand troviamo “Sei ciò che mangi – gemelli a confronto”: un interessante esperimento in cui qualche decina di coppie di gemelli (persone geneticamente identiche per definizione) sono state scelte per seguire due diete diverse, una onnivora e l’altra vegana, e per poi metterle a confronto.

Il fatto che tutti noi, nel momento in cui approcciamo la docu-serie fenomeno di questo inizio 2024, sappiamo già come andrà a finire (i gemelli vegani staranno molto meglio dei loro fratelli onnivori) è solo uno dei motivi per cui questo prodotto è pieno di cattiva informazione, che di certo non fa bene alla causa vegana. Ecco tutti gli altri.

La parzialità dello studio

Lo studio alla base di “Sei ciò che mangi – gemelli a confronto”, potrebbe anche essere curioso e interessante, per quanto – a detta anche di coloro che lo hanno condotto – non abbia la pretesa di avere un valore scientifico (cosa che andrebbe ricordata per tutta la durata del documentario, in effetti). E in effetti lo è anche, ma non si può prescindere dalla sua enorme parzialità, che lo rende per forza di cose fonte di cattiva informazione. La nuova docu-serie Netflix è infatti prodotta da OPS (Oceanic Preservation Society), organizzazione no profit che ha l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sulle tematiche ambientali, e che ha prodotto anche “The Cove”, il film documentario americano del 2009 sulla caccia ai delfini in Giappone, premiato con l’Oscar nel 2010. Sia il film premio Oscar sia la docu-serie Netflix sono dirette dal fondatore di OPS, Louie Psihoyos, che ovviamente è vegano.
Lo stesso autore dello studio sui gemelli, Christopher Gardner, segue una dieta “per lo più vegana” da quarant’anni e, oltre a essere direttore degli studi sulla nutrizione presso lo Stanford Prevention Research Center, dirige anche la Stanford Plant-Based Diet Initiative, finanziata da Beyond Meat (il che, diciamo, gli crea qualche piccolo conflitto di interesse sul tema).
Come si può considerare autorevole ed equilibrato un prodotto televisivo-documentaristico-informativo realizzato da un gruppo di lavoro che crede a una e una sola tesi e non avrà mai alcun interesse a guardare dall’altro lato della barricata?

Il Cherry Picking

Da qui, il secondo errore, quello più comune nel mondo dell’informazione: il Cherry Picking. Si tratta di un modo gergale di definire una pratica giornalisticamente scorretta, che porta a partire da una conclusione – più che da una tesi, come si dovrebbe fare – e a selezionare le informazioni che avvalorano quella conclusione. Ed è esattamente quel che succede in “Sei ciò che mangi – gemelli a confronto”. Non abbiamo neanche bisogno di vederlo per sapere che, alla fine, affermerò che la dieta vegana è più sana di quella onnivora. Se perfino noi spettatori siamo così prevenuti a prescindere, è perché il prodotto viene presentato in questo modo, il che fa pensare che sia anche stato realizzato così, cosa che in effetti è avvenuta, e si vede soprattutto nella presentazione dei risultati medici finali. I valori dei gemelli partecipanti a fine esperimento vengono analizzati frettolosamente: non si capisce poi così bene cosa sia cambiato e cosa no, e quando qualcosa non è andato come si presumeva la colpa viene generalmente data alla poca attenzione posta dal soggetto alla dieta. Sicuramente ha sgarrato rispetto alle regole imposte. I dati a favore della dieta vegana vengono raccontati come sorprendenti, ma non ci sembra che il tutto venga analizzato con la giusta attenzione e complessità.

La poca attenzione allo studio

In generale, “Sei ciò che mangi – gemelli a confronto” è un prodotto strano, che viene raccontato come uno studio alimentare su coppie di gemelli, ma che in realtà è tutt’altro. Nelle quattro puntate della docu-serie, lo studio è in effetti una minima parte del racconto. Qua e là, spesso e volentieri, i gemelli protagonisti dell’esperimento vengono interrotti nella loro narrazione per raccontare gli allevamenti intensivi, il dramma dei polli Broiler, lo schifo della dieta americana, la nascita del mito della carne come prodotto salutare. C’è perfino spazio per l’allevatore pentito, che ci stupisce non sia oscurato in volto e con la voce artefatta come un ex mafioso. E, in tutto questo, rientra anche la lunga testimonianza di Daniel Humm, che da tempo ha trasformato la cucina del suo Eleven Madison Park a New York in totalmente vegana, facendo una scelta radicale (per quanto mi riguarda, la parte più interessante della serie Netflix). Tutto giusto, per carità, ma quello che ci era stato promesso era altro: uno studio interessante, non scientificamente rilevante ma comunque importante per fare una tara tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Perfino i risultati dell’esperimento, come già detto, vengono raccontati in maniera frettolosa e raffazonata, generalmente poco comprensibile. Sembra che il sensazionalismo e lo show prevalgano sempre sulla parte documentaristica, almeno su quella promessa dalle intenzioni del progetto.

Il nichilismo medico

Fermi tutti. Abbiamo davvero sentito dire ad Eric Adams (il sindaco di New York eh, non l’uomo qualunque della porta accanto) che di fronte a una diagnosi di diabete di tipo 2 è tornato a casa e ha googlato “guarire dal diabete”, decidendo poi di non assumere le medicine che gli erano state prescritte e scegliendo invece di curarsi attraverso una dieta vegetale? Non c’è bisogno che spieghiamo quanto gravi siano queste affermazioni, ed è difficile capacitarsi che, per questa cosa, Adams non sia travolto dalle critiche. Eppure, l’America è un posto strano, e qui arriva l’ultima argomentazione che fa di “Sei ciò che mangi – gemelli a confronto” un prodotto televisivo da prendere con le pinze, se si vuole davvero fare una scelta consapevole.

L’America non è l’Europa

Quando parliamo di carne, di allevamenti intensivi, di problematiche legate all’alimentazione, alla salute e all’inquinamento, dobbiamo sempre ricordare che l’America non è l’Europa (per fortuna). In questo caso, ci infiliamo un po’ nella divisa del team Lollobrigida-Prandini: non si può, su un discorso così complesso mettere sullo stesso piano due situazioni così differenti. Il che non significa essere benaltristi o sostenere che il problema, nel nostro Belpaese, non esista: anche qui il tema degli allevamenti intensivi è da porre all’ordine del giorno, e comunque anche qui arrivano i prodotti ultraprocessati che vengono realizzati in America. In generale, non si può non considerare che qui ci sono regolamentazioni diverse negli allevamenti (per esempio sull’utilizzo degli ormoni, che l’Unione Europea ha vietato), parametri diversi di attenzione alla vendita del prodotto-carne e c’è anche una dieta diversa, con un consumo di carne pro capite estremamente minore. Ma soprattutto, qui da noi c’è un’alternativa. Ovvero, si può davvero trovare (e anche senza troppa difficoltà) carne di grande qualità, che tenga conto del benessere animale, della salute umana, e perfino dell’impatto ambientale. Certo, è una carne più costosa, che va nella direzione non tanto di una scelta elitaria, quanto di una diversa distribuzione della proteina animale all’interno di una dieta-tipo: non carne tutti i giorni, ma carne molto buona (per tutti) una volta ogni tanto.

Ecco, questa è sicuramente una scelta da tenere presente, una volta finito il Veganuary e spento Netflix. Perché la verità è che un racconto di questo tipo, con così tanti buchi di trama e dubbi lasciati in sospeso, non può far del bene alla causa.