Unfrosted, recensione: l’impietosa satira su Kellogg’s e USA é servita su Netflix

Recensione di Unfrosted, oltre la "Storia di uno snack americano", tra rimandi a Capitol Hill e fortissime auto-critiche agli States, governati dallo zucchero.

Unfrosted, recensione: l’impietosa satira su Kellogg’s e USA é servita su Netflix

Disponibile dal 3 maggio su Netflix, Unfrosted, Storia di uno snack americano – con Jerry Seinfeld protagonista regista debuttante – è una coloratissima comedy. In un unico flashback si torna negli anni Sessanta per scoprire come sono nate le famosissime e iconiche Pop-tarts (i biscottoni farciti e rettangolari per la colazione, da scaldare nel tostapane). Almeno, questa è la trama dichiarata, perché in realtà il film è un’impietosa satira che non risparmia nessuno, accanita soprattutto con Kellogg’s e il governo statunitense tutto.

Le Pop-tarts sono infatti state lanciate dall’azienda con la K rossa, non senza fatica data la strettissima concorrenza con la rivale Post la cui fondatrice ha poi acquistato Mar a Lago, enorme residenza a Palm Beach passata poi in mano a Trump – è li che l’ex presidente nascose i documenti rubati. Una coincidenza che ha dato il via a una narrativa caustica sull’America, del passato (inizio anni Sessanta, con Kennedy e Cuba e Nasa) ma con evidentissimi riferimenti alla politica recente.

Kellogg’s e Post governano gli Stati Uniti

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Michigan, 1963, e l’ingenuità fanciullesca infranta attraverso il dipinto della Kellogg’s: nel film è descritta come una colorata e iper-brandizzata quanto egoista azienda, gestita da un ottuso signor K III (l’attore Jim Gaffigan) che ha ereditato tutto senza meritocrazia. Tutti noi da generazioni colleghiamo l’azienda ai fiocchi di mais da tuffare nel latte, mentre il gallo verde e rosso o la tigre ci sorridono dalla confezione. Ebbene, la realtà è una sorta di Willy Wonka e la Fabbrica di cioccolato, ma gestita da idioti che pensano solo a come mettere più zucchero nei prodotti. D’altra parte c’è la Post, azienda rivale in eterna lotta e in eterna ombra: l’idea base delle Pop-tarts (con a capo una lady di ferro, interpretata da Amy Shumer) è più o meno sua, ma la Kellogg’s ne sviluppa una versione migliore che va subito a ruba.

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La Kellogg’s ha infatti due armi decisive in più: Bob Cabana (ispirato a Bob Post, l’inventore delle Pop-Tarts, a cui il regista ha attribuito un cognome diverso per non creare confusione – interpretato da Jerry Seinfeld) e Donna Stankowsky (il braccio destro di Bob che lascia la Nasa per dedicarsi nuovamente alla Kellogg’s – interpretato da Melissa McCarthy). I due arruoleranno il team di esperti che formulerà il prodotto per rivoluzionare la colazione degli americani. Kellogg’s e Post hanno un filo diretto con il Governo degli Stati uniti e il Presidente, che manovrano come un burattino e che riescono a condizionare grazie all’importazione di zucchero.

Lo zucchero i missili Cuba

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A proposito di zucchero, quando la Kellogg’s decide di accaparrarsi tutto lo zucchero destinato anche alla Post (andando da El Sucre in Colombia, il re “della polvere bianca”), quest’ultima si rivolge segretamente alla Russia per ottenere da loro (e Cuba) lo zucchero di canna (“illegale” “comunista”, come lo definisce poi Kennedy). Ecco come il film trasforma la crisi tra Cuba e gli Stati Uniti in una scaramuccia aziendale legata allo zucchero.

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Lo stratagemma narrativo ricorda un po’ Forrest Gump: anche Forrest è un personaggio che ha influenzato la storia americana in maniera determinate ma anche in maniera del tutto casuale e inconsapevole; Post e Kellogg’s, invece, sanno di avere potere anche sul Presidente degli Stati Uniti. Una critica a come l’America sia governata dallo zucchero e dall’economia da esso derivata, e non certo dalla politica. E non parliamo solo di Kellogg’s e Post ma anche degli altri colossi della colazione, cosca dei lattai compresa.

