5 trend che fanno di Parigi la meta veg che l’Italia non ha

Parigi è sul podio delle città europee più vegan-friendly: ecco i 5 trend da noi testati personalmente che la rendono una meta veg invidiabile per noi italiani.

5 trend che fanno di Parigi la meta veg che l’Italia non ha

Chi lo avrebbe mai detto che sul podio delle città europee più vegan friendly ci fosse anche Parigi? La capitale francese è, nell’immaginario gastronomico, associata a vino, ostriche, formaggio, foie gras e tanto, tantissimo burro. Eppure, da un decennio a questa parte, si sono moltiplicati gli endroits vegetariani e vegani, spesso con formule assolutamente peculiari al modo di fare gastronomia della Ville Lumière.

Nel mio soggiorno più recente a Parigi sono rimasta stupefatta dalla quantità di opzioni veg, dai ristoranti veri e propri a bistro, boulangerie, café, pasticcerie, bar à vin. E mi sono accorta che anche locali non strettamente vegani spesso hanno in carta piatti interessanti e non banali (leggi: insalata e pomodori) per chi segue questo tipo di dieta.

Una destinazione accogliente e stimolante dunque per gli amanti della cucina vegetale. Così, visto che è appena uscita una classifica a confermarlo, ho pensato di stilarne una mia breve e personale. Ovvero i 5 motivi per cui Parigi è meta veg inaspettata da scoprire, dalla pasticceria impeccabile ai bistro, brunch, cucina afro-veg e fauxmage. Preparatevi a cali di zuccheri improvvisi e salivazione delle fauci: c’est parti!

Pasticceria vegetale (trova le differenze)

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Mi sono già espressa altrove sulla frustrazione rispetto alla pasticceria vegana, monotona e spesso relegata a bombe ipercaloriche di ispirazione anglosassone. Sembrava impossibile trovare un’alternativa che non solo assomigliasse alla pâtisserie fine francese, ma che avesse una sua dignità e metodologia intrinseca. Poi sono stata a Parigi. E mi sono trovata tutti i giorni, almeno due volte al giorno (colazione e merenda, évidemment) ad assecondare una golosità che nemmeno sapevo di possedere. Il piacere acuisce i sensi e io li ho usati tutti, comprese le ditate appiccicose del flan alla vaniglia divorato per strada e la melodia irresistibile che fa il cucchiaino quando spezza la crosta della crème brûlee. Quando hai a disposizione una gamma vastissima di dessert classici 100% vegetali e praticamente indistinguibili dagli originali, con la tentazione ci vai a braccetto, altro che resistere.

Entro più nel dettaglio. Parigi è il paradiso per i più (e meno, come la sottoscritta) golosi fra i vegani. Dalla viennoiserie da colazione (pain au chocolat, croissant, chausson) a brioches, tartes monoporzione, gâteaux de voyage (a lunga conservazione come cookies e macarons) e torte luccicanti al massimo del food porn. Non mancano dolci di ispirazione giapponese come i wagashi (Pâtisserie Tomo), buns svedesi (Grounded) e donut americani (Boneshaker Donuts). E scordatevi la pasticceria-modello-gioielleria per dolcetti e pasticcini fatti a regola d’arte. Creazioni vegetali originali sono disponibili al café (VG Pâtisserie) e boulangerie (Land and Monkeys), il classico panificio dove trovate di tutto, da baguette e pain de campagne a graziosissime tartelette che paiono uscite da una rivista di design. Infine i ristoranti ove, particolarmente a Parigi, c’è sempre posto per il dessert. Su tutti BrEATh Restaurant, i cui dolci strepitosi sono curati da Lobo Pâtisserie.

Bistro: del mangiar lento, economico e vegetale

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Il bistro parigino è l’ibrido tra ristorante e trattoria cui andrebbe dedicato uno studio socio-culturale a sé stante. C’è una concezione non tanto del bistro stesso, quanto del modo di starci che esercita un fascino particolare sui forestieri. La cucina è in genere tipica e semplice, oserei dire quasi domestica, i prezzi economici, i camerieri (pochi) che prendono le comande (tante) con la matita e il pezzo di carta. Il menu è scarno, la cucina a vista ma non nel senso degli stellati, l’atmosfera frenetica e rilassata allo stesso tempo. Si aspetta, eh vabbè! Si prende il bicchiere di vino in pausa pranzo, e che male c’è! Ci si divide il dessert anzi facciamo uno io e uno te così facciamo a metà, si vive una volta sola!

Il rituale del bistrot si ripete almeno tre volte al giorno. A pranzo con la formule midi che, in genere a meno di 20 euro, propone due portate+acqua+caffè o variazioni sul tema. Seguono aperitivo e cena, senza impegno e senza fretta. Al bistro il cibo non si mangia, si assapora. Tanto più quando i piatti, tolta ogni proteina animale, sono per forza stagionali e creativi pur nella loro semplicità. I bistro vegani parigini sono a mio parere l’anima vera di questo tipo di cucina. Ci stanno i ristoranti fighetti, ci stanno i fast food da postare su TikTok, ci stanno i crudisti estremi a suon di centrifughe e açai bowl, ok. Ma prendersi un momento per apprezzare un piatto pensato, curato e adatto alle circostanze, un piatto che si riconosce, beh è un’altra cosa. Andate da Le Potager de Charlotte, Abattoir Végétal o Le Potager du Marais. Non vi dico altro.

