Riso, la terra dedicata è al minimo degli ultimi 20 anni: colpa della siccità

Il riso è tra le principali vittime della siccità: la terra dedicata al raccolto è al livello minimo degli ultimi 20 anni.

riso

Non dovrebbe sorprendere nessuno apprendere che, dati alla mano, la filiera del riso è tra le più colpite dalla morsa della siccità. Dopo i raccolti già pesantemente mutilati dalla crisi idrica dello scorso anno, il settore si sta preparando a fare i conti con una stagione produttiva ancora più difficile, figlia dell’emergenza irrisolta dello scorso anno ed esacerbata da un inverno avaro di precipitazioni. Il nostro caro e vecchio Stivale è di fatto responsabile del 50% del riso prodotto nell’Unione Europea, e circa il 94% del raccolto italiano è proveniente dalle regioni settentrionali, con epicentri in Lombardia e Piemonte; proprio dove la crisi idrica morde con particolare severità.

Riso e siccità: le difficoltà della filiera

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In altre parole, come già accennato, si prospetta un periodo davvero difficile per i produttori di riso. Roberto Magnaghi, direttore generale dell’Ente Nazionale Risi, ha confidato ai microfoni di Reuters che non più di 211.000 ettari saranno seminati a riso nel 2023, la superficie più piccola da 23 anni. Una cortesia, come avrete potuto intuire, della siccità: “L’acqua scarseggia” ha commentato. “Stiamo tutti guardando il cielo nella speranza che si metta a piovere”.

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La stima al 2023 è in calo di 7.400 ettari rispetto al 2022 e di 16.000 ettari rispetto al 2021. È bene notare che le prospettiva in Lombardia e Piemonte – centri produttivi di massima importanza, come abbiamo potuto vedere – sono ancora più fosche rispetto al 2022, quando i raccolti sono stati distrutti dalla siccità e la produzione è diminuita del 17% rispetto all’anno precedente.

Il suolo è ancora stravolto dalla siccità dello scorso anno, e come anticipato l’inverno 2022/23 è stato particolarmente avaro di piogge e neve. “Sarà difficile colmare il deficit che abbiamo con le piogge primaverili” ha affermato Andrea Toreti, esperto di agricoltura presso il Centro comune di ricerca della Commissione europea.

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Abbiamo cercato di lasciarlo implicito, ma per amore dell’informazione è bene essere chiari: il riso, come sappiamo, è una delle colture più “assetate” in assoluto, tanto da necessitare tra i 3.000 ei 10.000 litri d’acqua per sviluppare un chilogrammo di produzione, con dati varianti in base alla varietà scelta e altre condizioni climatiche e topografiche.

La semina, definita “una scommessa” dagli stessi produttori italiani, dovrebbe cominciare nelle prossime settimane: gli agricoltori pianteranno i semi in pozze che tradizionalmente si tengono su una profondità di 30 o 40 centimetri e che devono essere costantemente irrigate.

Ci siamo concessi questo breve excursus agricolo per sottolineare che le criticità a cui la filiera del riso – e il settore primario in generale, a dirla tutta – stava andando incontro avrebbero dovute essere note a tutti, considerando che il periodo siccitoso sta durando da più di un anno a questa parte e per tutto l‘inverno non ha accennato a una potenziale fine. I fondi ci sono, assicurano i ministri, ma sembrano inesorabilmente bloccati tra gli ingranaggi della burocrazia tra cabine di regia, commissari da nominare e tavoli di discussione. Come andrà a finire?