La Capitol Hill delle Mascotte Kellogg’s

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Come Cuba, Krushchev (interpretato da Dean Norris), Andy Warhol, Vietnam e Nasa sono espliciti riferimenti alla storia degli anni Sessanta, nel film sono presenti anche riferimenti all’attualità. Uno su tutti, l’assalto a Capitol Hill del 2021: le mascotte della Kellogg’s, capeggiate da Tony the Tiger in veste vichinga (interpretata da un sempre più comico Hugh Grant) irrompono nell’azienda per protestare contro le Pop-tarts perché tolgono loro il lavoro.

Chef Boyardee e il panettone

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Il team di esperti arruolati da Kellogg’s per ideare lo snack americano in questione è composto da atleti, inventori, e anche da Chef Boyardee. Esatto, quello degli spaghetti in scatola made in Usa citati anche in The Last of Us. Il brand Chef Boyardee è un’istituzione del food in America soprattutto dal boom economico in poi, ma alle spalle ha una persona in carne ed ossa: Ettore Boiardi, cuoco italiano. La sua caricatura nel film (interpretata da Bobby Moynihan) è prevedibile: sovrappeso, casacca bianca, abile nella pasta fresca – fa un raviolo, il che contribuisce all’idea del biscotto ripieno per tostapane.

Il potere del cibo in The last of us Il potere del cibo in The last of us

Per far capire che è italiano lo riempiono di cliché unpolitically correct: gli fanno dire cose come “mia sorella ha i baffi” (sì, parla italiano anche nel film in lingua originale), e gli mettono in mano spaghetti meatballs. C’è anche una sorpresa: Chef Boyardee, per festeggiare, porta un inaspettato panettone presentato (sempre in italiano) come “torta tradizionale per le vacanze“. Insomma, almeno questa volta Hollywood ha aggiunto – all’italiano grasso peloso e mangiaspaghetti del proprio immaginario – anche un dolce che all’estero è poco conosciuto. Per ora.

Pop-tarts: il vero “grande passo per l’umanità”

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Le ricerche per formulare le Pop-tarts sono effettuate in un laboratorio futuristico (dopotutto, Donna Stankowsky lavorava alla Nasa: un’altra realtà made in USA vittima della satira del regista). Il test finale è un chiaro riferimento a Oppenheimer: il teso monitoraggio da lontano, il crescendo del conto alla rovescia, l’esplosione nucleare. Il momento cruciale del film, ovvero l’attimo in cui finalmente le Pop-tarts sono cotte, il tostapane sembra uno Space Shuttle a Cape Canaveral… insomma, altro che allunaggio del 1969: il vero “grande passo per l’umanità” è stato il lancio delle pop-tarts – per una colazione senza latte.

Kellogg’s: pro Vietnam e patriarcato

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La Kellogg’s, da questo film, ne esce piuttosto male. Certo, ha ideato le Pop-tarts (è un bene?) ma tramite una politica aziendale e una gestione manageriale estremamente superficiali e fasulle. Dai numerosi primi premi vinti durante gli annuali Awards dei cereali (Awards organizzati da loro stessi), all’ottuso Mr Kellogg’s che legge il giornale del mattino ed esclama “Vietnam? Mi sembra una buona idea!“, al pensare che la parte più importante di una mucca sia ciò che esce dal retro (un riferimento chiaro alle emissioni dagli allevamenti intensivi americani).

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In più, se a dirigere la Post c’è una CEO che bistratta il proprio sottoposto, la prosperosa e agghindata Donna Stankowsky della Kellogg’s – cruciale per l’azienda – non riesce a far capire ai colleghi di essere donna e non uomo. Come se fosse inconcepibile una donna ricercatrice in azienda.

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In fin dei conti, quindi, siamo davanti a un film piacevole e con un cast come pochi, da guardare insieme ai bimbi che rimarranno sicuramente affascinati da tanta bellezza e comicità. Ai genitori e agli adulti in genere, tuttavia, lascerà amaro in bocca – nonostante tutto lo zucchero.