Formule brunch

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La domenica parigina è sacra, lenta e sonnacchiosa come una qualsiasi città di provincia. Scordatevi i ritmi incessanti della metropoli tipo, quelli che vedete per strada probabilmente sono altri turisti. In questa atmosfera rilassata il brunch ha preso una sua importanza tutta particolare. Ok fin qui niente di nuovo, succede da New York a Milano e ormai anche la sciura di turno sa cosa significa e soprattutto come si pronuncia. Le peculiarità di Parigi rispetto alle altri città sono probabilmente due. Da una parte la sua diffusione, dal momento che normalmente i ristoranti sono aperti tutti i giorni a pranzo e pochi fanno solo il turno della cena. Dall’altra il buon rapporto qualità-prezzo: la formule brunch quasi mai supera i 30 euro.

Lo stesso vale naturalmente per i ristoranti vegani, con somma gioia e gaudio di chi li frequenta. Alla media di 20-25 euro ci sono almeno tre portate con succo, caffè e l’immancabile dessert. Il ritmo e la qualità dei piatti spesso rispecchiano quelli del bistro di cui sopra. Lento, saporito, domestico, rilassato, in una parola comfortable. Per un brunch vegano coi fiocchi recatevi agli indirizzi cui sopra o bonus Aujourd’hui Demain, Sweet Rawmance, Comptoir Veggie.

Cucina afro-veg

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L’integrazione passa attraverso il cibo, anche a fronte di un passato coloniale aggressivo e cruento. L’influenza francese in Africa Occidentale (Senegal, Mali, Costa d’Avorio, Niger) e nelle Antille (Haiti, Trinidad, La Réunion) ha avuto due conseguenze principali sul piano gastronomico. Da una parte la creazione di una cucine creole, ovvero derivate dall’incontro tra gusti colonici e usi indigeni. Dall’altra lo sdoganamento di ingredienti e piatti tipici portati in Francia dalle comunità migranti. La peculiarità parigina sta nell’impressionante varietà e densità di queste cucine, probabilmente la più alta fra le capitali europee. E, dal nostro punto di vista, nella scelta e disponibilità di piatti vegani, sia in locali tipici che in veri e propri ristoranti afro-veg. Un paio di indirizzi imperdibili sono Jah Jah by Le Tricycle e L’Embuscade, bonus BMK Paris-Bamako non vegano ma con moltissime proposte.

Ecco qualche esempio di ingredienti e piatti tipici veg che troverete facilmente in città:

  • Attiéké: semola di manioca derivata da cassava fermentata tipica della Costa d’Avorio. Viene insaporita con grani di pepe e olio di palma (da qui il caratteristico colore giallo) e servita in zuppa o insalata.
  • Jollof Rice: piatto a base di riso a grano lungo, pomodori, cipolle e spezie. Tipico del West Africa, ha diverse varianti (metodo di cottura, accompagnamenti) a seconda del paese di origine .
  • Yassa: salsa piccante alle cipolle tipica del Senegal. Normalmente viene abbinata al pollo (yassa au poulet) ma è estremamente versatile per verdure e legumi.
  • Maffé: stufato a base di arachidi tipico del Mali. Viene servito con riso, fonio o miglio e servito con carote, cipolle, patate dolci e okra.
  • Thiakry o Degue: pudding dolce di semola di miglio tipico del Senegal. Viene preparato con latte condensato o yogurt, cocco rapé e frutta secca.

(Piccolo post scriptum sulle cucine africane in generale. La tendenza è in crescita, e non solo in Francia dove è più forte la presenza di comunità migranti. I cosiddetti “superfood” africani tra cui miglio, teff, fonio, freekeh, fufu stanno facendo il giro del mondo grazie a chef, attivisti e collective kitchens. Speriamo di vederne più di frequente anche in Italia. Specialmente a seguito dell’elezione del nuovo presidente di Slow Food, l’ugandese Edward Mukiibi già promotore di progetti agricoli e orti comunitari in patria.)

Fauxmage

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I parigini, a pranzo o a cena, non si fanno troppi problemi a togliersi la proverbiale voglia. La pause gourmande è il concetto di sfizio a fine pasto concesso e incoraggiato. E se tutti i menu del mondo alla fine hanno il dessert, a Parigi e in Francia non manca mai l’assiette fromage. Il tagliere degustazione di formaggi è una validissima alternativa al dolce, almeno in termini di puro piacere. Tre o quattro pezzi dal più fresco e cremoso al più stagionato da accompagnare a crackers, marmellata, miele e frutta secca, chevvelodicoafa. Quando si tratta di un prodotto così particolare come il formaggio vegano poi l’interesse è quasi scientifico e fidatevi, va assolutamente provato.

Nei ristoranti vegani che ho frequentato a Parigi mi è capitato spesso di rinunciare al dolce e optare per il frawmage o fauxmage, gioco di parole rispettivamente tra raw (crudista), faux (finto) e fromage. A proposito di faux, devo fare una postilla onesta. Assai meno mi ha convinto il faux gras, anche perché mi sembra un ossimoro che proprio ristoranti che si professano cruelty-free propongano la variante vegana di quella che forse è la più crudele (il foie gras) fra le pratiche di allevamento. Della serie, serviva proprio?

Ma torniamo al formaggio: la cosa che ho apprezzato di più è che la maggior parte delle volte si tratta di prodotti maison, fatti in casa. Per giunta dalle fonti più disparate: anacardi, mandorle e macadamia e meno classici come semi di canapa, zucca e latte di soia. Tre indirizzi a sentimento per un’assiette fromage come si deve: 42 Degrés,  The Friendly Kitchen, Mesa de Hoy.Ce n’è da sperimentare e va detto, spesso e volentieri un micro posticino per il dessert rimane, eccome se rimane.